sabato 27 maggio 2023

La mia Recensione: Franco Battiato - Apriti Sesamo

 

Franco Battiato - Apriti Sesamo


Il tempo, il suo collante, il suo collasso, la sua infamia, la sua natura che porta in sé il vento che fa dimenticare tutto. Il tracciato, l’impronta, il sale e il tanfo, il tuffo e ciò che disintegra l’ingenuità della speranza.

Franco, il Sacerdote della prudenza, il seminatore stanco, con la sua matura intenzione di porre fine, una volta per tutte, allo spreco, scrive un papiro di parole esatte, a riguardo di quello che esatto non è, come svincolo, come fuga, come alleanza con le sue discipline ordinate e compatte.

Vira verso il passato solo in apparenza: no, non è un album di memorie, di ricordi, di nostalgia, come in molti hanno affermato.

Piuttosto: è l’eleganza della comprensione che non ha tralasciato nulla dietro di sé, un ragionare intenso sugli accadimenti, esplorando il dovere di un ricavo come testamento di un ordine non comprensibile, un faticare su un contrasto inevitabile. Che è quello di dover spalmare olio di saggezza variopinta e musicata da parole che sono carezze di metallo, con la propensione a intortare soprattutto l’ignorante, che è il più corruttibile. Un lavoro che nasce da due anime già nella fase ascendente (Sgalambro morirà due anni dopo), consapevoli che bisognava congedare il futuro proprio per dare alla giovinezza degli altri un bastone, come una stella cometa densa di abilità…

Nascono così stratagemmi nuovi e inconsueti e, al contempo, si vede la sua intera carriera senza che l’opera sia una summa: la sua intelligenza non glielo avrebbe concesso. Inevitabile sentire bagliori del Battiato degli esordi, per poi incontrare quello che ha virato improvvisamente verso il desiderio di divenire noto, in  un gioco che non gli ha impedito di dare aria alla sua profondità. Un percorso di ricerca che non è cessato ma che, con Apriti Sesamo, ha trovato il suo scopo, portando il cantautore siciliano a scrivere l’album più difficile, il più completo, perché bisognava fermare la crudele propensione all’immortalità. Questo è un disco con la maggior presenza della morte, non come tragedia, ma come beneficio, come punto di partenza, capace di comprendere il senso di studi filosofali, di portare in grembo l’esagerata estensione religiosa, di dare alla letteratura un destino diverso. Battiato e Sgalambro scuotono millenni pieni di polvere, baciano le ombre come segnale di un piacere che non è perverso bensì maestro di vita. Tutti i settori della crescita umana vengono messi uno dietro l’altro, con l'incredibile colpo di scena del primo brano che ci presenta la parte prenatale, il tutto prima che diventi se stesso, in quanto al genio e solo a lui è concesso di anticipare la verità. 

All’interno del bacino infinito della spiritualità Franco agisce come un allievo, a testa bassa, scrive non come terapia ma come un essere che non perde l’occasione di abbassare il livello di spreco, per gettarlo nel pantano della sapienza, dove tutto si impasta e si fa maturità, senza sprechi. Incredibile la quantità di connessioni  al Sapere Antico, della storia dell’uomo passata dentro anime che non hanno concesso a se stesse solo la morte peggiore: l’inutilità del passaggio terreno. È proprio in quel luogo che Franco ha gettato lo sguardo. Ogni riferimento che si trova in questo album proviene da creature che hanno adagiato la spada della stupida volontà di essere immortali per insegnare a tutti che esistono altre forme di vita…

In ciò, questo disco vale più di ogni terapia, in quanto precede sia la prevenzione che la cura: basta poco per accorgersi come l’eternità sia una parola priva di senso se la paura della morte vince. Prendete i testi, esplorate la loro forma, le storie che amplificano la comprensione per farle divenire gli unici contagi che portano beneficio. La Sicilia, la terra sacra per eccellenza, dove il sole e la luce sono stati gli amici migliori di Franco, dà tutta la sua disponibilità al suo umile cittadino, per riportargli i ricordi al fine di farli diventare petali di amore che non si spaventano mai. Difficile trovare scudi per la rovinosa tendenza umana a spargere sale sulle ferite. Lui, invece, inventa voli, attraverso il recupero delle radici, non ferendo la realtà ma mettendola sull’attenti, in un duello senza armi perché non è la vittoria che desidera. Offre altro.

