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mercoledì 15 marzo 2023

La mia Recensione: Kill Shelter & Death Loves Veronica - The Sex Tape Sessions EP

 Kill Shelter & Death Loves Veronica - The Sex Tape Sessions EP


Il vecchio scriba adora Pete Burns: un veicolo di tensioni necessarie, il fedele suddito del Dio della bellezza sporca, il magnete che sviluppa la più dolce delle dipendenze.

Con lui si è sempre in attesa, come fatto primario, delle sue composizioni, per poter assaggiare il lato cittadino del vivere, dato dalla scia di acute osservazioni che sa trasformare in cupe danze.

Con l’EP The Sex Tape Sessions eccoci a godere della voce di Veronica Stich, come sempre la domatrice, che sa governare e plasmare gli istinti per trasformarli in atti di ardori incommensurabili. Lei e Pete stabiliscono un piano di attacco e prendono il mondo degli amplessi, delle frustrazioni, del contatto fisico, del registro delle emozioni e lo gettano in un riff elettronico che ha il compito di essere il loop magistrale sul quale la voce diventa un battitore libero, tra il cantato sensuale e dolcemente immalinconito e l’atto dell’inspirazione saggiamente perversa, che guida i nostri pensieri in un ballo sfrenato che, come da copione, ci trasforma in animali semoventi.

Ci troviamo così in una dark electro capace di suggestioni, una calamita che chiama a sé, in modo davvero attraente (non poteva essere diversamente), un filo con molecole ebm e un altro pregno di un synthpop lieve ma concreto. Si celebri un capriccio delizioso: un pensiero minimalista dentro una robotica sequenza che induce all’abbandono di ogni volontà, lasciandoci come unica possibilità quella di essere corpi in movimento alla ricerca di un contatto fisico, che probabilmente sarà all’interno di giochi mentali gotici.

I due creano una dolce e malata perversione: si entra in un ascolto continuo e tutto scompare, mentre davanti ai nostri occhi si installano immagini provocanti, nelle quali la canzone si tuffa per stabilire un contatto intenso. 

Abbiamo modo di ascoltare la complessità di creazioni che vestono i generi cercando di immergerli in un bagno che li renda perfettamente funzionanti, eterogenei, indipendenti e al contempo in grado di vivere insieme. Veronica e Pete si dividono i compiti, costruendo un muro elettronico che rende la musica un continente di suoni e di flussi in costante perlustrazione, con il compito di esaltare il trinomio Musica - Voce - Clima, riuscendo a far arrivare un’onda continua di meccaniche oliate e verificate. Ci si ritrova con pulsioni vertiginose: uno stordimento che la coppia artistica sa come procurare, senza sbavature. 

The Sinner è una collina erotica che cola con il suo andamento robotico fluorescente, con tracce di Ebm che pare arrivino dall’abbraccio ipotetico di Londra con Edimburgo nel finire del decennio scorso: amletica, conquista senza avere opposizioni. 

Il brano che dà il titolo all’EP presenta due versioni: gemelle dalla pelle diversa, entrambe in grado di scatenare una rissa orgasmatica dei sensi, perché è un diluvio di nubi sulle dance hall, un precipitare dentro il mistero della fisicità che parla con la mente. La versione Remix potrebbe essere la colonna sonora di un viaggio spaziale, dove tutto si fa assordante in un modo ineccepibile. 

Death Kiss è il trionfo: i generi musicali si buttano nella voce di Veronica ed è un mulino a vento, di forma sintetica, che ammalia e spinge la danza a farsi robusta, con un piano melodico dato dalle sue corde vocali, che si combinano perfettamente alla musica: due suicidi che fanno vivere emozioni accattivanti. Il Synthpop e la Dark Electro vengono uniti senza creare stupide gelosie, ed e delirio, ed è trionfo.

Con Resist la perfezione si legge, si ascolta, si vede, come un temporale elettronico che cerca poesia e la trova: schegge di Darkwave avanzano con lampi e bagliori che illuminano questo incanto che oltrepassa il cielo. Sul finire un synth pare voler far accomodare la Coldwave e si cede innanzi alla perfezione.


Concludendo: questo lavoro è un sublime trattato di elettrodi Dark Electro che accendono la luce del mistero: la voce di Veronica è una pellicola di seta che aspira l’aria, mentre l’onda musicale è in grado di portarci nella Germania degli anni ’80 e ’90, quando sbaragliava la concorrenza. E di proseguire la sua ricerca e la sua consequenziale consapevolezza che questa alleanza artistica abbia trovato l’oro nel buio dell’infinito…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15 Marzo 2023

L'EP uscirà il 17 di Marzo 2023




My Review: Kill Shelter & Death Loves Veronica - The Sex Tape Sessions EP

 Kill Shelter & Death Loves Veronica - The Sex Tape Sessions EP


The old scribe adores Pete Burns: a vehicle of necessary tension, the faithful subject of the God of dirty beauty, the magnet that develops the sweetest of addictions.

With him one is always waiting, as a primary fact, for his compositions, to be able to taste the city side of living, given by the wake of acute observations that he can transform into sombre dances.

With the EP The Sex Tape Sessions, we enjoy the voice of Veronica Stich, as always the tamer, who knows how to govern and mould instincts into acts of immeasurable ardour. She and Pete establish a plan of attack and take the world of complexities, frustrations, physical contact, the register of emotions and throw it into an electronic riff that has the task of being the masterful loop on which the voice becomes a free beater, between the sensual and sweetly woozy singing and the act of inhaling wickedly, guiding our thoughts in a wild dance that, as per script, turns us into self-propelled animals.

Thus we find ourselves in a dark electro capable of suggestion, a magnet that calls to itself, in a truly attractive way (it could not be otherwise), one strand with ebm molecules and another filled with a light but concrete synthpop. A delightful whimsy is celebrated: a minimalist thought within a robotic sequence that induces the abandonment of all will, leaving us as the only possibility to be bodies in motion in search of a physical contact, which will probably be within gothic mind games.

The two create a sweet and sick perversion: we enter into a continuous listening and everything disappears, while in front of our eyes provocative images are installed, in which the song dives to establish an intense contact. We get to listen to the complexity of creations that dress up genres by trying to immerse them in a bath that makes them perfectly functional, heterogeneous, independent and at the same time able to live together. Veronica and Pete share the tasks, building an electronic wall that makes the music a continent of sounds and flows in constant patrol, with the task of enhancing the Music-Voice-Climate trinomial, succeeding in delivering a continuous wave of oiled and verified mechanics. One finds oneself with vertiginous impulses: a stunner that the artistic couple knows how to procure, without smearing. 

The Sinner is an erotic hill dripping with fluorescent robotics, with traces of Ebm that seem to come from London's hypothetical embrace with Edinburgh at the end of the last decade: Hamletic, conquering without opposition. 

