sabato 18 maggio 2024

La mia Recensione: Man of Moon - Machinism


 

Man Of Moon - Machinism


Sono comparse, ormai da diversi anni, nuove rivalità, coesistenze problematiche ad appesantire le nostre esistenze, a rendere le relazioni individuali e di massa estremamente complicate. L’avanzamento della tecnologia, l’immobilismo fisico e mentale, con la conseguenza di una massiccia dose di pigrizia stanno generando tensioni che è impossibile non vedere e sentire.

Parte di tutto ciò confluisce nello strepitoso secondo album della band Man Of Moon, titolare nel 2020 di un lavoro a lunga distanza che aveva permesso alla gioia e allo stupore di abbracciarsi e quell’effetto dura ancora oggi: Dark Sea è stato uno degli esordi più significativi degli ultimi anni. 

E dopo quattro, Iain Stewart (il nuovo batterista) e Chris Bainbridge (voce, chitarra, basso, electronics), offrono un lavoro perfettamente accordato ai temi sociali affrontati e a musiche che sanno spaziare in modo sopraffino, trovando il modo di dare lievi segnali di continuità con il primo lavoro, ma soprattutto la volontà di creare un tema sonoro che specifichi intenzioni e direzioni, un laboratorio a cielo aperto, un'indagine, una metamorfosi, un lento cammino nel cuore di fantasie e bisogni perfettamente in sincrono.

È un lungo sguardo all’interno delle immagini, delle abitudini, di ciò che è mutato e ha portato all’eccesso il bisogno di porre se stessi costantemente sotto i riflettori, con la conseguente morte della privacy, del pensiero profondo, consegnando il tutto nelle mani spietate del Mercato, con i valori antichi che esalano gli ultimi respiri e quelli nuovi che sono ad appannaggio di una nuova gioventù non più in grado di rimanere connessa con quella più vecchia.

L’album è una scudisciata, gentile, una morsa sonica dentro le abitudini, un evidenziare gli sconvolgimenti con lo sguardo che fa da base ad atmosfere che spaziano tra il cupo e l’allegria: Chris e Iain non vogliono consegnare un atteggiamento dimesso ma essere messaggeri dotati di forza, coraggio, togliendo alle allucinazioni e agli estremismi spazi pericolosi e dannosi. Musica per educare, per cercare un contatto diverso per creare presupposti di miglioramenti che possano far scattare nuove strategie, anche attraverso la danza, antichissimo sistema per compattare le anime.

Per fare tutto questo l’utilizzo degli strumenti, gli stessi dell’esordio per intenderci, qui trova la raffinata capacità di estendere i colori, i suoni, con l’abilità di convogliare pensieri in emozioni limpide, seppure anche mediante una inevitabile dose di drammaticità. Ma si sente il progetto, l’intenzione che scorre dentro gli undici episodi, per creare un mood e un mantra che tiene alta la tensione, un urlo educato che mette addosso quei brividi capaci di non lasciare impassibili le menti all’ascolto.

 Cresce la sensibilità, l’accortezza di adoperare dosi di impianti razionali che non siano fraintesi, facendo in modo che l’insieme sia un’opportunità, innegabile, per compiere un balzo portentoso verso  qualcosa non fatto in precedenza, non necessariamente da definire ma che di sicuro bisogna vivere, creando il terreno di una novità che renda il comportamento univoco, dando una bastonata all’eccessivo desiderio di libertà, un leitmotiv che alla fine è la causa di quasi ogni male odierno.

Viene riesumato il rispetto, l’orgoglio dell'intelligenza umana che vuole rifiutare quella artificiale, anche se accoglie la seconda, ma stabilendo confini diversi. Un lavoro estremamente accorto, profondo, talmente efficace da lasciare completamente sorpresi, sconvolti, con alla fine dell’ascolto l’urgenza di dire basta e di tirarsi su le maniche.

Le composizioni arrivano sull’epidermide per poi entrare nei circuiti venerei, nei labirinti del pensiero, nelle ossa che decidono danze frammentate ma possenti, uno scuotimento continuo senza pause: non sono di certo le canzoni più lente che concedono la calma, perché nulla di tutto ciò esiste in questo fragoroso album, che nulla è se non una slavina gentile ma impossibile da fermare da parte nostra, con il risultato di gridare all’unico miracolo attuale generale necessario, che è da stabilirsi nel risveglio della coscienza, uscendo dall’avvelenamento e dal successivo torpore.