Dunque: Apriti Sesamo è un elenco di artriti e artrosi mentali, dove la gioia è una intenzione inutile, c'è da sbarazzarsi dell’ipotesi e lavorare su moti tenuti nascosti da chi ha paura dell’intelletto. Ecco spiegata la citazione, tratta dal Vangelo, della reincarnazione, a cui Gesù accennò. Non guarda in faccia ai ruoli bensì al significato che ogni parola e azione ingloba. Nasce proprio in questo aspetto il disegno dei due scrittori: portare a ogni vocabolo una destinazione che amplifichi e non invece il riassunto. Franco si mostra nel periodo in cui era un fanciullo, ci presenta la Lombardia con le sue balere e le domeniche fatte di danze in attesa della rovina, accertata, di un nuovo lunedì. Le metafore, da decenni compagne dei suoi passi, trovano in questo suo ultimo lavoro di inediti il coraggio di divenire uno sciame spaventoso, un lampo continuo che sa produrre noiosi ma necessari cerchi alla testa. Nuota all’interno del Mar Mediterraneo, mostrando il profumo dello sbalzo di temperatura che i ricordi, se privi di comprensione della successiva esperienza, sanno generare. Però, come un atleta astuto della consapevolezza, Battiato sbatte le ali e ci lascia, per l'ennesima volta, indietro e colpevoli di non avere il baricentro perfettamente allineato all’intenzione della crescita. Indiscutibile è il fatto che in questo album il bisogno di lasciare i semi si sia fatto impellente, come se il suo misurare il tempo gli abbia consegnato non una data di addio bensì il bisogno di usare ciò che aveva vissuto e non il desiderare di sperimentare altro. Maestro è colui che impara. 

Il Vecchio Scriba si è iscritto da tempo al dubbio e alla verità, trovando in Franco Battiato uno sparo notturno presso l’angelico volo di un raggio di luce. Non sono episodi quelli che udite all’interno di questo lavoro che, sin dalla copertina, riflette il mantra dei due coautori, ma un affascinante nonsense che, sciogliendosi davanti al cuore dell’intelletto, stabilisce il contatto con il senso, come un richiamo celestiale, in preghiere melodiche, come sismi su sismi dentro sismi senza confine. Non è un album difficile da ascoltare, tantomeno complesso: non c’è una carriera raccolta al suo interno, non vi sono segnali di cedimento quanto piuttosto di una consegna, perfetta, di una richiesta doverosa. Quale? Suvvia: da quando dobbiamo sperare che le cose che lui ci dice debbano avere i comodi sottotitoli? Apriti Sesamo è un calvario in un giorno lavorativo, lontano dalle luci de La Voce del Padrone, dall’elettronica moderna di una Gommalacca in attesa di prendere ruggine. Franco, colui che aveva osato essere diverso dalla maggior parte degli italiani senza l’identità del nostro paese, non ha mancato l'appuntamento più difficile: anticipare la morte fisica e mentale vibrando attraverso le strette vie (senza scorciatoia) della direzione che conduce ad altre dimensioni. Ascoltatevi, in modo particolare, un brano dalla forza oltraggiosa, la spada che ferisce senza toccare, perché la sua sola ombra già contorce le budella del nostro pensiero minimo…

La Polvere Del Branco è radioattività postdatata, una impronta di cui si sente l’odore sebbene non sia più visibile: occorre ascoltarla mille volte per portare beneficio al branco malvagio della nostra schiavitù inconsapevole. L’invettiva (quella vera) contro le conseguenze del Mercato in questa canzone apre le porte del suo maledetto teatrino che Battiato qui gela. Gli toglie le ali e il potere. Poteva fare diversamente? Eccola la genesi del dolore, la sua realtà, custodita dentro il bisogno di un egoismo crescente. 

Le musiche sono protesi di un passato remoto, un piccolo flash verso la sua amata musica classica, con gocce di Barocco sparse, per poi dare alla orecchiabilità degli anni Ottanta la possibilità di ricordarci quel Franco che in troppi hanno creduto di amare e di considerare il migliore: chi studia, chi cerca, non si ferma davanti a nulla, nemmeno ai benefici ricevuti. Ascolti ogni brano, le sue permanenti fasi di ruberie legalizzate, le sue formule magiche (dalla favola più famosa di sempre), le sue pergamene scelte e sciolte dal ladro più scaltro in assoluto, per consegnare l'architettura di un benessere che non abbia una corda al collo. Battiato amava così tanto la vita da non preoccuparsi della sua fine: si è concesso e ci ha concesso di andare oltre la paura. L’avrà nascosta? Ci avrà ingannato? Non importa: ci ha insegnato tramite queste composizioni che vi è un oltre da visitare. La violenza sta nel sogno senza costrutto, nella rapidità di un ego smisurato. Passacaglia è una nube tossica, una saggezza insostenibile che riporta in vita chi aveva, centinaia di anni fa, già compreso il limite, massimo, umano. Inutile scendere nell’oscurità di quel brano: chi lo conosce a memoria non avrà probabilmente capito nulla, preso e invaghito del suo incedere moderno, quando invece ha tutto per essere l’antichità che piega il moderno…