The EP's title track features two versions: twins with different skins, both capable of triggering an orgasmic brawl of the senses, for it is a deluge of clouds over dance halls, a plunge into the mystery of physicality that speaks to the mind. The Remix version could be the soundtrack to a space voyage, where everything becomes deafening in an unexceptionable way. 

Death Kiss it is a triumph: musical genres are thrown into Veronica's voice and it is a windmill, synthetic in form, that bewitches and drives the dance to become robust, with a melodic piano provided by her vocal chords, which combine perfectly with the music: two suicides that bring captivating emotions to life. Synthpop and Dark Electro are united without creating silly jealousies, and it is a triumph.

With Resist perfection is read, listened to, seen, like an electronic thunderstorm that seeks poetry and finds it: splinters of Darkwave advance with flashes and flashes that illuminate this enchantment that goes beyond the sky. At the end, a synth seems to want to make Coldwave sit up and give way to perfection.


In conclusion: this work is a sublime treatise of Dark Electro that illuminates the light of mystery: Veronica's voice is a silk film that sucks in the air, while the musical wave is able to take us back to the Germany of the 80s and 90s, when she was beating the competition. And to continue her quest and her consequential awareness that this artistic alliance has struck gold in the darkness of infinity...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15th March 2023



The EP is no 17th March 2023


https://killshelter.bandcamp.com/album/the-sex-tape-sessions-ep




mercoledì 8 marzo 2023

La mia Recensione: SLAXXX - Thin Air

 SLAXXX - Thin Air


Cos’è l’urgenza artistica? Assomiglia alla passione in transito che definisce lo spazio, se il tutto è riferito ai Londinesi SLAXXX, memorabili maghi contemporanei, in esilio dalla capitale inglese per trasferirsi nelle dance floor del mondo con dentro il loro DNA segni evidenti di quegli anni ’80 di cui sin da allora il vecchio scriba aveva predetto l’eternità. Ma dentro questo singolo abbiamo la freschezza pulsante di un nuovo Post-Punk, perfettamente inserito in un Synthpop mascherato, nutrito di parcelle elettroniche che ne esaltano il respiro, mentre le gambe si esibiscono in conteggi e capriole. Sul piano creativo è notevole il gioco armonico, le pause, gli stop and go, con le voci che oscillano con riferimenti solo apparentemente di facile intuizione. Invece: esistono mondi inesplorati che esibiscono il loro valore per  fare di questa Thin Air un missile dall’anima buona, capace solo di ferire il brutto ed esaltare il bello, per quasi quattro minuti di una grigia gioia contagiosa…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
8 Marzo 2023




My Review: SLAXXX - Thin Air

 SLAXXX - Thin Air


What is artistic urgency? It resembles the passion in transit that defines space, if it refers to London's SLAXXX, memorable contemporary wizards, in exile from the British capital to move to the dance floors of the world with within their DNA clear signs of those 80s whose eternity the old scribe had predicted even then. But inside this single we have the pulsating freshness of a new Post-Punk, perfectly placed in a disguised Synthpop, nourished with electronic parcels that enhance the breath, while the legs perform counts and somersaults. On a creative level, the harmonic interplay is remarkable, the pauses, the stop-and-go, with the voices oscillating with references that are only seemingly easy to understand. Instead: there are unexplored worlds that display their worth to make this Thin Air a missile with a good soul, capable only of wounding the ugly and exalting the beautiful, for almost four minutes of infectious grey joy…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th March 2023


https://slaxxx.bandcamp.com/album/thin-air


giovedì 12 gennaio 2023

My Review: Blood Moon Wedding - Spell

Blood Moon Wedding - Spell


There are miracles of heaven that show their face by sticking inside a song, as a gesture of absolute value, because music can still be a message from the gods. And they have chosen two souls who live physically distant but absolutely intimate artistically, prompting them to write an intense, truthful song, pregnant with conscious particles to let us know that there is much to be done for those who want to inhabit life and its places. Mia Dean and Steve Lake's awareness swims with bitter lyrics and heavy music kept afloat by the melody of the American artist's singing that is truly sublime and light, almost close to the clouds, but then Zounds' leader, with his vocal part, brings the song back into our stomachs. 

Something magical and cloudy sticks to our ears: these are sensory oscillations that seduce and penetrate the mind. This duo launch a determined attack on our weaknesses, but perhaps a song can actually be useful to understand our surroundings and to lead us to growth. 

It is interesting to note that defining what you hear can certainly be of little use, but an attempt must be made.

Rock is dressed in the guitars of The Blue Aeroplanes of Jacket's Hangs with the roar of New Model Army, with the addition of a guitar solo that brings a post-punk modality capable of giving warm chills.

A back-and-forth between the two voices, between the two protagonists, and the story unfolds with this tense atmosphere that clings to us and refreshes the mind: we have a chance to listen to what will shape our thinking and it is one of the most beautiful gifts at the beginning of the year!

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

13th January 2023

https://bloodmoonwedding.bandcamp.com/track/spell

https://www.youtube.com/watch?v=0eKp3v_ihdI&t=49s













La mia Recensione: Blood Moon Wedding - Spell

Blood Moon Wedding - Spell


Ci sono miracoli del cielo che mostrano il loro volto conficcandosi all’interno di una canzone, come gesto di assoluto valore, perché la musica può ancora essere un messaggio degli Dei. E loro hanno scelto due anime che vivono fisicamente lontane, ma assolutamente intime artisticamente, spingendole a scrivere un brano intenso, verace, gravido di particelle coscienti per farci sapere che c’è molto da fare per chi vuole abitare la vita e i suoi luoghi. La consapevolezza di Mia Dean e di Steve Lake nuota con un testo amaro e una musica greve tenuta a galla da una melodia del canto dell’artista americana davvero sublime e leggero, quasi vicino alle nuvole, ma poi il leader degli Zounds, con la sua parte vocale, riporta il brano dentro il nostro stomaco. 

Qualcosa di magico e torbido rimane appiccicato alle orecchie: sono oscillazioni sensoriali che seducono e penetrano la mente. Questo duo sferra un deciso attacco alle nostre debolezze, ma forse una canzone può davvero risultare utile per capire il circostante e condurci alla crescita. 

Interessante notare che definire ciò che si sente può risultare sicuramente poco utile, ma un tentativo occorre farlo.

Il rock si veste delle chitarre dei The Blue Aeroplanes di Jacket’s Hangs con il fragore dei New Model Army, con in aggiunta un solo di chitarra che apporta una modalità Post-punk in grado di regalare brividi caldi.

Un botta e risposta tra le due voci, tra i due protagonisti, e la storia si sviluppa con questa atmosfera tesa che avvinghia e ristora la mente: abbiamo l’occasione per poter ascoltare ciò che ci formerà il pensiero ed è uno dei più bei regali di inizio anno!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

13 Gennaio 2023

https://bloodmoonwedding.bandcamp.com/track/spell

https://www.youtube.com/watch?v=WSmCoT4rgMo





mercoledì 23 novembre 2022

La mia Recensione: Ultravox! - Ha! Ha! Ha!

