giovedì 20 giugno 2024

La mia Recensione: The Dharma Chain -Nowhere


 

The Dharma Chain -Nowhere


La musica continua a volare, a spostarsi, a infischiarsene dei confini, dei trattati, e corre, passeggia e assaggia brividi di connessione ininterrotti.

È il caso di questa band Australiana che dal paese natio è emigrata a Berlino e che presenta l’album di debutto. Esattamente come la vita reale, anche quella artistica dimostra la volontà e l’abilità di spostarsi in zone diverse, di addentrarsi con intelligenza e muscoli perfettamente oliati nella psichedelia più acerba, con le vampate poderose del garage rock e una lieve predisposizione ad affacciarsi allo shoegaze, il tutto con eleganza e sensualità.

Ma si assiste anche un impeto vigoroso, quasi aggressivo, calmato da una maturità davvero notevole, favorita da una produzione che esalta gli spigoli e li smussa perfettamente. Le composizioni creano un ampio stato emotivo, visivo, suggellando l’amalgama tra la danza e l'introspezione, con momenti di dolcezza come nel caso di Her Head, un vascello mentale che ondeggia tra un arpeggio di chitarra e una poderosa distorsione, sino ad accelerare mantenendo uno status onirico.

Quando giunge Clockwork si prova una strana gioia: sarà data dalla tensione di un feedback quasi allucinante, dal basso torbido e da una chitarra che sembra un sitar in cerca di un abbraccio, oppure dalle due voci che si abbracciano. 

YSHK (You Should Have Known) è un mitra gentile, che conduce alla consapevolezza grazie a inevitabili bordate chitarristiche che potrebbero provenire dalla zona di Bristol dei primi anni Settanta, con il supporto di un synth paradisiaco.

Più visiti queste canzoni e maggiore è il coinvolgimento, l’esperienza che trascina l’ascolto a divenire una identità ben precisa, con in regalo una temperatura corporea in aumento, provocando quasi un piacevole stato febbrile.

Quando la ninna nanna elettrica di Somewhere arriva, tutto diviene poesia con pennellate che rendono le nuvole azzurre, in uno spazio onirico che decisamente mostra la dimensione shoegaze del gruppo, facendoci immergere in bisogni nuovi, emergenti, con il fazzoletto che si gonfia di tenere lacrime.

L’apoteosi giunge con Greenlight, il momento più intenso ed elaborato, una collana di coralli che sequestrano la luce e si regalano la profondità del buio, in uno stato di tensione palpabile e avvolgente. Il caos viene ammaestrato, condotto alla riflessione, prima pulito e poi intossicato da una chitarra lancinante e dal connubio del basso e della batteria che sembrano proteggere le parole, consegnando un gioiello incontestabile.

Un debutto clamoroso, intenso, una notevole propensione a rendere la musica nomade, conflittuale ma anche serena, meravigliando e scuotendo la mente di chi l’ascolta. 

Si viene trasportati nella zona della curiosità, dove tutto si amplia e non ha fretta di definirsi. Un grandissimo abbraccio alla band e un grazie immenso: sono lavori come questo che fanno dell’ascoltatore un privilegiato e un clamoroso beneficiario di splendide “torture accennate”, definendo in modo nuovo la parola delizia…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://anomicrecords.bandcamp.com/album/the-dharma-chain-nowhere


My Review: The Dharma Chain -Nowhere


 

The Dharma Chain -Nowhere


Music continues to fly, to move, to disregard boundaries, treaties, and to run, walk and taste uninterrupted thrills of connection.

Such is the case with this Australian band who emigrated from their home country to Berlin and present their debut album. Exactly like their real life, their artistic life also demonstrates a willingness and ability to move into different zones, to delve with intelligence and perfectly oiled muscles into the most acerbic psychedelia, with the mighty flushes of garage rock and a slight inclination towards shoegaze, all with elegance and sensuality.

