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mercoledì 26 ottobre 2022

La mia Recensione: Hey Calamity - Desperation



Hey Calamity - Desperation


Trovare la giovinezza con il passare degli anni, in età adulta, è un atto meraviglioso, sublime, raro. Riuscire a creare entusiasmi, entrare in nuove zone pratiche ed emotive, ritrovarsi a fare ciò che normalmente si inizia a fare quando si è adolescenti è davvero sensazionale.

Pubblicare un album di esordio quando la carriera di molti artisti finisce proprio in quel periodo comunica speranza, non è mai troppo tardi per debuttare.

Ce lo dimostra Dave Thomas con il suo progetto Hey Calamity: dodici atti di presenza, un affacciarsi con la pubblicazione di un lavoro che, oltre a testimoniare ciò che ho appena affermato, rivela grandi qualità nella scrittura. Una notevole sensibilità sgorga in queste tracce che l’artista dell’Australia del sud ha performato in totale e completa libertà.

Un insieme di fasci di luce che contengono al loro interno una  delicatezza straordinaria attraverso testi che rivelano maturità e propensione elevata alla riflessione.

Dave ha la voce leggera, un batuffolo di cotone che entra nella dimensione di musiche che la contemplano e accolgono per riuscire a darci l’impressione di note nate per lei.

Tutto si muove motivato da chitarre e da un basso di grande fattura per formare un ascolto che profuma di delicatezza, sebbene siano presenti anche episodi robusti.

Rimane però tutto un abbraccio che ci fortifica e ci rende fortunati.

Uscire nella giungla del mercato discografico in età adulta può essere un rischio: Dave vince la scommessa grazie al suo entusiasmo e alla sua voglia di impastare ciò che gli preme esprimere, per un esordio nel quale esistono canzoni che catturano sin dal primo ascolto. L’unico appunto che lo scriba si permette di fare è che troppe canzoni sono uscite prima del disco, ma questo non toglie nulla alla validità di composizioni che seducono per qualità e valore. Ci sarebbe anche da scrivere un gran complimento: l’abilità del musicista australiano, molto rara in questi giorni, di non cadere nel cliché del genere musicale, ma di saper spaziare dando davvero dimostrazione di grandi abilità e cultura musicale.

La provenienza da decadi precedenti, più che da delle canzoni, si sente in certe modalità con le quali vengono suonati gli strumenti in piccole parti, mettendo in luce una grandissima peculiarità che conquista immediatamente. 

Ovviamente vi sono presenze Shoegaze e Dreampop che rendono le tracce magiche e potenti, donando fasci di luminose emozioni, riflessioni e una stanza interiore dove appoggiare la coscienza nella fase della maturità.

Da uomo adulto e capace, Thomas conosce l’equilibrio e la saggezza, è misurato ma pieno di ardore: si sente la sua passione, non si gioca la vita con questo album ma lo mette a disposizione come una torta da mangiare insieme, in piena generosità.

Canzoni che sono piene di slanci, di poesia che sa essere sonica ed eccentrica, sorprendente, con tratti gioiosi che ne facilitano la masticazione: Dave conosce lo scettro, comanda le nostre emozioni nel pericardio di un cuore sempre più bisognoso di bellezza. Lo fa con saggezza: sa essere polivalente, suona gli strumenti che gli consentono fantasia ed elasticità, mantenendo la propria rotta visiva e sonora, con l’innata propensione a fare del suono un rabdomante. Infatti troviamo stupore, sorprese, un senso di continuità che benefica e conforta.

Con l’attitudine pop che meraviglia in certi episodi, insieme alla volontà di saper rallentare i ritmi conferendo alle tracce mistero e atomi di accoglienza in espansione. Definirlo un album Shoegaze è scorretto proprio per le variabili contenute e proposte, ma sicuramente sa navigare in quei confini anche se si sente la volontà di essere un battitore libero che vive con curiosità, uno scienziato di un laboratorio che vuole scoprire nuove formule, riuscendoci. Il tutto sorretto da quell’entusiasmo che lo contagia, si riversa nei nostri ascolti contribuendo a rendere la nostra pelle una corsia fertile di frutti prelibati.

Un esordio valido che allo scriba fa affermare che il meglio deve ancora arrivare ed è una convinzione che all’autore Australiano deve infondere soddisfazione e coraggio, perché partire da un disco simile è cosa buona e molto valida…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Saldford

26th October 2022


https://heycalamity.bandcamp.com/album/desperation






My Review: Hey Calamity - Desperation

 My Review:


Hey Calamity - Desperation


Finding youth with the passing of the years, in adulthood, is a wonderful, sublime, rare act. To be able to create excitement, to enter new practical and emotional zones, to find yourself doing what you normally start doing when you are a teenager is truly sensational.