Come un angelo senza ali, prende da parte la politica, la società, il malessere primitivo dell'umanità, tutta, e la fa sedere dentro frasi che sembrano solo il club privato di una eccellenza che cerca un seguito. Ma anche troppo: Franco non aveva paura della solitudine e le canzoni sono un’isola deserta nell’oasi di ogni imbecillità che cerca la scusa, il pretesto per legittimare se stessa. L’ha combinata grossa: ci ha fatto sedere, ci ha sfiancato, tolto l’equilibrio mostrando la sua distanza da noi. Il suo bene non è il nostro, guardate cosa è riuscito a scrivere con Caliti Junku: passa ogni confine arabo-siciliano, solo per poter fare di noi viaggiatori dell’ignoto, di lingue legate alla magia, a storie che ungono ogni sospetto e riempie questa gemma di chitarre come mai nel resto del disco, con un pianoforte che saluta la storia della musica classica prima,  poi con degli archi che, come una processione del primo Settecento, sollecitano la fantasia e ci riportano il periodo della sua unione con Giusto Pio. Che la liturgia melodica sia uno dei suoi interessi primari l’avevamo sempre intuito, capito forse, tuttavia mai pensavamo che un giorno, in un solo album, avremmo potuto vedere espresse tutte le sue manie e necessità come sapevano fare le figurine della Panini. Citazioni, oscillazioni, fatti veri, ricorsi, leggende, utopie e gocce di vento per espletare il suo bisogno fisico, autentico, di pisciare amando anche l’odore degli asparagi. Folle? No, direi invece leale con la verità, con una realtà che ha sempre indossato come fosse un pigiama. 

Prendiamo un altro attimo (Il Serpente), uno di quelli che permette all’ignorante di staccare la spina da ogni diversità che lo possa disturbare: l’occidente, dolente e inconcludente, non si è mai messo in pausa, ha sempre accelerato. Cosa fa Franco, il direttore di orchestra mentale? Va e scova un solo uomo, di quella parte del mondo e di quel periodo, per mostrarci il coraggio di chi riesce a illuminare un albero di ciliegio in fiore, e pure qui la metafora si fa robusta e devastante. Battiato cerca un umanesimo nuovo, come desiderava Giorgio Gaber, e indica, oltre al bisogno, l’impellenza, il bidone dell’umido da svuotare per fare posto a una creatività mentale che supplica lo sguardo. Proprio in questo pezzo si trovano segnali evidenti di un gemellaggio con l’artista milanese, la prima anima che gli ha concesso credibilità.

Nell’ultimo brano si ha l’impressione di una nave inesistente che arriva, come un sogno dalle mille facce, per ricordarci l’assurda corsa della libertà. 

Non ci si può concedere il lusso di far finta di niente: colpisce la gioventù, la depotenzia, la rende solo per quello che è, un poco di un tutto che cerca una logica algebrica e non solo una somma matematica. Chi aveva osato prima di lui tutto questo?

Ci vuole coraggio e abilità per prevedere (non sia mai che il Vecchio Scriba sminuisca le innegabili doti degli Intellettuali), però è netto il percorso di Franco, che non si limita a tutto questo. Va oltre, nel luogo che non può essere ancora raggiunto e come vedete il suo non è il destino di un solitario, bensì il gioco volto ad anticipare l’ingresso nell’allegria di uno spazio sconfinato. 

Pensate a quando è uscito, ai sentimenti che hanno diviso fans e critica del settore, le delusioni che hanno fatto rumore, hanno lasciato tracce di malvagità solo in chi è favorevole al disprezzo. Sgalambro morì poco dopo (Franco no, lui lo era già da tempo e pochi se ne erano accorti) però ha continuato a rinascere, con stili diversi, una penna nuova, senza che nessuno abbia cavalcato il suo esercizio spirituale: tutti presi, come sempre, dall’opinione, con cui Battiato si è pulito il culo migliaia di volte…

Anche per lui era venuto il tempo di srotolare i sensi, di appiccicare il percorso dentro ciò che gli aveva dato la fama, la ricchezza, ma che non aveva (sempre Grazie Franco…) dato la misura di una mente non avvezza alla diplomazia del riverbero senza una docilità nel timbro della nota. Anche lì risiedeva la sua macchina del tempo: andare avanti e indietro solo per mostrare ciò che non si riesce a essere perché è questo il compito di uno studente…

E con Apriti Sesamo Franco Battiato è stato il migliore di tutti, un brivido che resiste al consumismo che cancella la memoria, ciononostante se proprio non volete dimenticarlo è sufficiente un disco solo ed è proprio questo…


I linguaggi urbani si intrecciano

E si confondono nel quotidiano


Vi basta? Una sola citazione farebbe di un popolo un qualcosa di migliore… Maledetta ignoranza, chiusa nella stanza sterile di un bisogno egoista.