La luna qui è per davvero divisa in due e l’uomo che la guarda deve muoversi, cambiare prospettiva nello sguardo, pensare alla sopravvivenza della ricchezza vera, quella integra, e farsi scuotere dai raggi che arrivano da lì, senza nessuna resistenza. Sempre più isolato dal contesto sociale, l’essere umano di Machinism può godere di una concessione fragorosa e importante: vedere per davvero le distanze, il senso dello spazio interiore ed esteriore, e cercare dentro di sé quelle capacità che rendono il contatto l’unica forma di salvezza possibile.

I flussi musicali sono la base di ispezioni importanti, di generi che si mischiano cercando la propria elevazione, in un circolo terrestre dove melodia, armonia e ritmo vivono un gemellaggio intenso, consegnando canzoni che, oltre ai pensieri e alla danza, sono in grado di consolare, di vedere la band conservare le proprie iniziali radici ma con la grande volontà di disegnare nuove trame, ispezioni, per quelle possibilità stilistiche che conferiscono, in modo innegabile, un applauso massiccio. Tante novità, un sali e scendi di “giochi” siderali, perlustrazioni che finiscono per consegnare un’ossatura davvero miracolosa, per fare di quest'arte un clamoroso appiglio, senza sbavature. 

L’elettronica vive una nuova stagione, meno separata dalla struttura rock/indie/alternative, per un connubio che mette radici diverse, offre il gancio per connessioni desiderate ma impossibilitate, prima, di divenire una devastante realtà. Iain esalta la ritmicità, creando spazi innovativi, in grado di unirsi alle praterie sonore di Chris in un combo che avvolge, semina nuovi sogni diversi che in pochi minuti risultano essere reali e credibili, in una corsa sensoriale che esalta, perfettamente, una geniale macchinazione preventiva.

Il basso e la chitarra sono uniti maggiormente rispetto all’esordio e le basi di tastiera sono meno isolate, meno appariscenti ma più consoni a un messaggio unito, che parte proprio da ciò che si ascolta nella sua interezza, finendo per far emergere una complessità che scivola perfettamente nella gradevolezza. La forma principale è quella di far diminuire il desiderio della strofa e del ritornello, per far concentrare l’ascolto maggiormente nei segnali, nei suoni, nelle dinamiche, nei flussi che sembrano diventare materia, secondo dopo secondo, con un elevato controllo delle strutture espressive.

La produzione, eccelsa, valorizza una sensazione generale che è più intuitiva che pratica, un non concept album sonoro che pare tale, per compattarsi perfettamente con i testi che sono decisi, spigliati, energetici, determinati con pitture di versi poetici che incantano e sorprendono. 

La prima parte di Machinism vive di maggiori espressioni di elevate propensioni ritmiche, dove la velocità è un’urgenza metodica bilanciata verso la comprensione dei messaggi. La seconda, dove non manca di certo il ritmo e una certa “aggressività” sonora, pare essere un sonno agitato, un viaggio nelle attività oniriche che debbono essere interrotte in quanto c’è un compito da svolgere in fretta. Perfettamente unite queste due sezioni, si capisce immediatamente che l’ordine delle canzoni ha comportato un buon lavoro razionale, per un risultato che evidenzia genialità, capacità e l’individuazione di quell’aspetto culturale che la musica di oggi pare voler non considerare. Ma i due ragazzi di Glasgow hanno le spalle larghe, un intuito sveglio e brillante, intenzionati a essere non compagni di ascolti bensì gli ispiratori di nuove vitalità, in un’urgenza gravida di scintille e raggi lunari perfettamente amichevoli.

Armiamoci di curiosità e tuffiamoci in questi undici episodi: c’è la bellezza che ci aspetta, a braccia aperte, piena di fiducia nei nostri confronti…


Song by Song



1 - RISE

L’atterraggio sul pianeta Bellezza inizia con lo stile della band subito riconoscibile, il suono della chitarra lungo che fa da collante a un senso di attrito che affascina e scuote allo stesso tempo e poi via, con una tribalità rock che strizza l’occhio a una sperimentazione elettronica appena accennata. 

Magnetica.



2 - YOU AND I

Terz’ultimo singolo prima dell’uscita di questo secondo album, ha la capacità di dare alla modalità del canto la facoltà di catturare l'attenzione per poi approcciarsi a una forma espressiva vicina allo space rock meno marcato. Cupa, elettrica, sensuale, la canzone ci fa compiere un salto temporale vistoso, con gli anni Settanta a marcare quanto non siano necessari molti cambiamenti per rendere interessante e valido un brano. Nel finale l’atmosfera vive splendide alternanze ritmiche.

Sexy.