But there is also a vigorous, almost aggressive impetus, calmed by a truly remarkable maturity, aided by a production that enhances the edges and smooths them out perfectly. The compositions create a wide emotional, visual state, sealing the amalgam between dance and introspection, with moments of sweetness as in the case of Her Head, a mental vessel that sways between a guitar arpeggio and a powerful distortion, until accelerating while maintaining a dreamlike status.

When Clockwork arrives, one feels a strange joy: it will be given by the tension of an almost hallucinatory feedback, the murky bass and a guitar that sounds like a sitar in search of an embrace, or the two voices embracing. 

YSHK (You Should Have Known) is a gentle miter, leading to awareness thanks to unavoidable guitar on fire that could have come from the Bristol area of the early seventies, backed by heavenly synths.

The more you visit these songs, the greater the involvement, the more the experience drags the listener into becoming a distinct identity, with a rising body temperature as a gift, almost causing a pleasant feverish state.

When the electric lullaby of Somewhere arrives, everything becomes poetry with brushstrokes that make the clouds blue, in a dreamlike space that decisively shows the shoegaze dimension of the group, plunging us into new, emerging needs, with the handkerchief swelling with tender tears.

The apotheosis comes with Greenlight, the most intense and elaborate moment, a necklace of corals that seize the light and give themselves the depth of darkness, in a state of palpable and enveloping tension. Chaos is trained, led to reflection, first clean and then intoxicated by an excruciating guitar and the combination of bass and drums that seem to protect the words, delivering an undeniable jewel.  A resounding, intense debut, a remarkable propensity to make music that is nomadic, confrontational but also serene, marvelling and shaking the listener's mind. 

One is transported to the zone of curiosity, where everything expands and is in no hurry to define itself. A big hug to the band and an immense thank you: it is works like this that make the listener a privileged and resounding beneficiary of splendid ‘mild torture', defining the word delight in a new way…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://anomicrecords.bandcamp.com/album/the-dharma-chain-nowhere




La mia Recensione: Perry Blake - Death Of A Society Girl


 

Perry Blake - Death Of A Society Girl 


Quanto è bello e utile perdersi nella dolcezza, uscire dal grigio e nero di questi tempi e trovare un albero sotto il quale le note che cadono sono voci angeliche con melodie davvero affascinanti, un tuffo soffice nel lato benevolo di una clessidra che protegge le composizioni per benedire i paesaggi colmi di amore, di quella poesia che passa oltre e protegge tutto. Le atmosfere, le inclinazioni sembrano affacciarsi per lanciare uno sguardo verso gli anni Sessanta, Settanta, con un approccio psichedelico privo di esagerazioni, all’insegna di pennellate colorate come fissativo che conduce ai serbatoi della struggevolezza. Impressionante è il brivido che si prova grazie a composizioni che nulla hanno a che fare con la tristezza, la quale però sembra sempre essere pronta a palesarsi: basterebbe già questo fattore per definire questo album un miracolo prezioso!

Insieme a Perry troviamo l’attore del film tanto adorato dal Vecchio Scriba (Withnail & I): Paul McGann è una stufa che scalda il cuore…

L’altra parte creativa è Graham Murphy, un fine cesellatore, una mente creativa che sa incastrarsi perfettamente con Perry. Sono fiori che cercano coccole le composizioni, tutto sottovoce, in maniera quasi silenziosa, come un carillon del piacere consegnato alle anime bambine dei nostri sogni, per entrare nei percorsi di un surreale che attira, con fraseggi ammiccanti, una tentazione dietro l’altra volta a escludere frastuoni e veleni. Pare di fuggire senza correre, con il fiato interamente nei polmoni mentre gli occhi e le orecchie si gonfiano di emozioni, in una catena riproduttiva che finisce per stabilire quanta immensa sia l’apoteosi di un caos finalmente congelato dalle piume delicate di queste canzoni…

Si passeggia tra scie new age e petali di world music, con affreschi trip hop solo accennati, come se morissero sulla punta dei pennelli. La voce rimane per tutto l’album il termometro, la bilancia, la stella cometa che guida l’ascolto dentro un mappamondo emotivo suggellato di chicche una dopo l’altra: tra le opere più sensuali degli ultimi dieci anni, non può che essere adottata dai vostri ascolti…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://moochinaboutltd.bandcamp.com/album/death-of-a-society-girl-2