Ultravox! - Ha! Ha! Ha!

“Avremo bisogno di conservare per più tempo possibile la traccia, l'identità congelata della nostra decadenza.”

Giorgio Falco


Non siamo immuni dalla decadenza, avendo scelto di maritare il progresso e quindi seppellire valori, abitudini, possibili appigli. Ci si è velocemente connessi al cambiamento e ai suoi deliri, che abbisognano di tempo per essere smentiti e che raramente capita di vedere.

Ecco allora la musica, spugna epocale dei passaggi, di stratificazioni che tendono a esaltare, spingendo l’ascoltatore al convincimento.

Si era quasi alla fine del 1977, al termine del periodo nel quale il Punk stava facendo scivolare la sua breve storia nel cestino, nella zona “oggetti inutili”, e molti ragazzi, più saggi di parecchi adulti, colsero l’occasione per fare di quel movimento artistico qualcosa da cui prendere solo la parte migliore. Il Post-Punk fu innanzitutto una vicenda di costruzione di nuovi valori e il basamento per connettere arte e cultura su un piano decisamente migliore. 

Tra i primi sicuramente ci furono gli Ultravox, band culto e esseri umani dalle molteplici capacità, in grado di disegnare, all’interno di una immensa creatività, la mappa di attitudini con l’intenzione di scaldare l’ingegno e raffreddare l’impeto del Punk. La loro musica era solo la parte che emergeva maggiormente, ma all'interno dei loro percorsi intellettivi vi erano processi evolutivi di grande spessore. Molteplici e fuori moda. Imponenti e coraggiosi. Spavaldi e saggi, con il misuratore di una intelligenza naturale coniugata a quella artificiale. Una navicella spaziale in orbita dentro il pianeta terra per portare le informazioni al mistero dell’inconscio. Questo e tanto altro sono le particelle visibili a occhio nudo del loro indiscutibile peregrinare tra mistero e pazzia senza redini.

Dopo l’album di esordio, uno dei migliori di sempre e tenuto magistralmente a bada dall’ignoranza discografica e collettiva, il secondo fu un gioiello dadaista, il figlio dei fiori di una ribellione composita e ingovernabile, con il suo mutare costante, senza il mantello soffocante di definizioni qualunquiste. 

Capace di tenere una luce finta sul punk, lo affossa e lo spurga da ogni tediosa tendenza nichilista, trasformando l’impeto in una selvaggia parata tra nonsense e follia ripulita dall’esagerazione, per far invece venire a tutti l’idea che dopo un tramonto brutto esista un mattino in cui il sole deve arrivare solo attraverso una musica che, oltre a non dimenticare il passato, illumini il bisogno di un futuro dai nuovi raggi. Un album capace di usare il fuoco non come distruttore del tutto, bensì come metodo per disinfettare le ferite e rifare il letto del mondo occidentale. 

Con una valanga di accenni musicali capaci non di spaziare tra i generi musicali ma di collegarli alla geniale convivenza, questo è il culmine del loro fragore interiore ed estetico, un epitaffio precoce, dove tutto ciò che doveva morire trova la sua lapide, piena di oscillazioni sonore, riferimenti acculturati e la diabolica impressione che a essere defunto è un certo concetto dell’arte: anestetizzata la semplicità, i cinque crearono mulini a vento tra le note, con caleidoscopici affreschi, di incontenibile bellezza. 

Destinazione? L’Olimpo che non riproduce ciò che va lasciato all’originalità.

Perché senz’altro questo lavoro presenta un collage visivo senza precedenti, sapendo perlustrare le fruibili esigenze e proposte di cui l’arte musicale necessitava, concludendo la prima parte della fulgida esistenza della band con il figlio legittimo dell’esordio, ma impedendo al terzo di avere le stesse caratteristiche e capacità così rilevanti.

Ha! Ha! Ha! è l’ingresso anticipato di quei anni '80 che volevano la separazione a tutti costi dai ’70. Ed eccolo il primo ruggito del nuovo che desiderava emergere, ma senza averne consapevolezza.

Dalla periferia del mondo arriva la vita superficiale ad attivare nuove emergenze e gli Ultravox saranno tra i pochi a determinarne il senso e il valore con canzoni pilota.

Su otto composizioni solo 2 vedono, tra gli autori, tutti e cinque i membri della band: segno rivelatore di una centralità compositiva determinata soprattutto da John Foxx, Currie e Cross, senza però togliere agli altri due membri, Cann e Shears, la possibilità di contribuire a un disco che come segno primario rivela il suono collettivo di una nuvola pesante, in grado di spargere raggi pieni di invenzioni molteplici e ben legate a una spaventosa duttilità di strumenti, che perdono il senso convenzionale per essere indirizzati verso una egemonia sorprendente e scambi di identità.

Un album che genera influenze continue, con l’occhio vigile nel guardare al recente passato, il genitore meno famoso di un’onda, di un impeto che vide quei primi dieci mesi del 1977 come, forse, i più generosi e fluidi degli interi anni ’70. Il giovane produttore Steve Lillywhite inizierà proprio con gli Ultravox a esplorare soluzioni di impatto collettivo, a dare libertà alle sue innovazioni per consentire alla band di abbattere i confini dei limiti. Il suono si fa riflessivo, aggressivo, lancinante, voluminoso, esplorativo e molto sensuale. Non mancano le zone folli e cupe per un perfetto crocevia sensoriale che è in grado di essere devastante e premonitore di lì a breve di una fioritura artistica incontrollabile: il futuro inizia in queste otto tracce, dove il rock e l’elettronica si prendono l’onere di ruoli marginali ma fissano un gemellaggio che si rivelerà di indiscutibile valore.

Scrittori di un romanticismo moderno e di una chimica elettronica che sfiora la freddezza più acuta, i ragazzi avvolgono le ipotesi di un senso pratico indiscutibile, rinnovando il guardaroba musicale attraverso l'invenzione di una nuova stagione: quella della zona lunare della paura che trova il coraggio dell’autoanalisi. Sono capaci di responsabilizzare il ruolo sociale di informazioni che, tra sconvolgimenti e razionalità, abbisognano di un luogo dove possano essere riconosciuti. 

Il rock viene decomposto, fatto avvicinare alla ricchezza del glam (sicuramente in qualità minore rispetto al successivo Systems of Romance), alla pulsione arrogante di suggestioni progressive minimaliste e alla integrazione di stile punk per lo spazio necessario per non escludere quel genere musicale che così tanto aveva fatto sperare chi non capiva che era nato già morto. Gli Ultravox gli diedero una splendida sepoltura ricordandolo per il tempo necessario.