Releasing a debut album when many artists' careers end right around that time communicates hope, it is never too late to debut.

Dave Thomas demonstrates this with his project Hey Calamity: twelve acts of presence, an appearance with the release of a work that, in addition to testifying to what I have just stated, shows great qualities in the writing. A remarkable sensitivity gushes forth in these tracks that the South Australian artist has performed in total and complete freedom.

A set of beams of light containing within them an exceptional delicacy through lyrics that reveal maturity and a high propensity for reflection.

Dave has a light voice, a cotton ball that enters the dimension of music which contemplates and welcomes it to succeed in giving us the impression of notes born for it.

Everything moves motivated by guitars and a bass of exquisite workmanship to form a listening experience that smells of empathy, although robust episodes are also present.

It all remains, however, an embrace that fortifies us and makes us lucky.

Stepping out into the jungle of the record market at an adult age can be a risk: Dave wins this bet thanks to his enthusiasm and his desire to knead what he cares to express, for a debut in which there are songs capable of captivating from the first listening. The only comment the scribe dares to make is that too many songs were released before the record, but this does not detract from the validity of compositions that seduce by quality and value. There would also be a great compliment to be written: the ability of the Australian musician, which is very rare these days, not to fall into the cliché of the musical genre, but to be able to range by really demonstrating great skill and musical culture.

The provenance from earlier decades, rather than from songs, can be heard in certain ways in which instruments are played in small parts, showing a great deal of distinctiveness that immediately wins you over. 

Obviously there are Shoegaze and Dreampop presences that make the tracks magical and powerful, giving beams of bright emotions, reflections and an inner room to rest one's consciousness in the stage of maturity.

As a grown-up and capable man, Thomas knows balance and wisdom, he is measured but full of ardor: one can hear his passion, he does not risk his life with this album but makes it available like a cake to eat together, in full generosity.

Songs that are full of outbursts, of poetry that are capable of being sonic and eccentric, surprising, with joyful traits that simplify chewing: Dave knows the scepter, he commands our emotions in the pericardium of a heart increasingly in need of beauty. He does it wisely: he knows how to be multi-purpose, playing the instruments that allow him imagination and elasticity, maintaining his own visual and sonic course, with the innate propensity to make sound a diviner. Actually we find wonder, surprises, a sense of continuity that blesses and comforts.

With the pop attitude that marvels in certain episodes, along with a willingness to know how to slow down the rhythms giving the tracks mystery and expanding atoms of welcome. To call it a shoegaze album is incorrect precisely because of the variables contained and proposed, but it is certainly able to navigate those boundaries even if you hear the will to be a free beater living with curiosity, a scientist in a laboratory who wants to discover new formulas, succeeding. Everything supported by that enthusiasm which infects it, which pours in our listening, helping to make our skin a fertile lane of delicious fruit.

A valid debut that makes the scribe affirm that the best is yet to come and it is a conviction that must instill satisfaction and courage in the Australian author, because starting from such a record is a good and very valid thing...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26 October 2022


https://heycalamity.bandcamp.com/album/desperation?fbclid=IwAR2FGFyyWAu9IvaUjH35I5E2SEi3FCtWAjPeXHwraJbz9XUszhiAfHff9OQ









martedì 18 ottobre 2022

La mia Recensione: Rowland S. Howard - Pop Crimes

 Se il Pop commette un crimine è quello di lasciare andare via per l’eternità un mago dalle unghie nere che si è preso la licenza di congedarsi con un album che ha proprio nel suo cuore un piglio Pop.

Ma non l’ha mai conquistato veramente e lui l’ha guardato storto, quasi incurante, certamente poco affascinato.

E il suo epitaffio è un grido a bassa voce, tra tormenti e moti angelici che fanno a pugni, con ramificazioni urticanti e rasserenanti per uno scontro che come risultato dà un disco meraviglioso, tra lacrime tenute in volo fisso davanti agli occhi, con la sensazione che ti cadano tra le pupille.