3 - SWIM

Atomi iniziali di Industrial ed Ebm per poi diventare una torcia che contempla solarità e ritmicità con la pelle della psichedelia che corre insieme al ritmo, per una danza ipnotica che tatua la melodia breve nel circolo dell’eternità. I Suicide applaudirebbero, così come i Front 242: da una minimalistica forma di approccio a un’era ormai superata, i Man of Moon colorano istinti e pulsioni con un riff che inchioda al muro.

Vistosa.



4 - VIDEO

Nel penultimo singolo si rimane folgorati dal perfetto equilibrio tra il ritmo e l’atmosfera, che sembrano ambienti separati ma con innesti magici che ci fanno vibrare regalandoci una sensazione di grande preoccupazione e melanconia, dove la realtà viene trasportata attraverso questa minimalista forma espressiva. Dal sapore tragico, spaventoso, potrebbe essere la perfetta colonna sonora di un film di Akira Kurosawa, perché permette alla paura di essere un compagno intelligente, utilizzando gocce di Krautrock e brandelli di psichedelia.

Devastante.



5 -  TIME

Tocca all’ultimo singolo definire la maturazione, la progressione, i nuovi spazi visivi e sensoriali che la band vuole maneggiare, mediante una forma robotica che contempli un cantato che pare piangere senza troppo dolore, donandoci una strana sensazione che è quella che ci fa innamorare di questa canzone, la quale non è nient’altro che un gioiello misterioso che mette in disordine il nostro tempo. 

Magica.



6 - THE TIDE

L'iniziale approccio ci porta in casa dei Velvet Underground per poi scappare via, lentamente, nei crateri di una sospensione che toglie il fiato. Con la lentezza la melodia del duo diventa un’aurora boreale, uno spettacolo infinito. E quando un brano semiacustico ci rende magneti in stato di contemplazione, allora possiamo affermare che la band sa come paralizzare le convinzioni, generando uno splendido marasma interiore…

Ipnotica.



7 - IN THE WATER

Ecco il combo che scrisse lo splendido Dark Sea ricordarci quell’album attraverso un imbuto di nervi tenuti miracolosamente in piedi dal loro carisma, dalla capacità innegabile di sospendere le atmosfere, di essere espressione di una nuova melodia in trasformazione, allegando una ritmicità che trascina senza mai esplodere.

Miracolosa.



8 - REIGN

Nevrotica, drammatica, esplosiva con stile, fascio lunare in uscita dalla propria orbita, la canzone è una frustata baciata da coralli elettrici, un alternative che cerca legami con l’elettronica che si affaccia ma non contamina, per conferire al tutto una sensazione di sacralità moderna.

Misteriosa.



9 - MACHINE THAT BREATHE

La lacrima più incandescente esce da note magnetiche di un piano che subito ci fa sprofondare e ci rende obbedienti, per poter ascoltare un dolce tormento che scaturisce dalla voce sussurrata di Chris, qui il magnete che stordisce senza alcuna esitazione. Circonda i sensi con il suo tono quasi dimesso, un applauso con i guanti di seta, che trasferisce un dolore cercando e ottenendo una dolcezza come consolazione…

Fragorosa.



10 - RUN AND HIDE

Uscita nell’ottobre del 2021, la canzone conosce un accattivante ritocco, una maggiore propensione al misticismo, una preghiera caustica, una introversa preoccupazione che arriva alla constatazione del dubbio sulla nostra sopravvivenza, mentre la struttura minimalista, con la chitarra finale a stordire l’amarezza, fa di questa composizione la stella polare che ci guida verso la nostra ultima possibilità di comprensione…

Lunare.



11 - THE WILD

Lo stupore maggiore arriva con il brano di chiusura, una genuflessione che prevede una decadenza anomala, un vortice che assomiglia a un sibilo, con le note della tastiera del piano (circondate da un synth spettrale che ipnotizza l’atmosfera) a essere un canto triste che precede quello di Chris, in un idillio che spacca il cuore, un avamposto di una tristezza che non ha appigli ma rilascia tossine in grande quantità. Un cantato mai espresso in precedenza, capace di essere un’altalena nel vento, un andare e un tornare graffiando la nostra anima con una strana dolcezza. Poi il suo finale, nebulosa chimica in trasparenza, ci offre l’ultimo pugno in faccia…

Ingovernabile.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18th May 2024


Lo potete prenotare qui:

https://manofmoonband.bandcamp.com/album/machinism-2


Written and Recorded by Man of Moon 
Produced by Man of Moon and Paul Gallagher 
Mixed and engineered by Paul Gallagher 
Mastered by Ryan Shwabe 
Artwork by Peter Kelly

My Review: Man of Moon - Machinism


 Man Of Moon - Machinism


For several years now, new rivalries have appeared, problematic coexistences weighing down our existences, making individual and mass relationships extremely complicated. The advancement of technology, physical and mental immobility, and a massive dose of laziness are generating tensions that are impossible not to see and feel.