Pionieristico, intraprendente, sganciato da schemi soffocanti, questo lavoro diventa l’alba del futuro, senza affossare il passato e già per questo motivo da considerarsi un capolavoro, essenziale per capire, studiare quel periodo e per tracciare nuove direzioni, dove su tutto si eleva il matrimonio artistico tra John Foxx, il londinese con cittadinanza nell’universo di una incontenibile saggezza, e Billie Currie, il mago della esplorazione e al contempo della sintesi sonora, capace di scovare il segreto della perfetta miscelanza tra scoperte e confermate attitudini stilistiche.

Non sarebbe corretto non riconoscere agli altre tre il loro contribuito ad una progettazione stilistica di avanguardia, donando un senso di insieme quasi unico. Londra capitale del fermento, di un sentire che prevedeva e precedeva, innaffiando la scelta di nuovi entusiasmi. Gli Ultravox di Ha! Ha! Ha! proiettarono la forma canzone nel bisogno di una nuova energia, di smentire chi la voleva ancorata a dei limiti e a delle regole. Il loro stato connettivo riempì le canzoni di un furore diverso, mise le abrasioni della scomodità a disposizione della genialità, dandole ringhiosi approcci, che, con tastiere e sintetizzatori malinconici e lugubri, aveva gettato le basi per  nuovi accessi a melodie e per ritmi in attesa di esposizione.

Non perdiamo tempo: una buona osservazione di queste canzoni forse aiuterà  a capire meglio di quale immensità vi sto parlando.


Song by Song


1 Rockwrok


Si incomincia con una danza eletto-punk, il corpo che sprinta su chitarre lancinanti e graffianti e un piano ossessivo, con l’ombra ribelle dei Roxy Music a tenere vivace la tensione.


2 The Frozen Ones


I Simple Minds ruberanno clamorosamente l’attacco iniziale di questa canzone divisa in due parti: di atmosfera, suggestiva, melodica, per poi divenire un TGV, con un assolo stridulo su una base synth semplice ma efficace, mentre il basso devasta lo spazio rimanente per un risultato davvero in grado di riassumere i primi sette anni di rock alternativo.


3 Fear In The Western World


Precursore dello stile degli imminenti The Police nei primi secondi del brano, tutto si compatta nel cantato allucinato di John Foxx, una scarica di parole che aprono il cielo. Nel ritornello la chitarra si fa sbilenca, sino ad esaltare il basso che farà scuola.


4 Distant Smile


I Cure di Robert Smith prenderanno parecchio dalla parte iniziale di questa canzone per i loro Seventeen Seconds e The Top: quando l’horror music si avvicina al cabaret per suggerire inquietudine e mistero. Tutto si fa nebuloso e tetro sino a raggiungere la drammaticità con suoni dissonanti e contemplativi di una dolcezza dal sorriso amaro. John Foxx poi raggela e la chitarra di Stevie Shears raggiunge l’Everest con la sua schizoide propensione a stiracchiare le corde.


5 The Man Who Dies Everyday


In un ipotetico incontro tra Kraftwerk e Television, la canzone è una marcia vocale ipnotica con la parte musicale a suggerire ipotesi di catastrofi industriali tenute con eleganza su un piano catartico, dove tutto fuoriesce compatto. Strabiliante esibizione di come gli strumenti sappiano coinvolgere gli altri, in un gioco di comparse e scomparse che definiscono il tutto su un piano di perfezione assoluta.


6 Articial Life


Su un piano di coinvolgimento spiazzante, le tastiere impazzano crude con la chitarra ritmica a cementare, solidificare questa galassia di pulsioni, dove il cantato di Foxx prepara il terreno alla teatralità di Peter Murphy di lì a poco. La chitarra infiamma l’aria, il basso tira colpi nello stomaco e la batteria consolida il tutto per una dimostrazione di potenza dove esiste un clamoroso passaggio di consegne: la musica diventa luogo di coinvolgimento totale. Sino all’accelerazione finale a gettarci in un burrone di detriti metallici.


7 While I’m Still Alive


Forse la meno nota dell’album, ma indubbiamente quella che presenta la più grande commistione di stili e approcci musicali. Una elegante processione melodica, non priva di tensione e mistica propensione a consolidare il rock capace di intossicarsi di bellezza e insicurezza. Stacchi Glam, quasi al limite dell’hard rock sapientemente camuffato, donano ampi spazi immaginifici, per pilotare la mente verso una doverosa domanda.


8 Hiroshima Mon Amour 


Si conclude questo straordinario percorso di incredibile valore e di disumana bellezza con la calata nelle tenebre portando il merito di aver inventato il synthpop con un indirizzo teatrale imponente e l’uso della drum-machine, per conferire all’insieme un senso algido, un brivido che il sax di C.C. cerca di scaldare, sciogliere, per dare un senso umano a questa pioggia di lapilli tecnologici, riuscendo a creare un insieme cacofonico e subliminale per un’atmosfera unica e perfetta. Se il delirio ha modo di essere calmo e sottile allora si chiama Hiroshima Mon Amour…


Produttori: Ultravox!, Steve Lillywhite


Alex Dematteis

Musicshockworld

24 Novembre 2022


https://open.spotify.com/album/2qglzVkWCBALdZ8JHMgJhT?si=lFErK3TnSCm6EAE6cIyugA







giovedì 3 novembre 2022

La mia Recensione: v/a Prophecy Progress * Uk Electronics 1978-1990 volume I + 2

 La mia Recensione:


 v/a Prophecy Progress * Uk Electronics 1978-1990 volume I + 2


Alunni.

Sempre.

Senza dubbi.


Si torna finalmente a scuola, nella palestra elettronica che nella seconda metà degli anni 70 spalancò finestre, porte e cieli interi per dare vitalità alla musica che iniziava un periodo di pericolosa stanchezza e ripetitività. 

Si possono considerare meglio, attraverso questa miracolosa e coraggiosa azione della fantastica Label Peripheral Minimal Records (sempre attiva e sempre in grado di offrire generose esibizioni di qualità), tutti quegli artisti innovatori, sperimentali, capaci di una avanguardia feroce e generosa. Tutto ciò si fa necessario nel momento in cui, ingolfati da proposte non sempre valide, occorrerebbe maggior conoscenza della storia, del suo percorso, dei suoi indubbi maestri e precursori.

La Peripheral Minimal Records lo fa dando alle stampe questo clamoroso fiume di suoni, di approcci stilistici, di essenziali frecce cosmiche, di minuti nei quali tutto viene tracciato con precisione e credibilità, per un ascolto educativo e complementare: aggiunge per chi non sapeva, conferma a chi aveva già potuto imparare che in queste tracce si rivelano segreti e patti con l’eternità. 

Moltissimo è partito da questi slanci, da quei bisogni, dalla volontà di consegnare un universo brillante e sostanzialmente necessario per chiunque abbia una propensione per queste vocazioni di corpulenta espressione stilistica.

Questo album è una operazione chirurgica, perfetta: estrae una massa sana da un periodo che va dal 1978 al 1990, anni straordinari ma anche difficili, per il volume di proposte non sempre conosciute e tantomeno specificate.