Grazie Franco: arrivederci alla prossima battuta di caccia, in cui la selvaggina sarà ancora una volta la mediocrità…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
27 Maggio 2023




giovedì 25 maggio 2023

La mia Recensione: Polina Suffer - Agonia Market

 

Polina Suffer - Agonia Market


Una fila di chiodi elettronici prendono la decisione di recarsi sotto l’arcobaleno ferito di un grande turbinio: sono solamente due, ma ampiamente dotati di capacità balistiche notevoli, sanno mirare e colpire il bersaglio, facendo scuotere il bagliore innato di ogni tragedia quotidiana. Una coppia di giovani anime che vestono la superficie dei sogni per disintegrarli con una immaginifica maturità che trasuda esperienze lontane, forse addirittura prenatali, per rovistare tra i rifiuti di impeti in decadente putrefazione. Esordiscono per dare fuoco alle fantasie, tra campi di artrosi mentali, sotterfugi, maschere, ipotesi e sfiancanti mitragliate elettroniche con il retrogusto darkwave. Parole come voci che frugano nella pattumiera dei comportamenti, con un sentire gotico tra fili di cobalto e vibrazioni che paiono giungere dalle sperimentazioni tedesche degli anni Sessanta. Una serie di crocevia, di fermate brusche, tra le tenebre che non mancano di esplodere in grasse risate dispettose, mentre Beatrice, la ragazza dalle unghie lunghe nella sua ugola spesso atonale e poi squillante, registra l’equilibrio mentale che Tommaso, lo stregone impazzito che scopa via i detriti della noia per convogliarli verso il burrone senza ritorno, flette per farci approcciare a uno stato emotivo in continua ascesa, nel disastro appeso sotto gravide nuvole nere. Il Vecchio Scriba, nel momento in cui scopre l’improvvisa dolcezza di cui i due sono capaci, trema e si spaventa: la coppia (Milano e Torino le città che danno ai ragazzi solo la base di partenza) utilizza tecniche note per poi distruggerle con chili di zucchero sbiadito, mutevole, poco digeribile e per questo motivo succulento e prezioso. Un album che non pare di debutto data la notevole locomotiva sensoriale che scorre su binari appoggiati per terra come se il tutto fosse un lungo percorso temporale. Ti stupisci, ti schianti verso queste melodie che ingrassano lugubri pensieri, perché sono proprio i testi a far maturare lo stupore più grande, quasi insopportabile, vista una enorme esigenza di visitare argomenti che sembrano essere stati messi a bagnomaria nella letteratura, nella storia, in una vivace e violenta propensione alla scarnificazione di ogni dubbio. Non scherzano, non giocano una partita, ma si giocano i respiri come se fossero un generoso regalo di menti impazzite, in tiepida putrefazione.

Il cuore piange, l’ascolto diventa un elettrodo, una saldatura tra il male e l’ostinato nemico, quel bene che in queste tracce musicali si schianta. 

Vistose accelerazioni dei ritmi, dei grappoli di vapore acqueo che appanna la vista mentre l’ascolto diventa un affare indecente, sublime, sporco, con richiami di generi musicali che sembrano fieno in un ipotetico pasto serale all’interno una stalla piena di scheletri. Non mancano i disagi di chi vive la giovane età in un mondo vecchio, in decomposizione, con i viveri sempre meno nutrienti, con  i libri e i film come ancore di salvezza. Ma non basta, di certo le loro anime sono un dispetto nei confronti di chi sorpassa la vita senza cognizione. Loro, invece, piantano i piedi sotto la polvere, sotto la terra, dentro il mistero di dolori connessi a incubi tiepidi…

Stupisce e sbalordisce che dopo due soli singoli, ed essendo il progetto nato da poco tempo, si possa varcare il confine di un pensiero malato: sarà mica una bugia il tutto? Saranno davvero solo due e così giovani? Il Vecchio Scriba non sentenzia, appoggia le lacrime sul loro teschio che rotola canzone dopo canzone sul vassoio fatto di transistor, chitarre, lampi e lava che corrode, per portarci nella freschezza del loro dolore deambulante. Ecco spiegate le folli accelerazioni, gli atomi Darkwave che flirtano con la Coldwave, in un limbo temporale di grandi fascinazioni, per poter farcire i loro bisogni di una poesia che sembra essere urlata da Edgar Allan Poe.

Porgi l’orecchio alle loro curve amniotiche, nel grembo di un fardello, nella poesia di un bordello mentale, dove solo la mente, prostituendosi, libera inutili tossine.