Some of this flows into the band Man Of Moon's resounding second album, a long-distance effort that allowed joy and awe to embrace each other in 2020, and that effect endures to this day: Dark Sea was one of the most significant debuts of recent years. 

And after four, Iain Stewart (the new drummer) and Chris Bainbridge (vocals, guitar, bass, electronics), offer a work that is perfectly attuned to the social themes addressed and to music that knows how to range in an over-the-top way, finding a way to give slight signs of continuity with the first work, but above all the will to create a sonic theme that specifies intentions and directions, an open-air laboratory, an investigation, a metamorphosis, a slow walk in the heart of fantasies and needs that are perfectly in sync.


It is a long look inside images, habits, of what has changed and brought to excess the need to place oneself constantly in the spotlight, with the consequent death of privacy, of deep thought, consigning everything to the merciless hands of the Market, with the old values exhaling their last breaths and the new ones being the prerogative of a new youth no longer able to remain connected with the older one.

The album is a scudding, gentle, sonic vice within habits, a highlighting of upheavals with a gaze that is the basis of atmospheres ranging between gloomy and cheerful: Chris and Iain do not want to deliver a resigned attitude but to be messengers endowed with strength, courage, removing dangerous and harmful spaces from hallucinations and extremisms. Music to educate, to seek a different contact to create conditions for improvements that can trigger new strategies, also through dance, an ancient system for compacting souls.


To do all this, the use of instruments, the same as in the debut, here finds the refined ability to extend the colours, the sounds, with the ability to channel thoughts into clear emotions, albeit also through an inevitable dose of drama. But you can hear the project, the intention that runs through the eleven episodes, to create a mood and a mantra that keeps the tension high, a polite scream that puts on those shivers capable of not leaving the listening mind impassive.

 Sensitivity grows, the shrewdness of using doses of rational implants that are not misunderstood, ensuring that the whole is an undeniable opportunity to make a portentous leap towards something not previously done, not necessarily to be defined but certainly to be experienced, creating the terrain of a novelty that makes behaviour unequivocal, giving a thrashing to the excessive desire for freedom, a leitmotif that in the end is the cause of almost all evil today.


Respect is exhumed, the pride of human intelligence that wants to reject artificial intelligence, even if it welcomes the latter, but establishing different boundaries. An extremely shrewd, profound work, so effective that it leaves one completely surprised, shocked, with at the end of listening the urge to say enough and roll up one's sleeves.

The compositions arrive on the epidermis and then enter the venereal circuits, the labyrinths of thought, the bones deciding fragmented but powerful dances, a continuous shaking without pause: it is certainly not the slowest songs that grant calm, because none of this exists in this thunderous album, which is nothing if not a gentle but impossible to stop avalanche on our part, resulting in a cry for the only necessary general present miracle, which is to be established in the awakening of consciousness, coming out of the poisoning and subsequent torpor.

The moon here is really split in two and the man looking at it must move, change perspective in his gaze, think about the survival of true wealth, the intact wealth, and be shaken by the rays coming from there, without any resistance. Increasingly isolated from the social context, the human being of Machinism can enjoy a thunderous and important concession: to see for real the distances, the sense of inner and outer space, and to seek within himself those capacities that make contact the only possible form of salvation.  The musical flows are the basis of important inspections, of genres that mingle in search of their own elevation, in an earthly circle where melody, harmony and rhythm live an intense twinning, delivering songs that, in addition to thoughts and dance, are able to console, to see the band retain their initial roots but with the great will to draw new plots, inspections, for those stylistic possibilities that confer, undeniably, massive applause. So many novelties, an ups and downs of sidereal ‘games’, inspections that end up delivering a truly miraculous framework, to make this art a resounding foothold, without smearing. 

The electronics live a new season, less separated from the rock/indie/alternative structure, for a union that puts down different roots, offers the hook for connections desired but impossible, before, to become a devastating reality. Iain enhances the rhythmicity, creating innovative spaces, able to join Chris's sonic prairies in a combo that envelops, sows new and different dreams that in a few minutes turn out to be real and credible, in a sensorial rush that enhances, perfectly, a genial preventive machination.  The bass and guitar are more united than in the debut, and the keyboard bases are less isolated, less conspicuous but more in keeping with a united message, which starts with what is listened to in its entirety, ending up with a complexity that slips perfectly into pleasantness. The main form is to diminish the desire for the verse and the refrain, to make the listener concentrate more on the signals, the sounds, the dynamics, the flows that seem to become matter, second by second, with a high control of the expressive structures.