Con l’antico compagno di scorribande ed eccessi Mick Harvey, Rowland ha fissato per l’eternità la malinconia dei suoi battiti, esposto le sue vene a colpi di ombre continue senza mai sprofondare nell’oblio, come se fosse ancora in grado di governare le fiammate del cancro che di lì a poco l’avrebbe portato in un’altra dimensione. Ascoltando le otto tracce, sette originali e una incredibile cover dei Talk Talk, si entra nei suoi spasmi educati ma capaci di arrivare dentro di noi come folgori, perché la sua unicità, eleganza, raffinatezza e l’infinita classe mostrano tutte quante questo impianto scenico generoso e che lo qualifica, a detta dello scriba, come il miglior autore di canzoni del suolo australiano. Il disco è infarcito di blues nero, tagliente, lento, appoggiato sulla colonna vertebrale di un’America capace ancora di stimolarlo. La cura del dettaglio ubriaca, la finalizzazione che lo rende denso di atmosfere delicate ma vibranti (dove spicca la sua voce impastata con la grazia in un ballo cupo) accompagna le composizioni verso una spiaggia adornata di luci soffuse, sino a inebetire del tutto l’ascolto. Un rallenty continuo che fa esplodere il cuore dentro un lavoro celestiale di acute visioni sonore che ne espandono la bellezza al cielo. Il canto del cigno è cupo, intenso ma mai votato alla disperazione: tutto è cosciente, pieno zeppo di sofisticata propensione a creare brani che mutano a seconda del nostro umore. Ecco allora che si presta a un uso diverso, elemento che lo contraddistingue e lo consegna all’Olimpo di ciò che si deve conoscere, come un obbligo severo ma gentile.

I testi, cantati con una modalità che sembra essere il frutto di fiori che fuoriescono da vasi di lava con il mantello, sono efficaci escursioni di un pianeta psicologico che cerca ascolto, tra trame amorose con la polvere da sparo, e graffi decadenti mentre si espongono al sole. Una scrittura capace di vibrare da sola, per una emulsione che schiaccia il vapore acqueo, sempre pronto a uccidere, quando si tratta di contesti amorosi, per una mancata capacità di ascolto e confronto, un je t’accuse raffinato ma sempre evidente, per necessità e per via di un delirio che non conosce resistenze. La finestra del suo petto è rotta, caduta tra le braccia di una preghiera che non sembra possibile che venga ascoltata dalla madre di Cristo, come invece è il bisogno di qualcuno nella canzone che ci mostra pienamente come le sue storie siano a un passo dall’assurdo ma dannatamente umane. Sempre attenta a non esagerare con l’uso delle rime, la sua scrittura tratteggia profili psicologici, sospetti, grida che scendono dalle mani alle corde della sua chitarra che, ubbidiente, la segue nel vortice di trame dalla scorza dura, quasi impenetrabile. Sentire questa sua comunicativa così fulgida, nel contesto di note spesso d’acciaio, ruvide, grevi, crea non uno iato bensì una fascinazione incontrollabile.

La musica? Una sinfonia in perfetta sincronia con il deserto, dove tutto è secco, preciso nell’individuare ciò che è indispensabile, sopra un disincanto che muove le note in caduta libera senza però togliere il respiro, che la rende una prerogativa di chi sa come fare un patto con l’impossibile…

Ballads color velcro, in attitudine di protezione, con melodie dalle spine pettinate che inducono all’accoglienza, superando la paura di essere sedotti da tsunami sonori senza volontà di fare sconti. E quando il ritmo si alza un pò non è la danza che ci aspetta ma un volteggio, per poter baciare le ombre che lo compone. Si precisa la sua capacità di coinvolgimento con gli altri artisti dando la certezza che non siano session men bensì veri e propri membri di una band dal percorso millenario, sicuri, audaci e capaci di depositare ai piedi del cielo un tappeto su cui far volare i nostri ascolti estasiati e beneficiati di questa propensione univoca. Sempre come se fosse un arco pronto a lanciare le sue frecce, il genio australiano veste le canzoni come scie di vento, specialmente quando gli accordi sono quasi semplici, nessuna ostentazione da mostrare, piuttosto il bisogno di coricarsi sopra le trame di dense melodie per creare un unicum che non possa avere crepe sulla pelle. Si vola tra l’Australia degli anni 80 e la poesia ipnotica degli chansonnier francesi degli anni 60, senza perdere di vista quanta poesia, macchiata di una vena nera e calda, avesse lui stesso creato con The Birthday Party, il cilindro impazzito che alzò la polvere su un’Australia dormiente e non attenta ad alcune sensibilità che stavano creando rifiuti pieni di malcontento. Le chitarre sarcastiche e arcigne lanciano sibili romantici dentro un involucro in cui il basso e la batteria sembrano spose perennemente attente a lavare le macchie di così tanta radioattività. Perché queste canzoni, apparentemente di facile fruizione, in realtà corrodono e sanno sgretolare quel senso di bellezza che ci fa masticare tutto avendo lo stesso gusto in bocca. Invece…

Invece ciò che ascoltiamo è un complesso edificio di striminziti riferimenti (comunque da cogliere) e la valanga ipnotica di musicisti che si sono dati appuntamento davanti alla porta del mistero. La voce benedice e stordisce, perché nella sua apparente pacatezza esiste la stessa quota di furore del suo vecchio inquilino di quella Sydney che è stata la fionda che ha unito lui e il tenebroso Nick Cave verso una cittadinanza artistica e umana europea.

