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giovedì 12 maggio 2022

La mia Recensione: Garbo - Come il vetro

 La Mia Recensione:


Garbo - Come il vetro


“Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima”

George Bernard Shaw


Il percorso del tempo apre angoli, strade, percezioni, decisioni, baci, eventi e attese, come un fiume che attraversa le generazioni.

Si può racchiudere in uno scenario che comprenda e sviluppi tutto questo, maggiorando il tutto con un respiro sapiente sino a farlo divenire un concetto transitorio?

Se ti chiami Renato Garbo sì. E farlo maledettamente bene, aggiungerei.

Come completamento del percorso dei due album che l’hanno preceduto (Blu e Gialloelettrico), Renato sfodera la potenza pregna di saggezza che sente il bisogno di uscire, di attraversare la propria fisicità e trovare la dimensione nell’aria mettendola a disposizione di note che tra fragilità e armonie vestono i nostri ascolti di un uomo perfettamente bilanciato. 

In questo lavoro muoiono i colori per far entrare un colore unico, innaturale, sconosciuto, intenso, difficilmente visibile: la trasparenza.

Ritroviamo una colonna sonora della nostra giovinezza come un ragioniere che con gli anni non ha smesso di fare calcoli, di valutare, di farsi seguire se siamo attenti ai suoi guizzi che sospendono il percorso dei giorni. No, non è Dorian Grey: il suo volto non nega la vecchiaia che velenosa accende le sue rughe, ma riesce a fare dell’anima una vergine che spezza il tempo.

Eccoci, dunque, con testi descrittivi che lo mettono a disposizione dei nostri occhi, che devono impegnarsi per poterlo vedere. Storie come indagini, come abiti neutri a proteggere la trasparenza perché, apparentemente fragile, in realtà la sua forza potrebbe fare di noi persone completamente autentiche in quanto dove c’è lei può esistere solo la realtà.

Musicalmente COME IL VETRO è invece un arcobaleno elettronico, dal grigio dall’umore ballerino al giallo coraggio, al nero spaesato, al marrone pesante come un mattone in volo.

Si danza, con gli anni suoi fatti di estese ricerche e sperimentazioni. Si suda con i suoni che attraversano le ultime quattro decadi dove troverete i Japan che corrono, David Bowie che ferma il tempo, i Kraftwerk che giocano a nascondino alla faccia della trasparenza, i Jesus and Mary Chain con la parrucca e molti altri, tutti messi in fila dalla classe di Garbo che sa ancora incidere solchi propri nei nostri cuori con la sua strabordante propensione a fare del particolare una piccola roccia, dentro la schiena di una montagna.

Cerca l’amore e lo trova: gli serve per salvarlo dal tempo che spesso cancella il percorso perché si chiude in se stesso, facendo in modo che risulti irraggiungibile l’analisi e il conforto di chi è stato giovane. Colora le stagioni, cerca i rumori, i volti, esplicita i desideri che ancora non si piegano ed elimina i filtri della paura e della malinconia. 

Si fa visibile come non mai, nudo e attaccabile ma anche disposto a farsi accarezzare: sta a noi decidere come viverlo, se e come portarlo dentro noi; abbiamo la possibilità di vedere la sua anima sorriderci, i suoi impulsi che trasmettono creatività e che hanno saputo vincere quella sponda del successo di cui gli hanno tolto le chiavi quasi sin da subito, negli anni 80, tanto, tanto tempo fa.

Scrive un album che ha la forza misteriosa che la nuova generazione non conosce, esprime concetti che si possono contestare con la sua forza trasparente che forse noi non abbiamo più. È riuscito a non distanziarsi dal suo stile: è ancora riconoscibile ma in questo insieme di canzoni, in modo definitivo, riesce ad essere quello che immaginavamo sarebbe divenuto un giorno. Ebbene: l’ha fatto ma stupendo con i suoi pezzi colorati che si sono trovati la pelle lucida, privi del loro dna per avere il colore del vetro. 

Canta “non voglio più guardare indietro” e, nell’insieme di quest’opera, con le sue autocitazioni, demarca perfettamente tutto ciò che gli è rimasto, che ha tolto del suo passato, per rilasciare riflessa per sempre l’immagine della sua maturità, che dal fiume è arrivata alla radio con il clima di giornate di pioggia dentro i raggi di sole.