Avete modo nelle 28 tracce su cd (26 nella piattaforma Bandcamp) di accalorarvi, di trovare gioielli immensi, alcuni sconosciuti, altri con pochi raggi sulla loro pelle, altri che invece credo siano anche già stati nella vostra masticazione.

Ma tutte loro sono miracoli, per capacità, per valore, per una incontestabile propensione a fare da presupposto e da base per sviluppi che, puntuali, nel corso dei decenni sono arrivati, perché questa base era colma di forza, energia e bellezza.

Ed è una corsa nei misteri dello stupore, in canali pulsanti di transistor, tastiere agli esordi, stratagemmi e voli, per analizzare tutto ciò che si muoveva nelle menti, nei cuori, nelle dita di artisti complici di fascinazioni con la bava alla bocca, con la voglia di adoperarsi pienamente in una mastodontica passione.

Frutti acerbi ma prelibati, a volte spettrali, a volte lucidi come il sole di ferragosto, altre volte nebulose con l’intenzione di non scoprirsi troppo: vi sono momenti in cui non si può afferrare del tutto l’importanza, l’inquietudine, l’identità di corpi che in modo meraviglioso sono sopravvissuti al passaggio del tempo.

Ma è turbinio, addensamento di atomi affamati, manifesta capacità di eleganza che ci estorce stupore e devozione, perché vibra in questi minuti il passato che ha generato il presente e tutto il suo percorso nel tempo, per indicizzare i nostri ascolti verso una meticolosa precisione.

Non è una compilation.

Nulla è garanzia di un facile ingresso in questo doppio cd: l’insegnamento vero esiste quando non si smette di imparare, di volerlo fare. E alcuni momenti tasteranno il vostro gusto, la vostra reale volontà di andare oltre tutto ciò perché è evidente che nulla qui è stato composto per farvi saltare in aria in gioiosa attitudine. C’è un po’ di fatica da fare per chi è meno avvezzo ad avere una qualità e capacità diversa nell’ascolto.

E allora sarà possibile annotare, cercare nel loro serbatoio il carburante di una consapevolezza doverosa e necessaria.


Momenti succulenti entreranno, se lascerete aperte le vene della curiosità e dello studio, nei sentieri del vostro ascolto: su tutti i Vice Versa, precursori assoluti, Schleimer K, quattro britannici con le loro fragranze pre-Ebm e Synth-Pop allineate in un peregrinaggio tecnico spaziale, gli spettrali Neu Electrikk, con quaranta secondi che hanno fatto in anticipo la storia dell’horror post-punk, poi trasformato dai Cure in Seventeen Seconds. 


Con i Final Program, i semi dei primissimi The Human League emergono insieme alla lezione del Maestro Klaus Naomi dando come risultato giochi di prestigio sonoro. Stress è un agglomerato di perfida e deliziosa pazzia: sapranno condurvi nei tubi del loro pulsare. Il brano Live dei Hula è testimonianza della sacralità di miscele stilistiche messe sotto frusta da un drumming elaborato e da un basso sacrilego.


Ma tutte le canzoni sono una enciclopedia strutturale conoscitiva di cui impossessarsi per capire il tutto che spesso abbiamo a disposizione e che non vogliamo conoscere.


Fondamentale, andrebbe reso obbligatorio l’acquisto!


Alex Dematteis

Musicshockworld

4 Novembre 2002

https://peripheralminimal.bandcamp.com/album/prophecy-progress-uk-electronics-1978-1990-volumes-i-ii-2?fbclid=IwAR3zkVcLT7IMJUWFAlVLI60oYHuymNRK6Ch6JK0eVt88QAhs7BfK4_YNq-Y





My Review: v/a Prophecy Progress * Uk Electronics 1978-1990 volume I + 2

 My Review:


 v/a Prophecy Progress * Uk Electronics 1978-1990 volume I + 2


Pupils.

Always.

Without doubt.


We return to school at last, in the electronic gymnasium that in the second half of the 1970s threw open windows, doors and whole skies to give vitality to music that was beginning a period of dangerous fatigue and repetitiveness. 

One can better consider, through this miraculous and courageous action of the fantastic Label called Peripheral Minimal Records (always active and always able to give generous quality performances), all those innovative, experimental artists, capable of a fierce and generous avant-garde. All this becomes necessary at a time when, engulfed with not always good proposals, more knowledge of history, its path, its undoubted masters and precursors would be needed.

Peripheral Minimal Records does this by giving to the press this resounding flood of sounds, of stylistic approaches, of essential cosmic arrows, of minutes in which everything is traced with precision and credibility, for an educational and complementary listening: it adds information for those who did not know them, while it confirms to those who had already been able to learn that in these tracks secrets and pacts with eternity are revealed. 

Much has started from those impulses, those needs, the will to deliver a brilliant and essentially necessary universe for anyone with a penchant for these vocations of great stylistic expression.

This album is a surgical operation, a perfect one: it extracts a healthy mass from a period from 1978 to 1990, years that were extraordinary but also difficult because of the volume of proposals that were not always known, let alone specified.

You have the opportunity in the 28 tracks on CD (26 on Bandcamp) to get excited, to find immense jewels, some unknown, some with a few rays on their skin, others of which I think you already have knowledge.

But all of them are miracles, in ability, in value, in an unquestionable propensity to serve as a prerequisite and foundation for developments that, punctually, over the decades have come, because this foundation was filled with strength, energy and beauty.

And it is a rush through the mysteries of wonder, into pulsing channels of transistors, keyboards in their early days, stratagems and flights, to analyze all that was moving in the minds, hearts and fingers of artists complicit in fascinations frothing at the mouth, with the desire to fully act with an enormous passion.

Unripe but delicious fruits, sometimes ghostly, other times as bright as the mid-August sun, and still others nebulous with the intention of not uncovering too much: there are moments when we cannot fully grasp the importance, the restlessness, the identity of bodies that in a wonderful way have survived the passage of time.

But it is a whirlwind, a thickening of hungry atoms, a manifest ability to elegance that extorts awe and devotion from us, since in these minutes we can feel the past vibrating, that past which has generated the present and all its path through time, in order to index our listening towards meticulous precision.

This is not a compilation.

Nothing is a guarantee of an easy entry on this double CD: true teaching exists when you don't stop learning, wanting to learn. And some moments will test your taste, your real willingness to go beyond all that because it is clear that nothing here was composed to blow you away in a joyful attitude. There is some effort to be made for those who are less accustomed to having a different quality and ability in listening.

And then it will be possible to note, to search their tank for the fuel of dutiful and necessary awareness.


Juicy moments will enter, if you leave the veins of curiosity and study open, through the paths of your listening: for instance we can mention Vice Versa, absolute precursors, Schleimer K, four Brits with their pre-Ebm and Synth-Pop fragrances aligned in a spacey technical wanderings, the spectral Neu Electrikk, with forty seconds that made in advance the history of post-punk horror, later transformed by The Cure into Seventeen Seconds. 