My Review: Perry Blake - Death Of A Society Girl


 Perry Blake - Death Of A Society Girl DONE


How beautiful and useful it is to lose oneself in sweetness, to step out of the grey and blackness of these times and find a tree under which the notes that fall are angelic voices with truly captivating melodies, a soft plunge into the benevolent side of an hourglass that protects the compositions to bless the landscapes filled with love, of that poetry that passes over and protects everything. The atmospheres, the inclinations seem to lean towards the Sixties, Seventies, with a psychedelic approach devoid of exaggeration, under the banner of coloured brushstrokes as a fixative that leads to the reservoirs of sadness. Impressive is the thrill one feels thanks to compositions that have nothing to do with sadness, which, however, always seems to be ready to manifest itself: this factor alone would be enough to call this album a precious miracle!

Together with Perry we find the actor from the film so adored by the Old Scribe (Withnail & I): Paul McGann is a heart-warming stove ...  The other creative part is Graham Murphy, a fine chiseller, a creative mind who knows how to fit in perfectly with Perry. They are flowers that seek out cuddles in the compositions, all in an almost silent way, like a music box of pleasure delivered to the childlike souls of our dreams, to enter the paths of a surreal that attracts, with winking phrasing, one temptation after another to exclude phrases and poisons. We seem to escape without running, with the breath entirely in our lungs as our eyes and ears swell with emotion, in a reproductive chain that ends up establishing how immense is the apotheosis of a chaos finally frozen by the delicate feathers of these songs

One strolls between new age trails and petals of world music, with trip hop echoes only hinted at, as if dying on the tip of brushes. Throughout the album, the voice remains the thermometer, the scales, the comet that guides the listener into an emotional world map sealed with one gem after another: among the most sensual works of the last ten years, it cannot but be adopted by your listeners...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://moochinaboutltd.bandcamp.com/album/death-of-a-society-girl-2

La mia Recensione: Clone - CL.1


 

Clone - CL.1


Ecco Brooklyn, viva e vegeta, ancora pulsante, vogliosa di cambiare il mondo, di esprimere le proprie necessità artistiche e culturali: è sempre benvoluta.

Assistiamo all’album di debutto della formazione denominata Clone e l’abbracciamo, vista la qualità che emerge da queste dieci composizioni, così vibranti, ferrigne, muscolari, con una poderosa determinazione a unire il rock al post-punk, senza far mancare la riflessione che i testi sanno porgere, come un dolce pugno nello stomaco. Il quartetto prevede due tastiere, due chitarre, un basso e la batteria.

Il cantante, LG Galleon, suona la chitarra e la tastiera, come Dominic Turi, per un lavoro che nella sua globalità vive di grandi vicinanze con la carriera dei Sonic Youth degli anni Novanta, e l’intenzione di elaborare brani che sappiano mantenere alta la concentrazione e l’attenzione. Chitarre potenti, il cantato ribelle, un batterista che conosce la modalità per trasportarci in danze scomposte, oblique, dove il basso esprime la magia della precisione e di connessioni con generi meno “visibili”, ma che caratterizzano la poliedricità dell’intero ensemble americano.

La vita degli individui qui viene messa sotto pressione, analizzata e criticata, con una spinta continua volta a individuare risposte e offrire energie sufficienti per un cambiamento, sempre in un emisfero urbano in cui è più semplice individuare le negatività. Un amalgama perfetto, irritante nell’accezione positiva, in quanto la band sa come stimolare reazioni, offrendo un servizio enorme.

La ricerca melodica, presente, affianca la ritmicità e il dato rilevante è costituito dall’assenza di una canzone che sovrasti le altre: un’incredibile continuità che lo fa apparire quasi come un concept album. 