Iniziare in questo modo una inevitabile carriera significa farsi tanti nemici, cosa buona e giusta, perché saranno tante le gelosie che si affacceranno nel loro circuito: non arrestate il vostro prodigio, in quanto Polina Suffer è una nuova urgenza, che sarà il regno di  molte anime in disordine…

Ora è giunto il momento di entrare, con paura e rispetto, all’interno di queste canzoni, per morire bene di loro…


Song by Song


1 Intro


Una ninnananna psichedelica, come un carillon del sospetto giornaliero, apre le non danze: in queste note disturbate da richiami di Virgin Prunes in parata militare, ci si può rincucciare sotto coperte belle dense. Nessun ritmo, solo una fata diabolicamente nascosta dentro note d’acqua che sembrano far bollire anime inquiete…


2 Dead Womb


Su un drumming che ci porta alla mente le sperimentazioni dei Wall of Woodoo e chitarre post-punk zona Sheffield, le due anime cantano unendosi e lasciando alla voce di Beatrice il ruolo di portatrice malata del registro più alto, consegnando a quella non baritonale ma grassa di Tommaso il ruolo di essere più vicina al cratere terreno. Chitarre arrotate di sale e vino rosso, per celebrare un grembo insanguinato, un'esistenza che ancora deve affacciarsi a questo torbido mondo…


3 Burnt


L’inizio è un sepolcro notturno, in attesa di far uscire un martello emotivo che danza su un electro punk decisamente americano, con intarsi drammatici più vicini ai D.A.F. della seconda parte della loro carriera. Giochi di stop and go creano crepitii continui nelle gambe che sembrano volare, mentre la voce di Beatrice sussurra paure e tensioni. L’elettronica qui è un mantello e una maschera ben confezionata: gli echi vocali si appoggiano a loop di derivazione che come urla quiete si appiccicano all’ascolto. Ed è sicuramente il primo momento di totale perdita di controllo…


4 Aesthetic Drama


Toh: volevate sorprese, magnitudini dentro sospensioni minimal wave? Il piatto è pieno di oscillazioni, di evocazioni, quando il Belgio ancora doveva mettere al mondo la Coldwave. Beatrice e Tommaso diventano attori, con un cantato che invoca il sostegno di un crooning immediato ma non troppo visibile, per creare un fermaglio nei capelli dei pensieri. Il tutto è una spina dolce, con la drum machine che lenta accompagna un synth in stato di grazia…


5 Polina, Suffer!


Il primo dei due singoli, nel contesto dell’album, sembra essere divenuto nel frattempo un mattone nell’addome: un lamento che incupisce i sogni, con la voce da strega sotto acido di Beatrice che fa di noi anime scheletrite, impaurite, destinate all’oblio. La base musicale è una chiara impronta ipnotica, lezione perfettamente imparata (forse con inconsapevolezza) dai mastodontici The Legendary Pink Dots. Che succede allora di particolare in questa canzone? Che l'identità musicale dei due artisti italiani conosce il fenomeno della consapevolezza, della resa con le armi in mano però, per non dire “basta” senza aver macchiato almeno un pò un synth che è un capriccio divino…


6 Obscura et Foetida


Vi ricordate Nag, Nag, Nag? Ecco la nipotina, nata a Torino, fresca e vogliosa di schizzare verso le vostre braccia, tra i lamenti del parto. Una siringa, un’anestesia improvvisata e poi un crescendo che diventa luce fuori dal grembo. Tra electro-punk inglese (questa volta) e piccole particelle di synth-punk tedesco, la melodia è un respiro affannato, una preghiera che si approccia nella trama sottile. I due si incontrano per la corale esibizione di un percorso che si affaccia alla teatralità esigente della Fura Dels Baus, in una obbligata sensazione di prigionia.


7 Plastic Regrets


L’altro singolo, una rasoiata che non concede difese, con risate demoniache su un filo di basso che esce dalla cantina bollente di due vite connesse in una sfida lampo, ci porta a una sola considerazione: poche note sono sufficienti per allargare lo stato di angoscia che la voce di lei sa creare. 


8 Harsh Flesh


Brian Eno cammina nel giardino dei sogni rotti, fumando un disagio alla ricerca di una melodia che sia la più decadente possibile. I due ragazzi aprono le ali, cullano e riempiono la melodia dell’essenziale, una paranoia che si tinge le dita di una dolcezza nerastra. Lenta, appassionata ma inevitabilmente una lastra che come una spada di Damocle toglie secondo dopo secondo lo spazio del respiro, brilla della contrapposizione di strumenti che si abbaiano, come storditi, in tenere melodie…


9 We Were Just Lost Kids


Una discarica di nervi alloggia dentro una secca linea armonica, echi, rimbalzi, come se i Creatures di Siouxsie e Budgie avessero trovato una linfa postdatata, un’assurda e machiavellica esigenza di spostare le lancette del tempo. Il groove pare uscire da bicchieri di vetro scivolati nella giungla della Coldwave più ossuta, per limitare gli spazi di fuga. Forse il brano più cupo di questo lavoro, intrigante perché sfuggevole, rapido a lasciare dentro di noi la certezza di una cantilena necessaria. Come un delirio elettronico privato della corrente elettrica…