La stoffa però è la medesima: Rowland sa come ipnotizzare e farci rimpiangere la nostra minima dose di tranquillità. Sono episodi fumanti, tesi verso la conquista di una zona dove il soffocamento è elettrico, contorto, dove ciò che serve non è la forma canzone perfetta ma porti di accoglienza per una pioggia di lacrime quasi ammutolite dalla sua bravura. Sa esprimere ma al contempo contenere inchiostri di battiti slegati dalla futilità di milioni di anime indaffarate con il disimpegno, giostrando il tutto con scelte oculate, al di là della perfezione, perché questo accade a chi va oltre la propria strabordante genialità.

In questa narcolessia evidente, compaiono però episodi di poetica propensione verso le illusioni, lo spostare le attenzioni verso il prossimo, come portatore sano di miracoli improbabili, dentro relazioni torbide, in  addii che gonfiano il dolore e aumentano la mancanza di un’oasi di tranquillità.

Non vi è bisogno di caos, i testi strappano le tende degli ascolti portando alla preoccupazione, come se l’artista fosse un amico reale: Shut me Down raccoglie tutta questa intensità.

Non un testamento ma lo specchio della sua profonda difficoltà nel vivere: canzoni come autopsie che ci rendono gli occhi piccoli e già pieni di frequenze nevrotiche, quasi epilettiche, perché in questo flusso ogni secondo è un lutto tra la gioia e la morte che si sfidano in baci asfissianti.

E si dia spazio al silenzio, tra un episodio e l’altro, sia data via libera alla riflessione, i testi tra le mani e la curiosità, e la voglia di trovare il modo per sconfiggere la paura: dentro il suo distorto sistema artistico e umano vivono fascine di rugiada pronte a snellire la noia e le abitudini di brutti e confusi ascolti. In questa torbida collezione di esagerazioni c’è più equilibrio che in molte canzoni pop, dannatamente capaci di commettere crimini senza la nostra consapevolezza. Ora è il tempo di pescare nel suo maremoto, di farsi trascinare dalla sua bellezza a contatto con il diavolo per un’esperienza dove anche l’ascolto sarà fradicio di emozione…


Song by Song


(I know) A Girl Called Johnny


Il primo botto, quello che scoperchia il cielo, proviene da questa storia cantata a due, con Rowland che duetta con Jonnine Standish: è una piccola camminata psichedelica nella mente del prolifico artista australiano che apre subito il forziere del suo talento con una canzone che sprigiona emozione, con le voci che esaltano l’organo di Mick Harvey, e svetta per delicatezza e un malato romanticismo.



Shut me down


Il blues si tinge le dita di nero e con il profumo di whiskey che gli visita l’anima e le corde vocali, in una trascinante, epica dimostrazione di ciò a cui cosa possa condurre la mancanza della persona amata, ci fa giungere all’estasi. Anche da questo brano si capisce come lui e Nick Cave siano fratelli nell’anima, nessuno copia nulla dall’altro, ma sono invece uniti da attitudini simili che finiscono dentro un’orgia lenta. I rintocchi di organo creano poesia nel cuore mentre tutto va a sparpagliarsi nel cielo.



Life’s What You Make It


Non una cover ma un delirio soffocante condiviso con Mark Hollis, dove le chitarre sprigionano tensione e rendono dissacrante ogni tentativo di approcciarsi al brano dei Talk Talk: Rowland è l’unico che potesse davvero rivelarne gli scoppiettii con le ali distorte, in un viaggio dentro gli Usa rurali, malati e stanchi. Una corda che contiene una voce pronta a precipitare, trasportata da un’atmosfera blues-folk in cerca di uno schianto.



Pop Crimes 


Il male esiste, è un basso satanico che non concede repliche, perché conquista coinvolgendo per prima una chitarra sulle soglie dell’inferno. Il testo, una spada piena di tagli, consente a Howard di sprigionare violenza con la voce quasi mimetizzata dentro strali e graffi, per un risultato che è sconvolgente e stratificante. Una follia che si alza dal lettino e cade dentro amplificatori che sanno equilibrare il tutto con schitarrate ed il mare ipnotico dello strumento di J.P. Shilo che ci rende prede esangui.