Un fascio evidente di spontaneità compare unendosi a una progettualità altrettanto palese: l’impressione è quella di lunghe ore nella sala prove a scaldare il cuore di ogni istinto e imparare a governarlo dandogli un compito, per un'assimilazione finale che sconcerta piacevolmente. Sembra di vedere scomparire la modernità e di tornare ai sogni, alla rabbia, all’istinto rapace di una gioventù non intenzionata a oziare, bensì a scaldare i propri motori e a instillare una benzina anfetaminica negli strumenti. 

Insides è l’esempio lampante, la miccia che prende fuoco e che lascia la pelle come incatramata, in una corsa interiore più che fisica, come un richiamo tribale che entra nelle strade di New York, per irritare e spaventare.

Dividing Line è un clamoroso esempio di atleticità mentale, una meteora che ossida i nervi attraverso la sua struttura psichedelica all’insegna di un ritmo che galvanizza con inserti di chitarra potenti.

Dazzle è la gemma nevrotica che espande le proprie tossine in un sodalizio immaginario con i Sonic Youth ancora dotati della volontà di graffiare il mondo.

Con il brano finale Resurrection si assiste a un congedo che dimostra tutto il lavoro di elaborazione degli impeti, orchestrati per generare un caos inevitabile, in cui il cantato diventa un martello pneumatico con il suo “come back”, accerchiato da chitarre assetate di tristezza.

Ma, se potete e volete, soffermatevi sulla stella alpina di Redeemer, l’episodio in cui tutto sembra camuffare gli episodi precedenti per poi invece rappresentarli al meglio quando la batteria inizia a picchiare e il cantato sembra essere un urlo educato con il compito di rappresentare la sofferenza, non mancando tuttavia di visitare il sogno. Un momento strepitoso che sicuramente porterà alla vostra memoria l’epopea alternative rock americana degli interi anni Novanta.

Un album micidiale, essenziale e coinvolgente che sarebbe bene sollecitasse le menti spente e arrese…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://clonebk.bandcamp.com/album/cl-1


My Review: Clone - CL.1


Clone - CL.1


Here is Brooklyn, alive and well, still pulsating, eager to change the world, to express its artistic and cultural needs.

We attend the debut album of the band called Clone and embrace it, given the quality that emerges from these ten compositions, so vibrant, ferocious, muscular, with a powerful determination to unite rock and post-punk, without lacking the reflection that the lyrics can deliver, like a sweet punch in the stomach. The quartet consists of two keyboards, two guitars, a bass guitar and drums.

The vocalist, LG Galleon, plays guitar and keyboard, as does Dominic Turi, for a work that in its entirety has great proximity to the career of Sonic Youth of the 1990s, and the intention to elaborate songs that know how to maintain high concentration and attention. Powerful guitars, rebellious vocals, a drummer who knows the way to transport us in decomposed, oblique dances, where the bass expresses the magic of precision and connections with less 'visible' genres, but which characterise the versatility of the entire American ensemble.  The lives of individuals here are put under pressure, analysed and criticised, with a constant push to find answers and offer sufficient energy for change, always in an urban hemisphere where negativity is easier to spot. A perfect amalgam, irritating in the positive sense, as the band knows how to stimulate reactions, offering an enormous service.

The melodic research, which is present, flanks the rhythmicity and the remarkable fact is the absence of a song that overpowers the others: an incredible continuity that makes it appear almost like a concept album. 

An evident bundle of spontaneity appears united with an equally evident projectuality: the impression is that of long hours in the rehearsal room warming the heart of each instinct and learning to govern it by giving it a task, for a final assimilation that is pleasantly disconcerting. We seem to see modernity disappear and return to the dreams, the rage, the rapacious instincts of a youth not intent on lazing around, but rather on warming up its engines and instilling an amphetamine petrol into its instruments.  Insides is the glaring example, the fuse that catches fire and leaves the skin as if tarred, in an inner rather than physical rush, like a tribal call that enters the streets of New York, to irritate and frighten.

Dividing Line is a resounding example of mental athleticism, a meteor that oxidises nerves through its psychedelic structure in a rhythm that galvanises with powerful guitar inserts.