With Final Program, the seeds of The Human League from their earlier years emerge along with the lesson of Master Klaus Naomi resulting in sonic magic tricks. Stress is an agglomeration of wicked and delicious madness: they will be able to lead you into the tubes of their pulsing. The song Live by Hula is a testament to the sanctity of stylistic blends put under the whip by an elaborate drumming and a sacrilegious bass.


But all the tracks are a cognitive structural encyclopedia to take possession of in order to understand the whole that we often have at our disposal and do not want to know.


Fundamental, its purchase should be made mandatory!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4th November 2022


https://peripheralminimal.bandcamp.com/album/prophecy-progress-uk-electronics-1978-1990-volumes-i-ii-2?fbclid=IwAR3zkVcLT7IMJUWFAlVLI60oYHuymNRK6Ch6JK0eVt88QAhs7BfK4_YNq-Y








domenica 11 settembre 2022

La mia Recensione: Youth & Gaudi - Stratosphere


 La mia Recensione:


Youth & Gaudi - Stratosphere


La vita come strati, un insieme di pellicole confinanti che continuano il loro percorso nell’atmosfera terrestre. E da una di quelle arriva musica celestiale a renderci involucri in movimento, coscientemente connessi con l’arte della seduzione e della partecipazione emotiva e fisica grazie al nuovo album di Martin Glover (alias Youth), menestrello senza tempo che attraversa le decadi con maestria e innumerevoli qualità, bassista e fondatore dei Killing Joke e produttore dell’ultimo album dei Pink Floyd, e Gaudi, il talento della gioia umana che sa contagiare e rendere più dolce l’esistenza.

I due, amici che si stimano per davvero, hanno nuovamente aperto l’autostrada della bellezza per un disco che generosamente dimostra e qualifica i loro incroci musicali, per un insieme di momenti di pura estasi, deliri che rotolano in danze che a partire dall’epidermide giungono agli arti per una connessione piacevolmente devastante. 

I territori emozionali mostrano viso e respiri, la stratosfera del titolo viene perfettamente resa visibile, un insieme in volo che porta il pianeta Terra in una discoteca colma di fascinazioni, sperimentazioni sensoriali e fuochi fatui in corpi sudati, esplosivi, sicuramente sorridenti e pure pensanti: un tale lavoro veicola energie e stati dell’umore connessi a una partecipazione totale. Come un viaggio silente, dove le voci possono assentarsi, ecco che i due partono dagli anni 90 per sondare e scandagliare quella parte dell’elettronica che si era trovata nella necessità di legittimare se stessa, di fronte al mondo delle chitarre che mostrava un pericoloso invecchiamento.

Ecco allora che i Transglobal Underground, Orb (entrambi sono stati stretti collaboratori di quel magico progetto), Orbital, The Klf, The Future Sound Of London e molti altri diedero alla musica dance la possibilità di mostrare tutta la sua intelligenza, inserendosi in generi come l’acid house, drum and bass, dub, la techno, breakbeat e via dicendo, includendo anche influenze gotiche.

Di quella storia Youth & Gaudi prendono le cellule migliori, sviluppandole, per creare legami che esplorano possibilità che hanno saputo rendere infinite e toccanti. Note come luci stroboscopiche, connessioni e dinamiche verso dilatazioni e approfondimenti: il risultato mostrato offre la gioia di constatarne un ottimo stato di salute.

Nove stelle imbevute di grazia assoluta sfrecciano per l’universo impiegando poco più di cinquantadue minuti, sufficienti per mostrarci l’intensità del silenzio che sanno dipingere con musiche che non lo offendono, anzi, sono in grado di descriverlo perfettamente proprio in un modo che parrebbe una contraddizione e una negazione.

Geni.

Maestri assoluti.

Incantatori del mistero e arbitri del tempo, in un saliscendi vorticoso dove il respiro si addentra e addensa per poter tenere il passo di questa danza che ci rende sognatori e menti riflessive, in un binomio dai frutti delicati e sontuosi.

Ascoltando questo viaggio si cammina nella certezza che la musica è un veicolo saccente, abile nel creare fruscii mentali e sospensioni che flirtano per poter fare della nostra vita ancora un qualcosa di sensato e solido.

Il duo lavora sapientemente sulle frequenze sonore con strutture complesse che arrivano alla semplicità in modo incredibile, perché ci fanno nuotare nella loro alchimia, per vivere e vedere le loro note, non solo per sentirle. E qui sta la differenza sostanziale rispetto a lavori di altri artisti.

Una missione contagiosa, effervescente, che si precisa in un approfondimento di tutte le potenzialità di generi musicali che si concentrano per spogliarsi della loro forma egoistica al fine di divenire altruisti, in generosa abbondanza.

Sanno fare il giro del mondo, con numerosi viaggi tra la Giamaica e Londra, Manchester, passando per Berlino, gli USA più tenebrosi, proiettando verso le galassie la volontà di dare ai singoli beats la capacità di tenerli legati come una colla potente ma gentile, nulla deve cedere. Il ritmo è il signore dell’album, capace di dare alle intuizioni melodiche l’abito perfetto di un matrimonio sicuramente efficace.

È un’esperienza, questo ascolto, che fa capire la volontà dei due di spiazzare il monolitismo di quella parte musicale che subisce spesso maltrattamenti per via di alcuni presunti limiti: Stratosphere spazza via i dubbi con la sua forma espressiva che esce dall’ordinarietà e ci trasporta tutti in mondi nuovi che non rinnegano il passato, ma che necessitano di poter proiettare anche semi nuovi nel cyber spazio.

L’attitudine è narcotica e al contempo piena di spruzzi di vivacità che rendono il risultato estremamente positivo e colmo di energie: non musica per curare, ma per fare dell’esperienza della vita qualcosa di esattamente costruttivo. In piena salute.

È un linguaggio nuovo, che ammalia e stupisce, che ci porta a nuovi orizzonti, in ascese veloci che poi rallentano, per aspettarci. Composizioni che fanno da impalcatura per un futuro che odora già di presente, per liberare voli infiniti e che sublimano l’esistenza.

La duttilità creativa dei due ci spinge al miglioramento, per fare dell’ascolto motivo di espressione personale, nostra, perché queste cellule sonore sono insegnanti, pennellate sulla nebbia quotidiana per renderla colorata ed efficiente.

Vi sono momenti nei quali il sogno viene benedetto da synth clamorosi, con effetti che ci inghiottono, catapultati dentro i fumi della coda delle meteore. 

Tutto è fluido e organico, ciò che è insolito riesce ad attecchire e coinvolgere e il nuovo che avanza diventa la cerniera per un passato che sa riconoscere che la potenzialità è divenuta un dato di fatto di un presente che Youth e Gaudi disegnano per consegnarlo all’eternità.