Canzone per Canzone


Come il vetro


Iniziamo a guardare dentro e oltre noi stessi, con la canzone che dà il titolo all’album: basso e chitarra si uniscono in un inizio teso e poi giunge a grancassa della batteria, per arrivare velocemente al ritornello dove l’elettronica comanda e si ha la percezione che la sua voce sia a disposizione di una lucida malinconia. 

È un gioco di ritmi incalzanti che si stoppano ma tutto sembra avere il proprio, con il cantato in inglese che regala l’internazionalità che musicalmente aveva già.


Chi sei 


Riconosciamo il Garbo di cui ci siamo innamorati avendo ben presente che tutta la sua domanda è frutto di un bisogno radicale. La tastiera disegna una prateria leggera, la voce scava ed un respiro femminile entra dentro la strofa sino ad arrivare ad accompagnare nel canto Renato. La sensazione è che musicalmente la situazione sia gravida di antiche passioni sonore con un abito moderno ma non alla moda, perché Garbo ha sempre cavalcato l’intelligenza che non si sposa con la massa.


Voglio morire giovane


La chitarra iniziale sembra un tributo ai Cure fine anni 80, ma poi il tutto si sposta e l’analisi di chi vuole scoprire le cose e mostrarle continua. Una miscela mista di dolcezza e calore visita le note di un brano che raccoglie l’eredità del suo primo album. E poi i Jesus and the Mary Chain si affacciano con il loro riff a far compagnia.


Lei


Tornano i Cure nei primi secondi: questa volta il brano sembra figlio di Cold. Poi il piano e la tastiera prendono il tutto e diventa mistero volatile, che ansima di elettronica seducente. La luce diviene il mezzo con il quale si può guardare in faccia ai desideri e tutto conduce verso un vertice elettronico, di una sensualità innegabile.


Più avanti


Prendi la lounge music e rendila capace di accogliere particelle di Donna Summer, intarsi Jazz nell’assolo, ma con la voce di Garbo scorgi gli incroci più strani mentre, straordinariamente, ti accorgi di essere di fronte a un treno pieno di raggi solari che lo fanno spostare sulle rotaie. 


Ciao


L’inizio conduce ai Depeche Mode di Home e la vicenda mi turba, ma poi la musica è capace di dimostrare ancora una volta che Renato è sempre stato in grado di essere più originale della band inglese. E il cantato è una spruzzata di luce con la classe che fa vincere senza dubbi.

L’autore milanese diventa il pittore di una modella assente, ma che dalle strade si materializzerà. E la canzone scalda l’identità che prende corpo.


Voglio tutto 


Ecco ciò che non ti aspetti e che invece sa sedurre lo stupore per farlo girare dentro l’accoglienza più piena.

Due voci come alleate tranquille sulla scia di suoni a rendere lo spazio un dolce sogno. Un crooning che interroga e che rivela come il rumore sia parte della nostra identità.


Anni


Sorella, nel climax, della canzone precedente, la voce sale in cattedra, il piano vola e fa volare tutti noi dentro i circuiti dei pensieri. La linea melodica si fa più cupa ma al contempo sognante. Viene voglia di piangere, le note proseguendo sembrano attirare i nostri occhi verso l’umidità di una nebbia che avanza. 


Baby I love you 


Tolti gli archi della versione originale dei Ramones all’inizio del brano (per inserirli in corsa), Garbo ci mette le chitarre che non c’erano, ma tutto si dimostra un miscela fresca e imprevedibile.

Forse un pezzo decontestualizzato nell’album, ma valido nella sua essenza.


No


Ritmo e enfasi, tracce di Human League e Ultravox che si specchiano: poteva essere altrimenti? Garbo sospende il tempo all’anno 1986 e 36 anni dopo ne sentiamo ancora tutto il profumo. Dal fiume le anguille escono e corrono veloci su onde magnetiche capaci di dare al basso pulsante la miglior compagnia possibile.


La mia finestra


Un brano breve, figlio del Battiato etereo e ondivago tra la ricerca e la spiritualità.

Portatore sano di silenzio e pioggia, Renato si tuffa dentro gli sguardi per portare a termine il suo nuovo passaporto mentale, riuscendoci benissimo. Ed è il “Noi” a chiudere il percorso insieme all’“Io”, dimostrando ancora una volta la sua grande maturità.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

12 Maggio 2022


https://open.spotify.com/album/2igZkVvcb41Gq8yFM9wqxz?si=ffnsHYQUQxuUosPMtdigtg








martedì 3 maggio 2022

La mia Recensione: Rifrazione - Nico

 La mia Recensione 


Rifrazione - Nico


La dolcezza: questo nettare connesso alla bellezza che trasforma la tenebra in un raggio di sole.