Nothin


Oltre il capolavoro: Nothin è una pietra piena di fumi contaminanti che stroncano l’apparato uditivo per entrare dentro le mancanze che si sciolgono con il vento. Ed è Country/Gothic Americana & Folk Noir di purissima fattura, che conquista e appiattisce tutto con la sua linea melodica breve ma davvero capace di assestare un pugno nello stomaco.



Wayward Man


Il diamante più puro dell’album, feroce, con il basso di Brian Hooper che porta le chitarre a sventagliate acide, amplessi di nera attitudine, mentre Rowland diventa un quasi Crooner spiritato e immenso. Tutto stride e ferisce, chitarre come sirene con la voce sul punto di rompersi, e il vuoto che lascia spazio a un bridge aperto verso la fine del mondo.



Ave Maria


Nico è sempre viva, dove non esiste la sua voce vive la sua anima che qui sfodera un sorriso nero all’interno di un matrimonio con i proiettili dentro la memoria che torna ferendo, lasciando il cuore in uno sparo avvolto da musiche quasi paradisiache, ma è solo una comoda illusione.



The Golden Are of Blooshed


Fermi tutti: il sangue diventa tenebra, la storia raccontata è perversa e allucinata, la voce un lupo in cerca del giusto spazio per esibire i suoi artigli, dove la sfiducia nel partner porta la musica ad esserlo altrettanto, per magiche connessioni nel ventre del male. Un incubo che ha radici nella letteratura, che passa attraversa Jim Morrison alleggerito di acidi ma gonfio di alcol, per depositarsi dentro un’atmosfera sinistra ma vellutata, quasi capace di attirare le anime innocenti in un teatro degli orrori dalla pelle truccata. Ed è la vita che muore in una grotta con la chitarra che spranga il respiro, chiudendo questo gioiello senza tempo in un abbraccio soffocante…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18 Ottobre 2022


https://open.spotify.com/album/0rpPmk289NRqguHC8XQ0LV?si=PH7_FDBxTNurEPB_NrOtnA






lunedì 19 settembre 2022

La mia Recensione: Tina & The Hams - Wake the Babies


Tina & The Hams - Wake the Babies




Melbourne al tempo del Covid 19: probabilmente la città più severa con le restrizioni, quando normalmente è una radura accogliente e dinamica, ma, si sa, l’impatto della pandemia ha cambiato giocoforza le cose anche in quello splendido agglomerato urbano.

Tre anime piene di sentimenti vistosi, dalla pelle robusta e acida ma in modo sano, esordiscono con un album al vetriolo, con scorribande psichedeliche e l’attitudine a rendere compatto il cammino di testi pieni di esperienza personale, per poter conferire al tutto l’impressione di trovarsi all’interno di una roccia piena di brillanti e di incantevoli misteri.

Il gioco di incastri delle chitarre, la tastiera, il basso e la batteria sono notevoli, permettendo al ritmo e alle melodie di stabilire un patto che unisce il tutto e lo trasporta dentro l’intimo convincimento di una piacevolezza dilagante. Sono brividi di sudore e riflessione, per quarantadue minuti di amplessi, vibranti, stimolanti dove ciò che si ascolta conforta e stimola. 

Chitarre come lame, cantati e cori pieni di freschezza, in cui atomi di tristezza non possono limitare la dirompente propensione a fare della musica un atto di aggregazione, perché queste dieci composizioni hanno il pregio di convogliare le persone nel medesimo spazio.

I ritmi spesso sono spirali di frenesia che attirano e spingono i corpi a divenire catapulta (su tutte valga la prodigiosa Way), ma anche quando i ritmi e le condizioni del suono rallentano si vivono tensioni necessarie (Minou Granuleux, Hanging Rock, per intenderci), facendo sì che l’insieme ci avvolga donandoci ciò di cui necessitiamo.

Nel caso di Still on You, siamo davanti a suggestioni e suggerimenti attitudinali della nostra mente davvero coinvolgenti, perché la quasi intima propensione a un suono rarefatto concede respiri intensi e pieni di stupore.

Waves from the Sea, nella parte iniziale, ci porta agli scozzesi Man of Moon, per poi attraversare il post-punk infarcito di cellule psichedeliche che trascinano e conquistano.

Un album che ascolto dopo ascolto semina necessità, donando semi di gratitudini perché le canzoni sono generose, eleganti seppur nella loro dirompente intensità, e si diventa sognatori in grado di rivedere la realtà come una possibilità di baciare il benessere che sembrava ormai scomparso, date le vicende a cui ho accennato all’inizio.

E il momento più elettrizzante e capace di contaminare la gioia del nostro esserci è l’intrigante Suicide Girls, che con le sue diverse diramazioni e i riferimenti di qualità scende nel letto come un fulmine buono, senza far danni ma nella condizione di accendere la passione che diventa una piacevole dipendenza.