Una delle magie che viene mostrata è la capacità di far sentire una stanza come luogo di rilassamento all’interno di danze e frenesie, dove l’assenza del pensiero non viene contemplata bensì stimolato l’esatto opposto: i due hanno creato la chiave per un luogo immaginario dove è possibile passare velocemente attraverso percezioni, riflessioni e specifiche propensioni a fare del corpo un oggetto volante. Ed è pura psichedelia sotto micro e macro chip elettronici che collegano la mente al corpo, come un web interiore, personale. 

Saper spaziare nei generi e farlo con questa classe è un regalo proprio della stratosfera che ha lasciato scendere sul nostro malato pianeta due angeli elettronici in grado di ridarci una umanità possibile fatta di bellezza e ricchezza ed è proprio questa la magia più grande di questo enorme album: che la danza sia in noi.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11 Settembre 2022


YOUTH

https://en.wikipedia.org/wiki/Youth_(musician)

GAUDI https://en.wikipedia.org/wiki/Gaudi_(musician).

album smartlink: https://youthgaudi.lnk.to/stratosphere .










lunedì 8 agosto 2022

La mia Recensione: The Smiths - Handsome Devil

 La mia Recensione:


The Smiths - Handsome Devil


Atto unico di perfezione umana.

Tutto è possibile quando quattro ragazzi di Manchester decidono di imbracciare la forza della melodia e annetterla ai loro territori precedentemente conquistati quali la fantasia, l’impegno, la determinazione, il furore di anime in opposizione al trend vuoto del momento.

Una delle prime canzoni ad essere state scritte, rivela sin dall’inizio un suono robusto e una forza notevole con un giro di basso esplosivo, il drumming efficace e la chitarra di Johnny che, ipnotica ed estroversa, cattura subito l’attenzione. Le sue sono acrobazie stilistiche di cui si sentiva l’esigenza: quando Johnny cavalca la sua chitarra le trame si fanno fitte e avvolgenti, figlio di un talento purissimo e di una ricerca che non può conoscere appannamenti.

Questa band, con Handsome Devil, mostra che si poteva scrivere musica che non fosse svuotata della capacità di essere impegnativa anche se considerata leggera.

In aggiunta: scrive un inno misterioso, dove la facile individuazione dell’enorme talento musicale viene controbilanciato da un testo che regala fatica nell’interpretazione, scomodità, fastidi, malesseri, come un’edera urticante che si sfoga dentro la pelle dei nostri pensieri, annichilendola.

Dimostrando, attraverso uno studio profondo, che anche Morrissey come talento non è secondo a nessuno.

Handsome Devil è la manifestazione più evidente del primo periodo degli Smiths: dove c’era una nevrosi, un’impellenza che non poteva essere fermata, loro la prendevano e la sbattevano in faccia, noncuranti, deliziosamente strafottenti. Arrivando a fare del nostro ascolto un deserto che doveva saltare in aria.

E allora spazio al tormento con il punto interrogativo, al mistero che passa attraverso una sessualità che non va dichiarata ma interrogata, raccontata attraverso una storia dove il soggetto ha mille maschere e non ne ha nessuna, perché tutto ciò che serve è elevare quelle zone d’ombra che scatenano riflessioni e impeti da circondare.

Non è un testo sull’autoerotismo, come da molti ipotizzato, bensì un racconto drammatico che, partendo dalla letteratura (può essere Wilde come DH Lawrence) ,entra nella storia di un ragazzo che cerca di annientare il coraggio per cibarsi di ulteriori confusioni. 

La tematica descritta dall’uomo occhialuto e curioso è l’esempio di una penna acida e polemica, ma il tutto è avvolto da una coperta di lino: senza dubbi Morrissey non voleva essere troppo chiaro, vuoi per gioco e vuoi anche per la sua sfiducia nella capacità delle persone di poter accettare un simile approccio.

E l’ambiguità trova un senso di sconcerto quando si arriva all’ultima frase: “There's more to life than books, you know

But not much more

Oh, there's more to life than books, you know

But not much more, not much more”sembra fuorviante, distante dal resto, ma si imparerà in fretta a capire la ricerca stilistica del bardo di Stretford, che riesce sempre a scombussolare le nostre poche certezze acquisite. 

È un senso di allergia quello che sanno provocare le parole di questo brano, perché, per quanto ci si sforzi di intenderle, si ha la convinzione che l’asso di picche sia rimasto nella penna di Morrissey per renderci maggiormente ignoranti. Lui può e lo fa benissimo: in fondo lo si ama anche per questo motivo.

Un brano epico, in odore di quella nostalgia che sembra una bandiera da sventolare con orgoglio e senso di sfida, pronta ad essere ammainata. La sezione musicale presenta la veemenza di un rock che, partendo dalle schegge velenose della chitarra di un diabolico Johnny Marr, aspira come una calamita Andy Rourke e Mike Joyce in un risucchio dove tutto esplode con la tensione elettrica che ci consegna fulmini, per poter vivere dentro una fetta di luce. Penserà Moz a equilibrare il tutto con la sua nebulosa, attraverso la scrittura di parole che sconfinano, escono dal radar interpretativo.

Brano magico ma privo di dolcezza: dove si esplora ciò che è considerato maligno non può esserci una mano che dondola una culla…

Il cantato, altezzoso e ironico, è una pozzanghera contenente le verità che vanno tenute accanto a una piccola candela: odora di antico questo approccio quasi isterico che plana su un falsetto che farà scuola. 

Una frusta, una scarica di adrenalina che dura meno di tre minuti, il tempo necessario per capire l’universo The Smiths: la band di Manchester avrà sempre modo di far emergere un sentiero nostalgico, anacronistico e ribelle e Handsome Devil ne è la summa perfetta.

La magia del brano viene resa evidente dalla capacità di astenersi da ogni forma di semplicità, di estremizzare la diversità, per tematica e stile, che alla fine potrebbe proprio essere il motivo di una difficoltà e diffidenza nei confronti di questi ragazzi pronti a vedere la musica come una crociata con armi desuete e diverse dalla logica del tempo: usi e costumi che vengono annientati.

Nella terra delle api, gli Smiths diventano calabroni: ti infilano il loro pungiglione per toglierti le forze e per farti preoccupare, perché una canzone non è efficace in quanto ci si può riconoscere, bensì perché è in grado di incutere paura e tremore. La storia del brano, acuta per intenzione e capacità, sa fare piazza pulita di ogni banalità, impolverando i pensieri con una fiammata che arreca una pesante allucinazione, mentre l’emotività, vibrante come il cielo pieno di temporali, rivela la spina del suo fianco…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

8 Agosto 2022


https://youtu.be/fAHk-M2k5mM




venerdì 29 luglio 2022

La mia Recensione: Duran Duran - The Chauffeur

 La mia Recensione:


Duran Duran - The Chauffeur



“Si possono intravedere i tormenti di una persona già attraverso le sue speranze.”