10 Desires


La morte abbaia, tuona, allarga le ali e Tommaso diventa un ingegnere che ordina alla musica di essere spastica, obliqua, incontrollabile, con fascinazioni che sembrano uscire da una qualsiasi officina musicale di San Pietroburgo. Eccola, viva, la melodia che ha bisogno di un synth pieno di ruggine, per donarci la danza in mezzo a desideri con la catena al collo. I paletti danno la direzione del disastro: si è nei primi anni Ottanta, nella parte bellica delle delusioni, dove i sogni e i desideri erano capricci e il Post-Punk gettava la spugna per divenire una parodia di se stesso. Ma i Polina Suffer fanno resuscitare, con i loro perversi beat, il bisogno di finire nel baratro…


11 Whysteria


Si entra decisamente nella zona più chiara di questo album: quella della detonazione, dell’isteria che sculaccia ogni gioia e la affossa, nei vizi capitali che si incolonnano, come i generi musicali qui presenti, nel circo che, partendo dalla sperimentazione dei Can, cambia il volto, accelera il ritmo e diventa una danza figlia della Foresta Nera.

Per la prima volta il basso esce dai gorgheggi dei Killing Joke, ma lo schema musicale è un continuo vociare, senza catene nelle dita dei due giovani artisti che improvvisano un urlo che è un simbolo proveniente dalla follia educata: lo zenit è qui nelle vostre orecchie…


12 The Blue Cathedral 


Le tenebre escono da una lenta ragnatela, ipnotica e suadente, come una sirena stordita in attesa di essere decapitata. Si affacciano, nel gioiello più nero di Agonia Market, i tasselli di ascolti che hanno sedotto i due al fine di essere inseriti nel diabolico piano sonoro, con i Virgin Prunes che fanno sesso con Danielle Dax, in un ipotetico girone Dantesco di artisti sconvolti e squilibrati. Le campane invocano la processione, malata, di una scena di un ipotetico film di Kubrick, nella notte partoriente di un incubo rallentato. Il cantato contrasta il mantra sonoro, un rallenty per capire come sia stato possibile segnare una rete con il dolore nel petto. Siouxsie piange, gelosa, così come qualsiasi altra star in discesa verso il pensionamento, perché Beatrice e Tommaso coccolano il dispetto, attirano, con una linea guida impercettibile, la dolcezza e l’amarezza, per stabilire il luogo della consacrazione di una canzone che altro non è che l’insieme di ceneri buttate dal giardino delle rose della collina torinese: l’atto finale per congedare ogni follia e creare la coda in cui spegnersi…


13 Outro


Che sia dannata la fine: ci troviamo in una zona industriale alleggerita, dove il vomito non esce dai trapani ma da delle lamiere smussate, una comparsa terrifica di un teatro che risiede nella culla del tempo, tra la Germania dell’est e la Russia, in un lento e dissacrante duello colmo di tensione. Modo migliore per terminare questo disco non c’era: non tornate alla prima canzone, state qui, fate i bravi, di nuovo play su questo vascello pieno di chiodi arrugginiti, dove ogni singolo suono è un labirinto di menti con data di scadenza. Che sia cupa la vostra gioia, seguite i rintocchi pieni di linfa nera uscire da queste vie sbilenche e perdetevi: questo album è una ferita di cui poter essere fieri tutti…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26 Maggio 2023


https://polinasuffer.bandcamp.com/album/agonia-market-2?from=search&search_item_id=2360249248&search_item_type=a&search_match_part=%3F&search_page_id=2621474286&search_page_no=1&search_rank=2&search_sig=a9844d7d339377970352100ba32b33c9

















My Review: Polina Suffer - Agonia Market

Polina Suffer - Agony Market


A row of electronic nails make the decision to go under the wounded rainbow of a great whirlwind: they are only two, but amply endowed with remarkable ballistic abilities, they can aim and hit the target, shaking the innate glow of every daily tragedy. A pair of young souls who dress the surface of dreams to disintegrate them with an imaginative maturity that exudes distant, perhaps even prenatal experiences, to rummage through the refuse of decaying impetuses. They debut to set fantasies on fire, amid fields of mental arthritis, subterfuge, masks, hypotheses and exhausting electronic machine guns with darkwave aftertaste. Words like voices rummaging through the dustbin of behavior, with a gothic feel among cobalt threads and vibrations that seem to come from the German experiments of the 1960s. A series of crossroads, of abrupt stops, amidst darkness that does not fail to erupt in fat mischievous laughter, while Beatrice, the girl with the long nails in her often atonal and then ringing uvula, registers the mental balance that Thomas, the mad sorcerer who sweeps away the detritus of boredom to channel it toward the ravine of no return, flexes to make us approach an ever-rising emotional state, in the disaster hanging beneath pregnant black clouds. The Old Scribe, the moment he discovers the sudden sweetness of which the two are capable, trembles and is frightened: the pair (Milan and Turin the cities that give the boys only the starting point) uses known techniques and then destroys them with pounds of faded, changeable, undigestible sugar and for that reason succulent and precious.