The production, which is excellent, enhances a general sensation that is more intuitive than practical, a sonic non-concept album that seems to be so, to compact itself perfectly with the lyrics that are decisive, energetic, determined with paintings of poetic verses that enchant and surprise.   The first part of Machinism thrives on greater expressions of elevated rhythmic propensities, where speed is a methodical urgency balanced towards message comprehension. The second, where there is certainly no lack of rhythm and a certain sonic ‘aggressiveness’, appears to be an agitated sleep, a journey into dreamlike activities that must be interrupted as there is a task to be accomplished in a hurry. Perfectly uniting these two sections, it is immediately clear that the order of the songs has involved a good deal of rational work, for a result that highlights genius, skill and the identification of that cultural aspect that today's music seems to want to overlook. But the two boys from Glasgow have broad shoulders, an alert and brilliant intuition, intent on being not fellow listeners but the inspirers of new vitality, in an urgency pregnant with sparks and perfectly friendly moonbeams.

Let's arm ourselves with curiosity and dive into these eleven episodes: there is beauty waiting for us, with open arms, full of confidence...



Song by Song



1 - RISE

Landing on planet beauty begins with the band's immediately recognisable style, the long guitar sound that glues together a sense of friction that fascinates and shakes at the same time, and then off with a rock tribality that winks at barely hinted at electronic experimentation. 

Magnetic.



2 - YOU AND I

The third to last single before the release of this second album, it has the ability to give the singing mode the ability to capture the attention and then approach a form of expression close to less marked space rock. Dark, electric, sensual, the song takes us on a conspicuous leap in time, with the Seventies marking out how not many changes are needed to make a song interesting and worthwhile. In the finale, the atmosphere experiences splendid rhythmic alternations.

Sexy.


3 - SWIM

Initial atoms of Industrial and Ebm then become a torch contemplating sunshine and rhythmicity with the skin of psychedelia running alongside the beat, for a hypnotic dance that tattoos the short melody in the circle of eternity. Suicide would applaud, as would Front 242: from a minimalistic approach to an outdated era, Man of Moon colour instincts and drives with a riff that nails the wall.

Showy.



4 - VIDEO

In the penultimate single, we are thunderstruck by the perfect balance between rhythm and atmosphere, which seem like separate environments but with magical grafts that make us vibrate, giving us a feeling of great concern and melancholy, where reality is transported through this minimalist form of expression. With a tragic, frightening flavour, it could be the perfect soundtrack to an Akira Kurosawa film, as it allows fear to be an intelligent companion, using drops of Krautrock and shreds of psychedelia.

Devastating.



5 - TIME

It's up to the last single to define the maturation, the progression, the new visual and sensorial spaces that the band wants to manipulate, through a robotic form that contemplates a vocal that seems to cry without too much pain, giving us a strange sensation that is what makes us fall in love with this song, which is nothing more than a mysterious jewel that puts our time in disorder. 

Magical.


6 - THE TIDE

The initial approach takes us into the home of the Velvet Underground and then slowly escapes into the craters of a breathtaking suspension. With slowness, the duo's melody becomes an aurora borealis, an endless spectacle. And when a semi-acoustic track makes us magnets in a state of contemplation, then we can say that the band knows how to paralyse convictions, generating a splendid inner marasmus...

Hypnotic.



7 - IN THE WATER

Here's the combo that wrote the splendid Dark Sea reminding us of that album through a funnel of nerves miraculously held up by their charisma, by the undeniable ability to suspend atmospheres, to be the expression of a new melody in transformation, attaching a rhythmicity that drags without ever exploding.

Miraculous.



8 - REIGN

Neurotic, dramatic, explosive with style, a lunar beam coming out of its orbit, the song is a whiplash kissed by electric corals, an alternative that seeks links with electronics that appear but do not contaminate, to give the whole a feeling of modern sacredness.

Mysterious.


9 - MACHINE THAT BREATHES

The most incandescent tear comes out of magnetic notes of a piano that immediately makes us sink down and obedient, in order to listen to a sweet torment that springs from the whispered voice of Chris, here the magnet that stuns without any hesitation. It surrounds the senses with its almost resigned tone, a silken-gloved clap, transferring a pain seeking and gaining a sweetness as consolation...

Thunderous.