Mirko Badiale


La magia vive nell’aria, vestita di segreti e incantesimi: non sempre ama farsi vedere. Sarà per timidezza, imbarazzo o magari è proprio il non svelarsi troppo che la rende forte.

Ciò che conta è che per strane coincidenze nella musica la magia riesca a perdere una quota della sua essenza per guadagnarne altre e quando lo fa si crea sempre una forte attrazione con chi ascolta.

Dopo un album di esordio bellissimo, e forse il loro migliore, ecco che il secondo si riempie di nuovi percorsi musicali e in un brano di Rio appare, come se fosse  una miscela antica colma di fascino e mistero, la magia di una canzone intitolata The Chauffeur.

La band di Birmingham trova modo di entrare nella zona alta della storia musicale perché questo brano contiene frammenti di luce sparsi tra le ombre, regalando la sensazione di dolenza e sanezza al contempo. Come se fosse circondata da flussi mistici, questo mantra di Synthpop è un magistrale esempio di quanto i cinque fossero maturati e in grado di dimostrare quella bravura che anestetizza i dubbi che da molte parti affioravano. 

Come una ipnosi che seduce la storia raccontata (scritta magnificamente, tra immagini e dolore che si arrampica sino alla cima del monte per mostrare il suo volto tumefatto), la musica sorvola il tempo moderno e quello delle favole, lasciando all’ascoltatore l’impressione che si stiano guardando le scene chiusi dentro un armadio.

L’incedere lento, la drammaticità del piano, il loop del synth che entra per definire la bellezza di una struttura sonora votata a catturare i sensi e il cantato con le stampelle di Simon Le Bon conferiscono all’insieme l’ipotesi che quella magia ha catturato le note e le parole per depositarle dentro una fascina che brucia per scaldare l’eternità.

Brano che si discosta dagli altri dell’album Rio, uscita dal cilindro di un mago solitario di un teatro buio di una qualsiasi provincia, ha la caratteristica di formare nella mente la convinzione che l’amore di coppia abbia i suoi peccati che trovano sempre dei raggi di sole per non lasciarli nascosti, come la musica che, per quanto possa e voglia giocare a nascondino, si trova il modo di vederla e di goderne a pieni polmoni.

Perché The Chauffeur va respirato, portato a viaggiare dentro l’altra magia: i passaggi che abitano le nostre stanze mentali segrete.

Dentro una forma canzone benedetta da uno splendido intro, si arriva poi al delirio del lungo finale con i fiori sui fianchi di un flauto che fa schizzare il brano verso la fine dell’800, supportato da una batteria che sembra chiedere aiuto alle valli per poter far arrivare il suo incedere e il pianoforte che tratteggia il volto di questa poesia dal labbro inclinato verso la tristezza.

Se l’amore, come descritto nel testo, può conoscere il suolo duro della farsa, ecco che i cinque escogitano il modo di non connettere la musica totalmente a un sentimento attitudinale arcigno e prendono i pennelli con i colori tenui: Nick Rhodes e John Taylor stendono la loro capacità su un telo dove pulsioni e melodie si mettono d’accordo, e lo fanno bene, perché tra queste note si scrive la storia, un dipinto che rimarrà per sempre nelle magiche gallerie del nostro cuore.

Con l’indubbia capacità di farci vibrare con emozioni a tappeto, il testo suggerisce però una sedia, un tavolo, una birra e la volontà di tuffarsi, con prudenza, dentro parole che, unendo la fantasia e la morale, sanno circondare la verità senza essere troppo dirette, schiette, ma conservando l’autenticità comunicativa che non può né deve mancare.

Si rivelano musicisti strepitosi, con l’eccellente produzione di Colin Thurston, le cui qualità sono state a servizio di David Bowie, The Human League, Magazine, Gary Numan, Talk Talk e altri ancora.

Il lavoro del produttore Londinese è evidente: i suoni, la capacità di controllare i flussi di idee dei ragazzi di Birmingham, quella patina di sole e sale, vento e mistero che si vede all’ascolto fanno della canzone uno splendido esempio di cosa sia una produzione. Tutto fila liscio, dentro la melma di parole con la tensione sulla schiena, e questa sensazione di sacralità che aleggia per tutta la durata della favola triste diventa la sciarpa con la quale circondare le nostre paure.

Una canzone che sa commuovere, confondere, dare l’impressione che l’inaspettato abbia le fauci pronte ad azzannare, anche se provenienti da dei giovani musicisti che stanno cercando il successo e lo ottengono con un album pieno di singoli e circuiti musicali dalla presa facile.

Questa no.

La coinvolgente The Chauffeur è la carta d’identità di una band che è diventata maggiorenne con questo episodio, portando i detrattori a confrontarsi con la sapienza, la consapevolezza, il talento di scrivere una sfera sonora che si presta a letture diverse, durante ascolti stregati, che ci fanno appartare nel nostro io dove la nebbia e l’ombra attendono di avvolgerci.

Tutto scricchiola qui: non c’è presenza alcuna di boria, di eccesso di personalità, di perseguire note che possano arrivare comodamente dentro  ascolti disimpegnati.

Piuttosto, ed è evidente, si è voluto prendere il pentagramma, buttarlo nei primi vapori degli anni 80 intrisi di synth, sì, ma assolutamente caldi e parsimoniosi, quasi come se non dovesse esserci nessun disturbo dell’anima all’ascolto. Però tutto si rivela maturo, profondo, per portarci in dono un benessere dal cappotto grigio dal bavero alzato in quanto questo gioiello potrebbe anche congelare ciò che abita la spavalderia e la presunzione perché i tradimenti non hanno dalla loro parte l’eternità, questa canzone invece sì, proprio perché ha saputo rivelare un aspetto che tendiamo per convenienza a nascondere.

The Chauffeur: il capolavoro dei Duran Duran dimostra che non tutto era sbagliato in certi nuovi movimenti musicali, che non era plastica quella che usciva dalle dita ma una poderosa dimostrazione di qualità, che smentendo molti sono arrivate a tantissime anime che all’ascolto di questa torcia medievale dall’abito moderno hanno potuto riconoscere che ciò che vale può uscire da ogni contesto.

La voce di Simon, spesse volte alla ricerca di un registro vocale troppo alto, qui si accorda con la perfezione e sa rendere tutta la musica del brano come la gemella perfetta del suo racconto. Ma tutto il nono pezzo del secondo lavoro è una voce argentata, dalla sfumatura blu, per potersi confondere nel cielo delle stelle che sorrideranno per sempre…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Torino

29 Luglio 2022


https://open.spotify.com/track/4kZOi9K2i06Syi2DiSfEqT?si=zXuvLWjfR6Ok6MNNU2_aeg







La mia Recensione: Piero Ciampi - Piero Ciampi

  Piero Ciampi - Piero Ciampi Ma che bella responsabilità assistere al talento, al lavoro, alle qualità di un altro e non fare nulla, se non...