Vi sono storie umane che ne sono pregne, altre che la cercano. In tutto questo vi è sempre la bellezza.

Poi certi volti, alcune storie umane, danzano sul ventre della riflessione per trovare un equilibrio.

Giuseppe Giannecchini, con il progetto Rifrazione, ha reso omaggio ad una stella dal respiro infinito, ha generato in noi la curiosità per tornare a guardare Nico, la dolcezza fatta bellezza, per lasciarcela ancora in vita, perché dove esiste un interruttore sulla modalità On niente e nessuno può morire.

Nel suo nuovo singolo, un 45 giri in vinile, vi è anche la canzone Terre Oblique, altro incanto a rendere evidente che Rifrazione è un portatore sano di riflessioni, con annesse abbondanti dosi emotive che abbracciano la nostra fame di elementi che subito sanno divenire preziosi.

Aprite le braccia e accogliete Nico e Terre Oblique, perché ci sentiremo davvero fortunati a beneficiare di queste perle bionde…


Nico


Su un tappeto di tasti e dita leggere si muovono cieli morbidi pronti a delineare una donna con il desiderio, prima sogno e poi realtà, di Rifrazione, con parole sottili ed un cantato che è un sorriso d’amore consapevole, profondo, veritiero.

Si piange, si balla, si va a cercare Nico mentre la canzone, come un velo ammaestrato di luce, ce la consegna dentro i nostri occhi. Con un fare artistico votato al pop acustico, dove vincono i sussurri e non le grida, il brano è maestoso, generoso di piume da cullare, rendendo “muta la tristezza”…


Terre Oblique


La coda di luce perfetta che rende la canzone Nico sempre viva: un pianoforte pieno di giochi magnetici volteggia su campi di fiori preparando i ciuffi d’erba per Nico, perché sia libera di camminare facendo poca fatica. Morbida, sensuale, la melodia libera le lacrime che cadendo per terra puliscono quel prato…


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

3 Maggio 2022


Il singolo sarà disponibile, in versione digitale, su Bandcamp, dal 6 Maggio 2022.

E poi lo ci sarà anche il vinile formato 7"




venerdì 11 marzo 2022

My Review: James - Laid

 My Review 


James - Laid ( 1993)


"When you're flying, listening to the music of James, you forget to glide, having endless fuel."

Alex Dematteis - 12 May 2016, Llandudno


Quoting yourself may look tacky, but I think it's perfect for what I've been feeling since 1986 and it's perfect to start writing this review.

In the absolute certainty that so much revolves around the feeling of love and its derivations, the art world has emphasised relationships and described their particularities often with bitterness, sadness, painting them as open and motivational wounds, as an essential lymph for one's inspiration and with a determined willingness to spend time, energy and resources to illuminate their face.

Then there are the aces who take all this to a spiritual level, combined with enveloping, dynamic, powerful, effervescent music.

We are in Manchester, in 1993, James write their fifth album 'Laid' and on 1 November they release their second single, the title track of this immense work, which will give them success in the United States.

Laid is a meadow of folk music in a state of excitement that makes the Mancunians run towards a flight: two minutes and thirty-seven seconds are enough to find ourselves, with them, in the exosphere where it is possible to watch the story being told, with lucidity, in the knowledge that with them the lack of oxygen is not really a problem, because all the vital organs, galvanised, work perfectly.

The song precedes a different direction that the master Brian Eno, who joined them, will propose and support for a long time.

So this track becomes even more important for its ability to summarise the history of the Manchester boys now adults, who find here a way to be cryptic but joyful in Tim Booth's lyrics and resoundingly impetuous in the music, where the semi-acoustic guitars of Larry Gott and Saul Davies inspire Mark Hunter's Hammond organ to become a sky in total opening, like a simple but powerful embrace.

And then there's David Baynton-Power's drumming that drags us along with his warlike drum rolls, supported, as always, by Jim Glennie's amazing bass, which is silk that gently wraps everything up.

In the version I am proposing, Andy Diagram plays an important and fundamental role, blowing vibrant and warm petals with his magic trumpet to give the song more pathos and sensuality.