10 - RUN AND HIDE

Released in October 2021, the song knows a captivating retouching, a greater propensity for mysticism, a caustic prayer, an introverted preoccupation that arrives at the realisation of doubt about our survival, while the minimalist structure, with the final guitar to stun the bitterness, makes this composition the polar star that guides us towards our last chance of understanding...

Lunar.


11 - THE WILD

The greatest astonishment comes with the closing track, a genuflection that envisages an abnormal decadence, a vortex that resembles a hissing, with the notes of the piano keyboard (surrounded by a spectral synth that hypnotises the atmosphere) being a sad song that precedes Chris's, in a heart-breaking idyll, an outpost of a sadness that has no foothold but releases toxins in large quantities. A singing never before expressed, capable of being a swing in the wind, a going and coming back scratching our soul with a strange sweetness. Then its finale, chemical haze in transparency, offers us the ultimate punch in the face....

Ungovernable.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18th May 2024


You can purchase it here:

https://manofmoonband.bandcamp.com/album/machinism-2


Written and Recorded by Man of Moon 
Produced by Man of Moon and Paul Gallagher 
Mixed and engineered by Paul Gallagher 
Mastered by Ryan Shwabe 
Artwork by Peter Kelly

domenica 12 maggio 2024

La mia Recensione: Chants Of Maldoror - Ritual Death


 

Chants of Maldoror - Ritual Death


Un nido d’api abita nel cratere del cielo, a bordo di un veicolo che lo trasporta tra le diverse forme di ingresso in studi e perlustrazioni, e nel quale quattro insetti ci mettono a conoscenza di ciò che accade. Il tempo, gli spettri, gli andamenti tellurici, i sospetti, i drammi, il dibattito religioso, il rispetto della morte, gli assassinii, genuflessioni umane sapienti, i tranelli dell’esistenza: è solo l’inizio di questa esposizione di materia in ebollizione, dove il contenuto risulta essere un fascio sonoro che scartavetra gli spiriti e li rende liberi, mediante contaminazioni e fluidi apparentemente indigesti, con un nero che diventa la luce per vedere l’intensità di un processo che conosce l’evoluzione e il suo opposto.

Le quattro api di Frosinone e dintorni mettono su una cassetta il magnetico processo di miscelazione e processione di un incanto piangente, un attraversamento delle condizioni note e quelle meno note del dolore, della fascinazione simbolica cara a queste menti gravide di interessi, dando all’occulto, al sondaggio dei segni, alla bellicosa bolla di scoperte il compito di rendere il tutto una questione solo apparentemente legata alla musica. L’ascolto comporta il sacrificio del trambusto personale, una detumescenza inaspettata, un rito di guarigione inatteso, violento, mai approssimativo, all’interno di una manipolazione funerea che vede due generi musicali non essere il senso ma il mezzo attraverso il quale si mostrano le cose più che sentirle, dando così modo allo stupore di essere materia in esposizione, una nuova scusa per le porte delle percezioni per esibire un lungo vestito pieno di merletti di anime davvero capaci di non avere paura.

Sette candelabri dalla pelle ruvida vagano nelle corsie dello spazio facendoci sentire il loro respiro, in un groviglio di tensioni e dolori lancinanti che non cercano alcuna consolazione: si è talmente inebetiti davanti a cotanta intensità, introspezione, che pare, alla fine dell’ascolto, di aver vissuto una serie di miraggi in cui la volta celeste ha voluto consegnarci segreti pesanti ma necessari per la consapevolezza di una conoscenza divenuta, brano dopo brano, più che necessaria.

Benvenuti, allora, ai nipoti del Conte di Lautréamont, che depongono la loro ghirlanda sonica sulle assi di un teatro tetro, lancinante, pieno di schegge e artigli, nel quale il ritmo, la forma, la densità delle canzoni riempiono il tutto di orgoglio e devastazione. In Italia una simile qualità percettiva non aveva mai trovato modo di essere vissuta. Non è necessario catalogare, gettare queste sapienti creature nel calderone di stupide definizioni, bensì dovremmo tutti ritrovarci nella commozione di un viaggio psichedelico e alchemico attraverso un tempio scoperto, come un incanto che si fa toccare.

È inutile andare a fossilizzare la curiosità all’interno di cosa ci può far ricordare quello che ascoltiamo qui: mi pare piuttosto più corretto diventare anime studiose che vogliono catturare ogni atomo di questa chicca assoluta colma di unicità da riscontrare, tra sacrifici e spine sul capo del nostro cuore, mai affranto ma pulsante di stelle contenenti segreti in fase di emersione.