Con Ice troviamo una nuvola di suono col basso a spingere le dita nel nostro addome, con un cantato quasi sognante, che sembra suggerirci di stare dentro le corsie della nostra intimità.

Per concludere: consiglio vivamente l’ascolto di questo insieme di notevoli composizioni perché abbiamo bisogno di freschezza, di luce e del coraggio di vivere…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Settembre 2022


https://tinaandthehams.bandcamp.com/album/wake-the-babies


https://open.spotify.com/album/0MxXIdoZe1SOawP7QGetfa?si=ZE-SAR88QLyP2C2ZwhhnEQ









My Review: Tina & The Hams - Wake the Babies


 Tina & The Hams - Wake the Babies




Melbourne at the time of Covid 19: arguably the strictest city with restrictions, when normally it is a welcoming and dynamic clearing, but, you know, the impact of pandemic has inevitably changed things even in that beautiful conurbation.

Three souls full of considerable feelings, with a skin tough and sour in a healthy way, debut with a vitriolic album, with psychedelic raids and an aptitude for making the path of lyrics full of personal experience compact, in order to give the whole thing the impression of being inside a rock full of brilliance and enchanting mysteries.

The game of joints of guitars, keyboards, bass and drums are remarkable, allowing the rhythm and melodies to establish a pact that unites everything and transports it into the intimate conviction of rampant pleasantness. These are chills of sweat and reflection, for forty-two minutes of sexual intercourses, a vibrant and stimulating state where what is heard comforts and inspires. 

Guitars like blades, vocals and choruses full of freshness, in which atoms of sadness cannot limit the disruptive propensity to make music an act of aggregation, since these ten compositions have the virtue of channeling people into the same space.

The rhythms are often spirals of frenzy able to attract and push bodies to become catapults (of all of them the prodigious Way stands out in this respect), but even when the rhythms and conditions of sound slow down we experience necessary tensions (Minou Granuleux, Hanging Rock, for instance), causing the whole to envelop us giving us what we need.

In the case of Still on You, we are in front of truly captivating ideas and attitudinal suggestions of our mind, because the almost intimate propensity for a rarefied sound grants intense and awe-filled breaths.

Waves from the Sea, in the opening part, takes us to the Scottish Man of Moon and then through post-punk infused with psychedelic cells that drag and seduce.

An album that listening after listening sows necessity, giving us seeds of gratitude because the songs are generous, elegant albeit in their disruptive intensity, and one becomes a dreamer able to see reality as a chance to kiss the well-being that seemed long gone, given the events I mentioned at the beginning.

And the most electrifying moment capable of contaminating the joy of our being is the intriguing Suicide Girls, which with its different branches and quality references descends into bed like good lightning, doing no damage but in a condition to ignite passion that becomes a pleasant addiction.

With Ice we find a cloud of sound with the bass pushing its fingers into our abdomen, with almost dreamy vocals that seem to suggest we are inside the lanes of our intimacy.

In conclusion: I highly recommend listening to this set of remarkable compositions since we need freshness, light and the courage to live..


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 September 2022


https://tinaandthehams.bandcamp.com/album/wake-the-babies


https://open.spotify.com/album/0MxXIdoZe1SOawP7QGetfa?si=VETOdm5rTJ-RNcaSfmiYhg









mercoledì 14 settembre 2022

My Review: Hey Calamity - Ocean In Between Us

My Review:


Hey Calamity - Ocean In Between Us


Since time immemorial, human beings have almost desperately led themselves towards a search for contact that eradicates loneliness in the first instance. Then love comes along to improve and change the meaning of everything. And distances can be shortened by compacting desire and reality.

Inevitable considerations when you listen to the flagrant and moving new composition by Hey Calamity, a project by Dave Thomas who produces songs as if he were fishing for pearls without a moment's rest. We find ourselves inside the fluidity of guitars elegantly married to melody without sacrificing power: Ocean In Between Us is a praise of contact, presence, bringing one fertile hand inside another, with dreamy vocals as the words touch lightly our heart to cradle it. 

The magnificent final instrumental part is really able to make us fly over the ocean, so that we can get closer to those we love. 

In a few minutes, loneliness is imprisoned, undermined by a reality that peacefully blesses existence.

To do so Hey Calamity welds the whole musical experience with a cloud of notes flying over the water, with colorful confetti to cheer up the oxygen, with shoegaze crackles that feel like an embrace, a powerful drumming which lifts the legs for a dreamy dance, a poignant melody that makes the beats weepy and capable of giving thanks.