And we mustn't forget Adrian Oxaal (in the absence of Larry who has left the band in the meantime) who, with his electric guitar, gives the whole piece even more vigour.

What is irresistible finds perfect definition in this live track, which becomes an opportunity to touch the heart of Mancunians because it shows energy, tension, mystery.

All in the name of the quivering that enters the collective frenzy to make us smile like crazy in the ultimate atmosphere.

The story being told, between the state of lucidity and its assimilation, and the absurd and difficult to understand one, comes from observing a couple externally until throwing the voyeur inside, where the psychological side is only apparently found as a defining element.

But once again Tim reveals his majesty by confusing the cards, managing to make us sing almost as if we were lost, but at the same time giving us the confidence in him that has never failed in us throughout his career of perfectly fantastic lyrics...

We find ourselves, absurdly, in a psychotic state, where everything takes on the tone of joy, despite the fact that the words can be, finely, a sharp knife that divides what it seems from what it really is, as further confirmation of the talented Tim.

We dance, or rather we fly with our eyes open, our legs absent, spinning without gravity and the desire to become singers in our turn, even without a licence, up to the falsetto which, while in Ring the Bells had shown its power and intensity for many seconds, here is shorter but just as effective.

We end up in Fairytale Land, without black characters capable of obscuring and extinguishing our strength.

Here everything becomes a colourful magnet that draws us in and makes us gape, where smiles become breaths and flames of joy, despite the confused interpretation of the lyrics.

When you vibrate you forget, you move to an exaggerated but essential sensory plane, which does not desire an end and this is one of the benefits and mysteries of music.

Songs like wine that ages and becomes better and better with the incandescent mystery that the glass does not empty, granting us the infinite taste between the lips of our feeling, always so delighted and in need: Laid is the evident demonstration that magic cannot be analysed but must be lived and that the true ecstasy is to free oneself from weights by learning to fly.

Because with James the sky really is an infinite mystery where fear is not allowed...


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

March 11th, 2022


Laid

2019 Live Version


https://open.spotify.com/track/7JRvBQCJHdGgqetsH1wEBV?si=OYFPi_6sRMCtKLeccBs1GQ








La mia Recensione: James - Laid

 La mia Recensione 


James - Laid ( 1993)


“Quando voli, ascoltando la musica dei James, ti dimentichi di planare, avendo un carburante infinito”

Alex Dematteis - 12 Maggio 2016, Llandudno


Pare di cattivo gusto autocitarsi, ma credo sia perfetto per ciò che provo dal 1986 ed è perfetto per iniziare a scrivere questa recensione.

Nella assoluta certezza che molto ruoti attorno al sentimento dell’amore e alle sue derivazioni, il mondo artistico ha posto in risalto le relazioni e ne ha descritto le particolarità spesso con amarezza, tristezza, dipingendole come ferite aperte e motivazionali, come linfa essenziale per la propria ispirazione e con la determinata volontà di spendere tempo, energia e risorse per illuminarne il volto.

Poi ci sono i fuoriclasse che portano tutto questo ad un livello spirituale, unito con una musica  avvolgente, dinamica, poderosa, effervescente.

Siamo a Manchester, nel 1993, i James scrivono il loro quinto album “Laid” e il 1 Novembre pubblicano il secondo singolo estratto ed è proprio il brano che dà il titolo a questo immenso lavoro, che li traghetterà al successo negli Stati Uniti.

Laid è un prato di musica folk in stato di eccitazione che fa correre i Mancuniani verso un volo: bastano due minuti e trentasette secondi per ritrovarsi, con loro, nell’esosfera dove è possibile guardare la storia raccontata, con lucidità, e con loro la mancanza di ossigeno non è davvero un problema, perché tutti gli organi vitali, galvanizzati, lavorano perfettamente.

Il brano precede una direzione diversa che il maestro Brian Eno, unitosi a loro, proporrà e sosterrà a lungo.

Diventa quindi ancora più importante questa canzone per la sua capacità di sintetizzare la storia degli ormai uomini di Manchester, che trovano qui modo di essere criptici ma gioiosi nei testi di Tim Booth e clamorosamente impetuosi nella musica, dove le chitarre semiacustiche di Larry Gott e di Saul Davies ispirano l’organo Hammond di Mark Hunter a divenire un cielo in apertura totale, come un abbraccio semplice ma potente.

E poi vi è il drumming di David Baynton-Power a trascinarci con le sue rullate belliche, sostenuto, come sempre, dal basso spaziale di Jim Glennie, che è seta che fascia dolcemente il tutto.