Adolphe, David, Echo e Loren sono gli emissari, i corvi di grotte in costanti eruzioni, gli artefici di questo vagabondaggio che rende le nostre orecchie tumulti continui, febbricitanti e timorose. Le loro mani, le ugole, le propensioni sono un ardire, una sfida, un concetto, una trama bellica che ci conduce alla verità che nella sua scomodità ci abbellisce con patemi abili nell’ungerci la pelle e il pensiero. 

Viaggiatori del tempo e di incognite, i Chants Of Maldoror sembrano spiriti millenari con una vitalità ineccepibile e straordinaria: malgrado la quantità di meteore esplose nelle loro mani, la scrittura è ordinata, concentrata, capace di un sorriso macabro ma stupefacente, un miracolo nel baricentro delle loro grazie, processate, messe in ordine ed esposte come esplosioni nel nucleo di metamorfosi continue.

Partiti come emissari del Medioevo, intenti a conoscere i rituali che fanno inorridire la maggior parte delle persone, questi ragazzi già adulti spostano le intenzioni e si tuffano in una volontà artistica che solo apparentemente appare più “comoda”: in realtà divengono ancora più devastanti, tremendi cavalieri di battaglie e scontri con i moti dell’anima, studiosi ribelli, indifferenti al circostante, splendidi concentrati di capricci e ostinazioni a cui noi risulta semplice essere ubbidienti, per trasferire la conoscenza nel processo dell’esperienza.

Una decadenza che si trasforma in un luogo dove la rassegnazione, limpida, conosce impeti, e la frustrazione riesce a trasformarsi in una meravigliosa gioia più che mai atipica. 

Lo spettacolo conosce regole, circospezioni, tumulti soffocanti, stati di perdizione, all’interno di una trama mai confusa ma che diventa insostenibile solo per gli ignoranti e per le menti volutamente superficiali. Pallottole, rovi, preghiere senza Dei da raggiungere, inchini e devozioni dai linguaggi complessi: questo è il regalo offerto dai quattro senza richiedere sacrifici ma facendoci notare, in ogni composizione, che l’ascolto può generare promiscuità e abbandono delle volontà, in un rapimento che non lascia sconfitti.

Il suono, lama di metallo dalla pelle resa acida dai dolori impenitenti, è il Re del tutto, il principale maestro, l’anticipo di ogni pendio che si vivrà attraverso sequenze di accordi e ritmi che creano un boato e una discesa continua, per ossigenare il centro della terra. Il crooning, il recitativo della voce, le tonalità che sono grovigli di sangue con i libri in mano, sono appannaggio di Adolphe, sacerdote del buio, studioso incontenibile, attore e regista di un teatro interiore che fa tremare. La sua qualità più evidente è fare della voce la perlustrazione di anime in viaggio, un alunno intuitivo scevro però di legami con chi lo ha preceduto, per potersi sistemare, indomito, sul trono della bellezza.

Loren è un alchemico della melodia, uno sperimentatore, un discepolo della bellezza nera, indomito, con un impeto pieno di sale e miscele, come un druido che studia gli elementi della natura e li trasferisce sulla sua sei corde.

Echo è una bolla sonora che si stende sui tasti bianchi e neri di un synth e di un piano, per regolare la temperatura del dolore e creare piani emotivi dove tutto è adiacenza, un patto di strutture che si sposano con le altre forme musicali, per conferire al tutto sacralità.

David è il governatore degli istinti, il portiere che apre il rumore della terra e lo porta dentro i meccanismi malefici di Loren ed Echo, un trapezista del suo strumento, che definire basso è totalmente riduttivo. A lui il compito di manovrare gli umori, di pilotare i fasci emotivi dentro il ventre, di stabilizzare le onde magnetiche di una band che sembra essere una orchestra del Settecento, priva di inibizioni.

Quello che stupisce maggiormente nella musica dei COM è che ci si ritrova davanti a pennellate di suoni sulla tela della vita, per un’arte che sembra diversa da quella musicale, come un fraintendimento che però unisce entità diverse. Un processo creativo che parcellizza le conoscenze nei confronti di stili ormai irrigiditi dall’adorazione, in cui manca il processo critico. I quattro, invece, non fanno Death Rock o Gothic Rock, bensì inumidiscono la conoscenza con dipinti che disintegrano ogni convinzione, ribelli armati di intelligenza per essere fragori non voluti dal Ministero di quei due generi musicali…

Disobbedienti e anarchici, i ragazzi entrano nel labirinto di ogni tensione per destabilizzare anni e anni di convenzioni che sanno rendere inutili. C’è una piacevole arroganza da parte loro: non essere sudditi, ma regnanti inconsapevoli…

Meraviglia, e non poco, che non si possa sprecare tempo nel cercare riferimenti stilistici e culturali con questo gruppo, in quanto ciò che si evidenzia è una tortura personale innanzi al noto, sfuggendo continuamente per poter elevare la conoscenza in un campo dove le novità possono essere raggiunte.