An album that does not sound like a debut given the remarkable sensory locomotive that runs on tracks resting on the ground as if the whole thing were one long time-travel. You marvel, you crash toward these melodies that fatten mournful thoughts, for it is the lyrics that ripen the greatest astonishment, almost unbearable, given an enormous need to visit topics that seem to have been soaked in literature, in history, in a lively and violent propensity for the fleshing out of all doubt. They don't joke, they don't play a game, but they play out their breaths as if they were a generous gift from maddened minds in tepid decay.

The heart cries, listening becomes an electrode, a welding between evil and the stubborn enemy, that good which in these musical tracks crashes. 

Conspicuous accelerations of rhythms, clusters of water vapor fogging the view as listening becomes an indecent, sublime, filthy affair, with reminders of musical genres that sound like hay in a hypothetical evening meal inside a barn full of skeletons. There is no shortage of the hardships of those living the young age in an old, decaying world, with food becoming less and less nutritious, with books and movies as anchors of salvation. But that is not enough, surely their souls are a spite to those who overtake life without cognition. They, on the other hand, plant their feet under the dust, under the earth, inside the mystery of pains connected to lukewarm nightmares...

It astonishes and astounds that after only two singles, and the project having been born for a short time, one can cross the border of a sick thought: will the whole thing be a lie? Will it really only be two and so young? The Old Scribe does not judge, he rests his tears on their skull rolling song after song on the tray made of transistors, guitars, lightning and corroding lava, to take us into the freshness of their walking pain. This explains the crazy accelerations, the Darkwave atoms flirting with Coldwave, in a temporal limbo of great fascinations, in order to stuff their needs with a poetry that seems to be screamed by Edgar Allan Poe.


Lend your ear to their amniotic curves, in the womb of a burden, in the poetry of a mental brothel, where only the mind, prostituting itself, releases useless toxins.

To begin an inevitable career in this way is to make many enemies, which is good and right, for there will be so many jealousies that will crop up in their circuit: do not halt your prodigy, for Polina Suffer is a new urgency, which will be the realm of many disordered souls...

Now is the time to enter, with fear and respect, within these songs, to die well with them....


Song by Song


1 Intro


A psychedelic lullaby, like a music box of daily suspicion, opens the non-dances: in these notes disturbed by calls of Virgin Prunes on military parade, one can recoil under nice thick blankets. No rhythm, just a devilishly hidden fairy inside water notes that seem to boil restless souls...


2 Dead Womb


Over drumming that brings to mind Wall of Woodoo experimentations and Sheffield-area post-punk guitars, the two souls sing uniting and leaving to Beatrice's voice the role of the sick bearer of the highest register, handing over to Tommaso's non-baritonal and deep role of being closer to the earthly crater. Guitars rolled in salt and red wine, celebrating a bloody womb, an existence that has yet to face this murky world...


3 Burnt


The beginning is a nocturnal sepulcher, waiting to let out an emotional hammer that dances to a distinctly American electro punk, with dramatic inlays closer to the D.A.F. of the latter part of their career. Stop-and-go games create continuous crackles in the legs that seem to fly, while Beatrice's voice whispers fears and tensions. The electronics here are a well-packaged cloak and mask: vocal echoes lean against derivative loops that like quiet screams stick to the listening. And it is definitely the first moment of total loss of control....


4 Aesthetic Drama


Look: you wanted surprises, magnitudes inside minimal wave suspensions? The platter is full of oscillations, evocations, when Belgium still had to give birth to Coldwave. Beatrice and Tommaso become actors, with a vocal that invokes the support of immediate but not too visible crooning to create a clip in the hair of thoughts. The whole is a gentle plug, with the drum machine slowly accompanying a synth in a state of grace...


5 Polina, Suffer!


The first of the two singles, in the context of the album, seems to have become a brick in the abdomen in the meantime: a wail that darkens dreams, with Beatrice's witch-like voice on acid that makes us skeletal, frightened souls destined for oblivion. The musical basis is a clear hypnotic imprint, a lesson perfectly learned (perhaps unwittingly) by the mammoth The Legendary Pink Dots. What then is special about this song? That the musical identity of the two Italian artists knows the phenomenon of awareness, of surrendering with weapons in hand though, not to say "enough" without having stained at least a little a synth that is a divine whim...