Nella versione che vi propongo gioca un ruolo importante e fondamentale Andy Diagram che, con la sua magica tromba, soffia petali vibranti e caldi, per conferire al brano maggiore pathos e sensualità.

E non dobbiamo dimenticare Adrian Oxaal (in assenza di Larry che nel frattempo ha lasciato la band) che con la sua chitarra elettrica conferisce ancora più nerbo al tutto.

Ciò che è irresistibile trova la perfetta definizione in questo brano dal vivo che diventa l’occasione per toccare con mano il cuore dei Mancuniani perché manifesta energia, tensione, mistero.

Il tutto all’insegna di una vibrazione che entra nel delirio collettivo per farci sorridere come pazzi nella zona ultima dell’atmosfera.

La storia raccontata, tra lo stato di lucidità e la sua assimilazione, e quello assurdo e di difficile comprensione, nasce da un osservare esternamente una coppia sino a buttare il voyeur all’interno, dove il lato psicologico viene a trovarsi solo apparentemente come elemento di definizione.

Ma ancora una volta Tim rivela la propria maestosità confondendo le carte, riuscendo a farci cantare quasi come spaesati, ma allo stesso tempo donandoci quella fiducia in lui che non è mai venuta meno in tutta la sua carriera di testi perfettamente fantastici…

Ci ritroviamo, assurdamente, in uno stato psicolabile, dove tutto assume il tono della gioia malgrado poi le parole sappiano essere, finemente, un coltello affilato che divide ciò che sembra da quello che è, come ulteriore conferma del talentuoso Tim.

Si danza, o meglio si vola ad occhi aperti, le gambe assenti, roteanti senza gravità e la voglia di divenire cantanti a nostra volta, anche senza patente, sino al falsetto che, laddove Ring the Bells ne aveva mostrato la potenza e l’intensità per molti secondi, qui si fa più breve ma altrettanto efficace.

Si finisce nel Paese delle Favole, senza personaggi neri capaci di oscurare e spegnere le forze.

Qui tutto diventa un magnete colorato che ci coinvolge e ci fa appiccicare a bocca aperta, dove i sorrisi diventano respiri e fiamme di gioia, malgrado la confusa interpretazione del testo.

Quando si vibra si dimentica, ci si sposta su un piano sensoriale esagerato ma essenziale, che non desidera la fine ed è questo uno dei benefici e dei misteri della musica.

Canzone come vino  che invecchia e diventa sempre più buono con l’incandescente mistero che il bicchiere non si svuota concedendoci l’infinito sapore tra le labbra del nostro sentire, sempre così deliziate e bisognose: Laid è l’evidente dimostrazione che la magia non possa essere analizzata ma debba essere vissuta e che l’estasi vera sia liberarsi dei pesi imparando a volare.

Perché con i James il cielo è davvero un mistero infinito dove non è concessa la paura…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

11 Marzo 2022






Laid

2019 Live Version


https://open.spotify.com/track/7JRvBQCJHdGgqetsH1wEBV?si=OYFPi_6sRMCtKLeccBs1GQ









sabato 26 febbraio 2022

La mia Recensione: Deserta - Every Moment, Everything You Need

 La mia Recensione 


Deserta - Every Moment, Everything You Need


Come fa la luna a non elevare il cuore di un poeta, se riesce a innalzare il mare!
(Carlos Sawedra Weise)


C’era, poco tempo fa, un suono che scendeva dalla luna per arrivare al pianeta terra e che per caso riuscì ad attirare l’attenzione delle anime attente, nel gioco dell’adorazione che scalda i cuori ed elettrizza le menti.

Prima di giungere qui si è alzato in volo dai crateri lunari, schivando il senso di possesso dell’unico satellite della Terra e da quelle terre alte è sceso in picchiata verso di noi, scappando da quel silenzio per lui pesante.

Ha preso residenza nella città degli angeli e ha un nome comune alla Terra come alla Luna: Deserta.

Il pilota di quel suono è Matt Doty, (cantante, chitarrista e polistrumentista) che aveva provato a ripartire da Los Angeles per abitare il mondo con due progetti, Saxon Shore e Midnight Faces.

Esaurito quel percorso, da quel momento tutto è stato chiaro: avremmo potuto attraversare il suo stile camaleontico, riconoscibile, per constatare come la Luna sia qui, dentro le note di uno tsunami emotivo che risponde al nome di Every Moment - Everything You Need.