Preferisco immaginare questo combo all’interno di uno spazio culturale che parta dall’origine degli spiriti, di impulsi che elevano il genere umano, passando dal Medioevo, per trasferirsi nel cielo, in un tripudio di sensi che espandono una necessità simile a una malattia che vivono con positività, degni del bacio della morte che li osserva compiaciuta. Creano un tappeto di putride incombenze, appuntamenti con catene e artrosi mentali, nell’idillio di un ghigno che da malefico diviene digeribile.

Attraversando gli abissi, fissano i pensieri dentro un crocefisso mentale in cui tutto è inchino e stupore, per liberare ipnosi e magnitudini in modo costante.

Aduniamoci, sospettosi e tremanti, attorno a questi sette candelabri, per  mettere per iscritto, prima di adorarli, le nostre paure…


Song by Song


1 - Reunion and Death

“I sink the knife in the mother’s heart

and the capes grow scarlet from violet”

Cavità metallizzate, vapori e fuochi fatui entrano nella coda di un funerale emotivo con il recitativo di Adolphe che regna sulle scintille sonore gravide di allucinazioni provenienti dalla baia di San Francisco.

Molto più di un teatro del dolore: qui, sin da subito, ci si ritrova catapultati nel fragore di un abbandono dove lo smarrimento è dato da chitarre acide, con impeti nucleari.



2 - Feast In Black (Mortualia)

“My soul is in shards, in and out of the way spot of my skull”

La lotta degli abitanti dell’inferno diventa un sacrificio inevitabile, e la voce, che pare lontana per non farsi raggiungere, declama versi inospitali, la morte nel suo manifesto trionfo del momento del funerale consente alla musica di essere eterea ma ribelle, con il synth di Echo che dà l’idea di dipinti tetri e malinconici e il basso a scandire ogni paura…



3 - Post Mortem

“Restless shapes are dancing on the blade of my knife”

Immagina, in una notte piena di fulmini, i Virgin Prunes a cena con i Bauhaus, tra litigi e risate impertinenti, in oscillanti adorazioni di gesti violenti comandati dai COM con grande intelligenza. Cupa, greve, lancinante esibizione di scomodità uditive nel fruscio delle api che lavorano per detergere l’ignoto all’interno della paura. Lancinante parata di suoni che incollano al vetro viscido di coscienze in tumefazione… 



4 - Resurrection

“Resurrection is real death!”

Si va a Francoforte, a bussare alla porta della casa di Varney Cantodea, per vederla danzare felice, per questa composizione che arriva dal Settecento, mentre, dopo un bagno di modernità, si sacrifica in un movimento breve ma efficace. Si contesta, si riduce la religione a una miseria evitabile, si fa spazio alla verità millenaria perennemente negata e l’ovvio trova la luce manifesta della volta celeste. Ridondante senza distorsioni, la canzone è il miracolo della seduzione gotica al suo massimo livello…



5 - Baptism Until The Angel

“Doesn’t appear the lost image of the end”

Scosse nevrotiche, lame sul manico di Loren, gramigna nella voce di Adolphe, qui mago nero della morte, messaggero con le borchie nel cuore, mentre si lancia nei solchi del basso e della drum machine, con la chitarra che indaga e crea pertugi…



6 - Red Communion

“With Angels crucified on red roses in bloom”

Lo scenario cambia, ci si ritrova in una chiesa ipnotizzata da Echo, maestra e pittrice in avanscoperta: dopo pochi secondi il brano diventa una allucinazione sensoriale al cospetto della paranoia, per catturare il sonno umano e catapultarlo nel baratro del tempo. Marziale, oscura, impenitente e malvagia, la composizione  riduce al minimo la melodia e l’armonia per essere caos e genuflessione paralizzante…  


7 - Requiem Aeternum

Sull’eterno riposo la band scioglie una nuvola sonora che appanna l’udito e ci fa precipitare nello sconforto, in una ritmica che inchioda mentre la voce fa accapponare la pelle e la mente vaga persa nel limbo dell’ignoto. Suoni come cadaveri freddi, dove solo il basso alla fine sembra ricordarci che stiamo ascoltando qualcosa di “umano”.

Un congedo sorprendente che fissa il valore della band laddove nessuno se lo aspetterà, perché chi precede vive il lutto della incomprensione…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
12 Maggio 2024



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