A song that brings sunbeams into our dreams, into our dull daily acts, for a strength that this listening can make real.

Another gem which will fill your hearts because Dave, as a sound gentleman, cares for us all to make existence a cradle that opens confidently to the world.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15th September 2022


The song will be available on 16th September 2022





La mia Recensione: Hey Calamity - Ocean In Between Us

Hey Calamity - Ocean In Between Us


Da sempre gli esseri umani conducono quasi disperatamente se stessi verso la ricerca di un contatto che debelli in prima istanza la solitudine. Poi sopraggiunge l’amore a migliorare e a cambiare il senso di tutto. E le distanze possono essere accorciate compattando desiderio e realtà.

Considerazioni inevitabili ascoltando la flagrante e toccante nuova composizione di Hey Calamity, progetto di Dave Thomas che sforna canzoni come se pescasse perle senza un attimo di sosta. Ci troviamo dentro la fluidità di chitarre sposate elegantemente alla melodia senza rinunciare alla potenza: Ocean In Between Us è un osannare il contatto, la presenza, portare una mano fertile dentro un’altra, con un cantato sognante mentre le parole sfiorano il cuore per cullarlo. 

La spettacolare parte strumentale finale è davvero capace di farci volare sull’oceano per poter avvicinarci a chi amiamo. 

In pochi minuti la solitudine viene imprigionata, scalzata da una realtà che benedice serenamente l’esistenza.

Per farlo Hey Calamity salda tutta l’esperienza musicale con una nuvola di note che sorvola l’acqua, con coriandoli colorati per rallegrare l’ossigeno, con crepitìi Shoegaze che sembrano un abbraccio, un drumming potente che solleva le gambe per una danza sognante, una struggente melodia che rende i battiti piangenti e capaci di ringraziare.

Una canzone che porta raggi solari nei nostri sogni, nei nostri spenti atti quotidiani, per una forza che l’ascolto sa rendere reale.

Un’altra gemma che farcirà i vostri cuori perché Dave, da gentiluomo sonoro, si prende cura di tutti noi per rendere l’esistenza una culla che si apre con fiducia al mondo.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15 Settembre 2022

Il singolo sarà disponibile Venerdì 16 Settembre 2022





sabato 3 settembre 2022

La mia Recensione: Hey Calamity - On The Run

 La mia Recensione:


Hey Calamity - On The Run


La cattiva notizia è che il tempo vola. La buona notizia è che sei il pilota.
(Michael Althsuler)


Millenni di vita con un orologio invisibile che scorre segretamente dentro la nostra storia: con una corsa estrema, da sempre cerchiamo di sconfiggerlo, di farlo almeno arrestare per un po’. In ogni essere umano il sogno è quello e la resa è l’intenzione stessa.

Dalla terra che sembra mantenere questo sogno con più audacia (la generosa Australia) arriva un uomo che, con chitarre e parole elettriche, cerca di tenere la luce accesa del sole nel bel mezzo delle tenebre e per farlo scrive una canzone come un temporale estivo, un fulmine melodico che ci circonda.

Si può precipitare nel tempo come nel cielo, avendo un’onda sonora potente e al contempo gentile che ci guida nello scorrere di quelle lancette, con le vicende vissute, nel tentativo di portare la gioia dentro il cuore, dando alla mente ossigeno e bolle di sogno.

Dave Thomas, con la sua creatura Hey Calamity, torna pochi giorni dopo la pubblicazione di Bleeding Heart, con la capacità di dare allo Shoegaze la sua storica propensione alla forza ma riuscendo, con pennellate sublimi e angeliche, a farci entrare nei confini del Dreampop, con un lavoro del suo basso che sembra uscire dal Post-Punk inglese della metà degli anni ’80.

Sono canzoni come questa che danno il respiro, la forza, per poter correre nei territori delle vicende umane avendo la sensazione che il calore del sole possa essere il nostro maggiore beneficio.

E allora ecco che le chitarre sono esercizi virali, potenti, mastodontici, nei quali la voce vellutata del cantante australiano flirta con passione e fermezza dentro un testo che parrebbe lasciare l’amaro in bocca, ma Dave agisce con onestà nel corso della sua osservazione.

On The Run ci riporta agli anni ’90, con l’approccio psichedelico dei Catherine Wheel e la caparbietà dei Chapterhouse, nella foresta magmatica e sensuale di vapori che cercano una spugna per essere assorbiti: siate generosi nell’ascolto, in modo da cogliere la sua freschezza e vitalità.