Dazzle is the neurotic gem that expands its toxins in an imaginary association with Sonic Youth still endowed with the will to scratch the world.

With the final track Resurrection we witness a farewell that demonstrates all the processing work of the impetuses, orchestrated to generate inevitable chaos, in which the vocalist becomes a jackhammer with his "come back", surrounded by guitars thirsty for sadness.  But, if you can and want to, linger on the edelweiss of Redeemer, the episode in which everything seems to camouflage the previous episodes, only to represent them at their best when the drums start beating and the singing seems to be a polite scream with the task of representing suffering, yet not failing to visit the dream. An amazing moment that will surely bring back your memory of the American alternative rock epic of the entire nineties.

A killer, essential and addictive album that would do well to stir the dull and surrendered minds...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://clonebk.bandcamp.com/album/cl-1

 Clone - CL.1


martedì 18 giugno 2024

La mia Recensione: James - Live in Manchester 14 June 2024 Co-Op Live Arena



James - Live in Manchester

14 Giugno 2024 Co-Op Live Arena


È sempre un insieme di prospettive quelle che compongono l’unione di persone, partendo da quella fisica per arrivare a quella attitudinale e comportamentale. Se si raggruppano ventitremila e cinquecento creature per un concerto tutto si moltiplica, per raggiungere il cielo dove vengono esaminate le bolle di vapore che fuoriescono dalle anime coinvolte. Essere presenti a tutto questo, partecipare con sguardo attento e cuore aperto per essere parte di questa esperienza della band Mancuniana, confermare un amore assoluto, perdersi nella bellezza dell’evento, trovare nuove melodie interiori certifica il valore di questa moltitudine, in una serata epica ed energizzante, nella quale era difficile rimanere indifferenti.

C’è chi ha messo l’accento su alcuni limiti della nuova venue, probabilmente per il piacere malsano della polemica, dimenticando che alla fine ogni singola situazione sfugge allo sguardo e all’interesse di chi non vive quelle determinate lacune. La nuova arena ha comunque ospitato una possibilità che i James hanno onorato con una prestazione eccellente, un abbraccio collettivo continuo, un sorriso, una stretta di mano bella salda, un eco continuo di emozioni e pensieri che si inseguivano, determinati dalla loro ancora viva passione e determinazione nel fare di uno spettacolo una serata ludica, onirica, vitaminica, in cui l’encefalogramma e il battito del cuore si sono trovati sempre sulla zona del fremito, dell’esplosione gentile di una gioia che con i nove membri non conosce data di scadenza. Il tutto maggiorato dal quartetto del coro Inspirational Voices di Manchester, con il risultato di ampliare la spiritualità dei testi e la loro forza evocativa già grande per conto suo.

Ventuno momenti e la sensazione che la scaletta abbia messo a fuoco la coralità dei brani, in una successione avvolgente, ben spalmata, tenendo continuamente alta la tensione e l’attenzione. C’è chi non ama i grandi luoghi per i concerti (il Vecchio Scriba è tra questi), ma poi una situazione come questa mescola le carte e il gioco cambia, si arriva allo stupore e al beneficio, inatteso, dimenticando le proprie esigenze, vedendosi trasformati in veicoli che portano a bordo le novità e sentendosi migliori. Nove dei loro diciotto lavori hanno trovato spazio con canzoni che hanno dato al tempo il timbro della complicità, del ricordo, e l’ultimo album Yummy ha ancora una volta dimostrato la capacità della band di farci sentire tutto come nuovo, diversificato, come un’ennesima nascita che cambia le interpretazioni ormai storicizzate in questi due mesi dall’uscita, per ampliare il nostro benvenuto e il nostro grazie più sincero. I James sanno addomesticare le riluttanze, i rifiuti, dare uno scossone a chi storce il naso e consegnare alla storia del loro favoloso percorso artistico un’ulteriore medaglia al valore. 