6 Obscura et Foetida


Do you remember Nag, Nag, Nag? Here is the granddaughter, born in Turin, fresh and eager to spurt towards your arms, amid the wails of childbirth. A syringe, an improvised anesthesia, and then a crescendo that becomes light out of the womb. Between English electro-punk (this time) and small particles of German synth-punk, the melody is a labored breath, a prayer approaching in the subtle texture. The two come together for the choral performance of a path that faces the demanding theatricality of Fura Dels Baus, in an obligatory feeling of imprisonment.


7 Plastic Regrets


The other single, a razor-sharp that concedes no defenses, with demonic laughter over a bass line coming out of the boiling basement of two lives connected in a lightning challenge, brings us to one consideration: a few notes are enough to enlarge the state of anguish that her voice can create. 


8 Harsh Flesh


Brian Eno walks through the garden of broken dreams, smoking an unease in search of a melody that is as decadent as possible. The dio spread their wings, cradle and fill the melody with the essential, a paranoia that tinges their fingers with a blackish sweetness. Slow, passionate but inevitably a slab that like a sword of Damocles takes away second after second of breathing space, it shines from the juxtaposition of instruments barking, as if stunned, in tender melodies...


9 We Were Just Lost Kids


A dump of nerves lodges within a dry harmonic line, echoes, bounces, as if Siouxsie and Budgie's Creatures had found a postdated sap, an absurd and Machiavellian need to move the hands of time. The groove seems to come out of glasses slipped into the jungle of the boniest Coldwave, to limit the spaces of escape. Perhaps the darkest track on this work, intriguing because it is elusive, quick to leave within us the certainty of a necessary chant. Like an electronic delirium deprived of electricity....


10 Desires


Death barks, thunders, spreads its wings, and Thomas becomes an engineer ordering music to be spastic, oblique, uncontrollable, with fascinations that seem to come out of any St. Petersburg music workshop. There it is, alive, the melody that needs a rust-filled synth to give us the dance amidst wishes with a chain around its neck. The stakes give the direction of disaster: you are in the early 1980s, in the wartime part of the delusions, where dreams and desires were whims and Post-Punk threw in the towel to become a parody of itself. But Polina Suffer resurrect, with their perverse beats, the need to end up in the abyss...


11 Whysteria


One definitely enters the clearest zone of this album: that of detonation, of the hysteria that spanks all joy and drowns it out, in the deadly vices that are strung together, like the musical genres here, in the circus that, starting from the Can's experimentation, changes the face, accelerates the rhythm and becomes a dance daughter of the Black Forest.

For the first time the bass comes out of Killing Joke's warbles, but the musical pattern is a continuous vocal, unchained in the fingers of the two young artists who improvise a scream that is a symbol coming from polite madness: the zenith is here in your ears...


12 The Blue Cathedral 


Darkness emerges from a slow cobweb, hypnotic and persuasive, like a stunned siren waiting to be decapitated. They surface, in the blackest jewel of Agonia Market, the pieces of listening that seduced the two in order to be included in the diabolical sound plan, with Virgin Prunes having sex with Danielle Dax, in a hypothetical Dantesque circle of deranged and deranged artists. The bells invoke the procession, sick, of a scene from a hypothetical Kubrick film, in the birthing night of a slowed nightmare. The chanting contrasts the sonic mantra, a slow motion to understand how it was possible to score a goal with pain in the chest. Siouxsie weeps, jealous, as well as any other star descending into retirement, because Beatrice and Tommaso cuddle the spite, draw, with an imperceptible guideline, sweetness and bitterness, to establish the place of consecration of a song that is nothing more than the collection of ashes thrown from the rose garden of the Turin hillside: the final act to dismiss all madness and create the tail in which to extinguish...


13 Outro


The end be damned: we find ourselves in a lightened industrial zone, where vomit comes not from drills but from blunt sheets, a terrifying appearance of a theatre that resides in the cradle of time, between East Germany and Russia, in a slow and irreverent duel filled with tension. There was no better way to end this record: don't go back to the first song, stay here, be good, play again on this vessel full of rusty nails, where every single sound is a labyrinth of minds with an expiration date. Let your joy be sombre, follow the chimes full of black sap out of these lopsided ways and get lost: this album is a wound we can all be proud of...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26th May 2023


https://polinasuffer.bandcamp.com/album/agonia-market-2?from=search&search_item_id=2360249248&search_item_type=a&search_match_part=%3F&search_page_id=2621474286&search_page_no=1&search_rank=2&search_sig=a9844d7d339377970352100ba32b33c9






La mia Recensione: Joy Division - Closer

  Joy Division - Closer “Il dolore più grande del mondo è quello che, goccia a goccia, trafigge l’anima e la spezza” Francisco Villaespesa N...