Prodotto da Chris Coady (Slowdive, Beach House) il successore di Black Aura My Sun è indiscutibilmente il rappresentante di elementi eterogenei atti a compattare la mole di talento e spunti dalle mille radici che finiscono per convergere verso la riconoscibilità, quell’unicità strutturale che dilata le possibilità di creare canzoni come tornadi dolci e gonfi di melodia, con soluzioni all’insegna di una duttilità continua.

Sorprende in continuazione perché educa il pessimismo nei confronti dell’evoluzione  dello Shoegaze e del Dreampop a morire silenziosamente, perché riesce a dilatare i confini di questi generi musicali, per le soluzioni e per l’intensità di cui riempie questi quasi quarantadue minuti.

L’atmosfera è proprio quella di una giornata dentro i crateri lunari: Matt dimostra che non siamo degni della sua bellezza, che l’uomo deve posticipare l’intenzione di prendere possesso di quel satellite, perché la densità, il mistero, la sensazione di un clima unico e meraviglioso sarebbe sprecato nelle nostre mani. Si ha continuamente la sensazione che questa musica riveli come non esista un luogo dove l’uomo possa essere a suo agio con l’assenza quasi totale di idrogeno. Deserta è un miracolo di inquietudine e fiato breve,  di ritmi e melodie che fanno svenire, adatte solo alle anime che abbandonano il senso di immortalità per acclimatarsi dentro la convinzione che si possa morire felicemente ascoltando questi suoni, dentro l’architettura di trame complesse nate per stregare e divenire velocemente la droga che piega ogni desiderio di starle lontano.

Non dà assuefazione ma un senso incredibile di libertà l’ascolto degli otto crateri lunari, un piacevole addio al sogno di una sana vita terreste per dirigersi a polmoni aperti verso la Luna, per sprofondarci dentro senza pentimento.

Cosa volete sognare se non provate a farvi un’idea di come sarebbe vivere dove tutte le anime romantiche guardano nelle notti dei desideri? Allora andiamo, siate certi che in questo album troverete la comodità e la ricchezza che neanche il più grande sogno potrebbe darvi…

Prendete la vostra convinzione che si possa piangere solo per dei dolori e posatela di fianco allo stereo, perché la densità di questa opera scioglierà quelle lacrime che non sapete di avere…

Musicalmente è vistosa l’accelerazione verso un post-rock che sa essere molto più che una comparsa, con annessa la volontà di vestire le canzoni con un pop che è in sintonia con la sempre presente attitudine alla perfetta convivenza tra il Dreampop e lo Shoegaze.

L’utilizzo delle tastiere permette soluzioni più ampie ed efficaci che, se da una parte possono far storcere il naso ai puristi e agli estremi difensori dei due generi musicali appena accennati, dall’altra regalano freschezza e libertà che in conclusione permettono all’ascolto una maggiore fluidità. 


Canzone per Canzone


Lost In the Weight


Un brano che avrebbe concluso un album per la maggioranza degli artisti. Lo stupore si presenta subito perché sembra chiudere la possibilità di capire cosa potrebbe accadere dopo, in quanto somiglia al giorno successivo alla mancanza di ossigeno.

L’inizio è possente ma in grado, con quella tastiera così magnetica, di tenerci con il fiato sospeso. Poi Matt inizia a cantare ed il ritornello, che arriva quasi subito, fa scoppiare le prime lacrime. Sembra di volare sulla Baia di Santa Monica, sino a quando la canzone sembra congedarsi da noi. Ma il drumming e la tastiera riprendono fiato, dilatando i sensi verso la spiaggia. Maestoso esempio di come lo Shoegaze e il Dreampop non siano solo muri di suono e melodie in abbondanza, perché qui viene svelato uno scenario futuro davvero immenso.



I’m So Tired


Si può pensare alla malinconia come un atto di dolcezza?

Certamente, ed è una cosa rara da trovare nella musica.

Se è evidente che la parte elettronica si presenta in porzioni più ampie rispetto al primo album, è anche vero che la voce di Matt sfiora la pelle come il figlio prediletto del Dreampop più remoto dove non sono le trame delle chitarre a inchiodare le nostre emozioni. Ma basta aspettare due minuti e trentatré secondi e quelle poche note sono lo stupore che consola e allieta chi era in attesa dello strumento regnante di questi generi  musicali.