I loro spettacoli sono gravidanze e parti naturali, nei quali intelligenza, pathos, impulsività, slanci tra il razionale e il bisogno dell’attimo vengono compattati, senza filtri, per generare nuovi figli, e le trame che fuoriescono da tutto questo sanno essere sconvolgenti, in quanto loro sanno dare alla bellezza un senso diverso, soprattutto vestendo il senso di nuovi umori, colori, odori, con il risultato di ascoltare un intero nuovo disco.

Il palco è il loro giardino, il loro tappeto, dove i corpi esercitano pratiche yoga immaginarie e la mente vola sugli orizzonti di occhi pronti a cibarsi, a ritrovarsi vestiti di incanti e vibrazioni. 

Saul Davies ha giustamente riconosciuto a Jim Glennie il merito di aver formato la band più di quattro decadi fa, una band nella quale molti sono arrivati e molti se ne sono andati, ma lui è la colonna di una intenzione e di una capacità di assemblare nel progetto la vitalità, la capacità di scrutare, il mettersi in gioco responsabilizzando, gentilmente, chi in quel momento fa parte della formazione. 

Non ci sono forme di esibizione, sterili tentativi di accattivarsi il favore del pubblico, ma il desiderio di far trasudare professionalità, di spendere le abilità, di rinnovare il repertorio delle capacità per elevare il tutto in un percorso dove la luce vera è data da tutto questo, malgrado, sia chiaro, il gioco sul palco offrisse una forma spettacolare. Il vecchio Scriba non ama molto l’incontro di arti diverse in un concerto, ma durante questo si è ricreduto e non poco, perché nulla ha tolto potere alle note musicali che, ripeto, non si vedono ma si sentono.

Tanti i momenti nei quali le lacrime si sono ritrovate sospese nello spazio della Co-Op: durante Ring The Bells, Better With You, Shadow Of A Giant, Way Over Your Head, Rogue, Sound tutto questo è accaduto, senza ritrosie.

Ma con Jam J credo si sia toccato il cielo, in quanto la forza del groove, l’estensione melodica, la danza tribale e l’esplorazione dei suoni hanno donato ai membri del gruppo un prato dove disegnare intensità, grandezza e ricerca, sia intima personale che collettiva.

Su Mobile God l’impianto visivo ha coinvolto l’attenzione, la riflessione, e la tecnologia, in questo caso, ha fatto molto bene il suo dovere, proiettando le nostre consapevolezze verso e dentro il futuro, dispensando confusione e smarrimento, paura e grande curiosità, per un risultato davvero effervescente.

Sometimes è stata ancora una volta la scintilla di un amore che abbraccia il passato confermando la verità nelle parole del ritornello, sempre più necessarie e clamorose, un fiume che raccoglie i bastoni delle nostre esistenze per portarli nell’oceano fluorescente del gruppo di Manchester. Una dichiarazione collettiva che precede il futuro, ogni volta…

Tim Booth si è concesso come sempre, ma ciò che è risultato evidente è stata la sua grande curiosità, attenzione, portando il suo spirito critico a essere un raggio di sole, tra sorrisi, strette di mano, richieste e speranze.

Il pubblico è cambiato in questi anni, credo non ci si debba vergognare nell’affermare in peggio, con alcune persone che non hanno avuto rispetto degli altri. Ma alla fine ha vinto la voglia di partecipare donando il meglio di sé, in un senso collettivo in cui la pulizia dell’anima ha avuto la meglio sugli aspetti più beceri.

Gli inni scritti negli anni hanno confermato l’empatia e la partecipazione corale, un happening evidente, ma anche le altre canzoni hanno saputo generare flussi di gioia. Beautiful Beaches ne è l’esempio più lampante.

L’encore, nella sua perfezione, ha congedato le tredici presenze sul palco, lasciando però intatta la connessione mentre si usciva dalla venue, con facce, discorsi e canti che hanno fatto sì che nulla si potesse considerare concluso. Ed è proprio lì che si determina il successo, il senso, la forza di una serata…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

19th June 2024 

La mia Recensione: Boulder Fields - With All the Other Ghosts

Boulder Fields - With All the Other Ghosts Anche i musicisti hanno un pedigree e spesso è la base di una serie di sicurezze che avvolgono ...