In conclusione: il rischio che si corre con On The Run è quello di comprendere meglio la realtà svegliando i sogni, per poterli sedare, perché alla fine Dave ci insegna che la vita va vissuta e con una canzone come questa possiamo trovare motivazione e forza, in un delirio di bellezza che ci consegnerà sorrisi da spendere…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4 Settembre 2022


https://heycalamity.bandcamp.com/track/on-the-run-2


https://open.spotify.com/track/6dTROXoZpILOIEUAx8SFuG?si=WFHCrPHzTOue45WRQs4Lnw




My Review: Hey Calamity - On The Run

 My Review:


Hey Calamity - On The Run


The bad news is that time flies. The good news is that you're the pilot.
(Michael Althsuler)


Thousands years of life with an invisible clock secretly running inside our history: with an extreme race, we have always tried to defeat it, to make it at least stop for a while. In every human being, the dream is that and the surrender is the intention itself.

From the land that seems to hold this dream most audaciously (generous Australia) comes a man who, with guitars and electric words, tries to keep the sunlight burning in the midst of darkness, and to do so he writes a song which is like a summer storm, a melodic lightning bolt that surrounds us.

One can plummet across time as well as across the sky, having a powerful yet gentle sound wave that guides us through the passing of those hands, with the events experienced, in an attempt to bring joy into the heart, giving the mind oxygen and dream bubbles.

Dave Thomas, with his creature Hey Calamity, returns just a few days after the release of Bleeding Heart, with the ability to give Shoegaze its historical propensity for strength but managing, with sublime and angelic brushstrokes, to bring us into the confines of Dreampop, with his bass work that seems to come out of mid-80s British Post-Punk.

It is songs like this that give us the breath, the strength, to be able to run through the territories of human affairs with the feeling that the warmth of the sun can be our greatest benefit.

And so the guitars become viral, powerful, huge exercises in which the Australian singer's velvety voice flirts with passion and firmness within lyrics that seem to leave a bitter taste in the mouth, but Dave acts with honesty in the course of his observation.

On The Run takes us back to the 90s, with the psychedelic approach of Catherine Wheel and the stubbornness of Chapterhouse, in the magmatic and sensual forest of vapours that seek a sponge to be absorbed: please be generous in your listening, so as to grasp its freshness and vitality.

In conclusion: the risk one takes with On The Run is to better understand reality by waking up dreams, in order to sedate them, because in the end Dave teaches us that life must be lived and with a song like this we can find motivation and strength, in a frenzy of beauty that will give us smiles to spend…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4th September 2022


https://heycalamity.bandcamp.com/track/on-the-run-2


https://open.spotify.com/track/6dTROXoZpILOIEUAx8SFuG?si=WFHCrPHzTOue45WRQs4Lnw







venerdì 2 settembre 2022

My Review: The Dark Shadows - Sour Candy

 My Review:


The Dark Shadows - Sour Candy


Sydney is a cloud full of colour, the attraction for souls trying to fly through everyday life with the propensity to smile, in the middle of the turns of fatigued existences but willing to travel in the sun's rays.

Among those who best express all this are certainly three girls with huge hearts and hands capable of conveying positivity even when the topics they deal with have their breath inside disappointment, doubts, requests (rightly kept veiled) for clarity.

The Dark Shadows are back, one song and everything becomes lamplight, ecstasy, amazement in the play of notes full of wind. 

The fairy Brigitte Handley writes words of shattered glass, about a broken relationship, and to do so she travels in depth to extrapolate those elements of relations that can crack the heart, the skin, the meaning of existence.

But, as with many Smiths songs, the supporting music is joyful, full of energy, able to bring us the attitudes typical of the new continent so that we can face it all with great strength.

Ned Wu (drums), Carly Chalker (bass player) and Brigitte Handley (voice, guitar), are back with an intense, melodic, fresh track, a trip with the surfboard over the waves of the Australian sky, to establish a connection between different but well-blended musical genres, in which their propensity to give rhythm and melody their embrace to the 60s, the undeniable source of inspiration for this truly explosive trio, stands out. The result is a vortex rich in easily digestible juices, addictive and with the power to push us to repeated listenings, an adventure inside their coffers that makes us dance, not dreamy for sure, but aware that from a grey-tinged story one can find an incentive to change direction.

With an impetuous start, followed by a pause that shows their sublime qualities, the track arrives at the true beginning of the verse after 44 seconds, and we quickly find ourselves inside the conviction that we needed music like this, passionate and true, stratospheric in its embrace, perfectly produced, without any tension drop.

Sour Candy teaches the meaning of legitimate communication towards those who cause pain, and the answer is a joyful song: hats off!👏❤️🇦🇺


Out on September 6 2022


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 September 2022




La mia Recensione: Piero Ciampi - Piero Ciampi

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