Dalla spiaggia Losangelina siamo planati quasi di soppiatto sulla Luna…



Where Did You Go


Inizio quasi drammatico.

Scintille lontane, sibili e la voce da ghepardo in attesa di attaccare di Caroline Lufkin, così intensa da cavalcare le dune lunari di una base sonora fatta di Slowdive infreddoliti e Cocteau Twins in naftalina.

Poi le chitarre fanno l’amore con la tastiera e la tensione sale mascherata sino a quando Caroline rimane per pochi secondi con la batteria e il synth e allora la sua voce diventa artiglio che graffia. Con la sensazione che i Chapterhouse hanno amo lasciato tracce di sè nel secondo cratere lunare. 



Far From Over


Luna chiama Los Angeles: rispondete, Deserta ha raggi di suono in espansione da recapitare, fate spazio al Glassell Park e unite quello spettacolo collinare a quello che è contenuto dentro queste chitarre roteanti, dolcemente abrasive, che concedono spazio all’elettronica che esalta la sensazione che in queste note vi siano le chiavi del futuro. Ed è una trama fitta che partendo da chitarre in volo si conclude con una palpitazione nevrotica che sfuma dentro la bolla di fumo del nostro vibrare.



It’s All a Memory 


Che faccia ha un Capolavoro? 

Sedetevi e fate posto al clamore granitico di vibrazioni in abbondanza,  dove la voce è uno gnomo lunare e le chitarre e la batteria il ponte perfetto che collega la 4ad migliore ai giorni nostri. E quando si arriva alla passerella degli impeti voluttuosi della chitarra al terzo minuto e cinquantatreesimo secondo allora si può definire l’incanto del matrimonio emotivo dei sensi, perché qui il congedo pare una cosa splendida e i brividi diventano grappoli…



A World Without 


Quando il cantato abbisogna di una base musicale minima significa che può sostenere ogni cosa e Matt ci riesce. Ma dopo pochi secondi diventa generoso e fa crescere le emozioni con uno sviluppo che sposta la polvere dei sogni per renderli mattoni rossi, in un continuo brillare di chitarre dalla faccia rugosa. 



Goodbye Vista


C’è tutto qui: dal dolore alla fantasia, dalla morbidezza al delirio, chitarre voce basso batteria e tastiera si sono messe d’accordo per spiazzarci, per ucciderci con la bellezza di trame che sanno sia farci sognare che piegare nelle lenzuola, piangenti.

E qualcuno pensa che lo Shoegaze stia esalando gli ultimi respiri. Stolto. Ciò che si evolve è sempre migliore di chi rimane ancorato al passato nostalgico. Ed il finale di questa canzone raggiunge la mente e il cuore di chi ha capito il miracolo di cui è stato testimone.



Visions


C’è chi vuole sapere gli effetti usati dai musicisti nei loro strumenti, chi come si assembla il tutto. E altro ancora.

Ma chi chiude gli occhi ascoltando l’ultima canzone di questo strepitoso album si rende conto che esiste un linguaggio, un codice che scavalca ogni mezzo usato e la sua modalità.

Qui ciò che arriva è la tempesta lunare, la capacità di alternare, di inserire clamori e timidezze, in un impatto sonoro che ci lascia perduti negli sconosciuti territori lunari, dove invece Deserta si trova a suo agio.

È un singhiozzo che pare interminabile, 315 secondi per capire che non siamo in grado di determinare coscientemente il valore di questo ascolto perché dove il mistero si presenta c’è qualcosa che si perde. 

E allora si ritorna sulla Luna, si riavvolge il nastro e ci si perde nuovamente, vestiti della bellezza più clamorosa…


Deserta ha confezionato l’abito perfetto nel quale i pensieri e le emozioni stanno perfettamente insieme e dove il desiderio di imitarli, di essere cioè compatti, ci ha contagiato. E questo è l’unico contagio positivo per cui possiamo ringraziare.

Uno dei dischi migliori di questo 2022, senza dubbi.


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

26 Febbraio 2022


https://deserta.bandcamp.com/album/every-moment-everything-you-need


https://open.spotify.com/album/4GIMxZVBjGzCrKw8I2mnBR?si=2qGD0MEDTp6KXgoOPUb4xA


https://music.apple.com/gb/album/every-moment-everything-you-need/1588301373










La mia Recensione: Chants Of Maldoror - Ritual Death

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