Franco Battiato - Apriti Sesamo
Il tempo, il suo collante, il suo collasso, la sua infamia, la sua natura che porta in sé il vento che fa dimenticare tutto. Il tracciato, l’impronta, il sale e il tanfo, il tuffo e ciò che disintegra l’ingenuità della speranza.
Franco, il Sacerdote della prudenza, il seminatore stanco, con la sua matura intenzione di porre fine, una volta per tutte, allo spreco, scrive un papiro di parole esatte, a riguardo di quello che esatto non è, come svincolo, come fuga, come alleanza con le sue discipline ordinate e compatte.
Vira verso il passato solo in apparenza: no, non è un album di memorie, di ricordi, di nostalgia, come in molti hanno affermato.
Piuttosto: è l’eleganza della comprensione che non ha tralasciato nulla dietro di sé, un ragionare intenso sugli accadimenti, esplorando il dovere di un ricavo come testamento di un ordine non comprensibile, un faticare su un contrasto inevitabile. Che è quello di dover spalmare olio di saggezza variopinta e musicata da parole che sono carezze di metallo, con la propensione a intortare soprattutto l’ignorante, che è il più corruttibile. Un lavoro che nasce da due anime già nella fase ascendente (Sgalambro morirà due anni dopo), consapevoli che bisognava congedare il futuro proprio per dare alla giovinezza degli altri un bastone, come una stella cometa densa di abilità…
Nascono così stratagemmi nuovi e inconsueti e, al contempo, si vede la sua intera carriera senza che l’opera sia una summa: la sua intelligenza non glielo avrebbe concesso. Inevitabile sentire bagliori del Battiato degli esordi, per poi incontrare quello che ha virato improvvisamente verso il desiderio di divenire noto, in un gioco che non gli ha impedito di dare aria alla sua profondità. Un percorso di ricerca che non è cessato ma che, con Apriti Sesamo, ha trovato il suo scopo, portando il cantautore siciliano a scrivere l’album più difficile, il più completo, perché bisognava fermare la crudele propensione all’immortalità. Questo è un disco con la maggior presenza della morte, non come tragedia, ma come beneficio, come punto di partenza, capace di comprendere il senso di studi filosofali, di portare in grembo l’esagerata estensione religiosa, di dare alla letteratura un destino diverso. Battiato e Sgalambro scuotono millenni pieni di polvere, baciano le ombre come segnale di un piacere che non è perverso bensì maestro di vita. Tutti i settori della crescita umana vengono messi uno dietro l’altro, con l'incredibile colpo di scena del primo brano che ci presenta la parte prenatale, il tutto prima che diventi se stesso, in quanto al genio e solo a lui è concesso di anticipare la verità.
All’interno del bacino infinito della spiritualità Franco agisce come un allievo, a testa bassa, scrive non come terapia ma come un essere che non perde l’occasione di abbassare il livello di spreco, per gettarlo nel pantano della sapienza, dove tutto si impasta e si fa maturità, senza sprechi. Incredibile la quantità di connessioni al Sapere Antico, della storia dell’uomo passata dentro anime che non hanno concesso a se stesse solo la morte peggiore: l’inutilità del passaggio terreno. È proprio in quel luogo che Franco ha gettato lo sguardo. Ogni riferimento che si trova in questo album proviene da creature che hanno adagiato la spada della stupida volontà di essere immortali per insegnare a tutti che esistono altre forme di vita…
In ciò, questo disco vale più di ogni terapia, in quanto precede sia la prevenzione che la cura: basta poco per accorgersi come l’eternità sia una parola priva di senso se la paura della morte vince. Prendete i testi, esplorate la loro forma, le storie che amplificano la comprensione per farle divenire gli unici contagi che portano beneficio. La Sicilia, la terra sacra per eccellenza, dove il sole e la luce sono stati gli amici migliori di Franco, dà tutta la sua disponibilità al suo umile cittadino, per riportargli i ricordi al fine di farli diventare petali di amore che non si spaventano mai. Difficile trovare scudi per la rovinosa tendenza umana a spargere sale sulle ferite. Lui, invece, inventa voli, attraverso il recupero delle radici, non ferendo la realtà ma mettendola sull’attenti, in un duello senza armi perché non è la vittoria che desidera. Offre altro.
Dunque: Apriti Sesamo è un elenco di artriti e artrosi mentali, dove la gioia è una intenzione inutile, c'è da sbarazzarsi dell’ipotesi e lavorare su moti tenuti nascosti da chi ha paura dell’intelletto. Ecco spiegata la citazione, tratta dal Vangelo, della reincarnazione, a cui Gesù accennò. Non guarda in faccia ai ruoli bensì al significato che ogni parola e azione ingloba. Nasce proprio in questo aspetto il disegno dei due scrittori: portare a ogni vocabolo una destinazione che amplifichi e non invece il riassunto. Franco si mostra nel periodo in cui era un fanciullo, ci presenta la Lombardia con le sue balere e le domeniche fatte di danze in attesa della rovina, accertata, di un nuovo lunedì. Le metafore, da decenni compagne dei suoi passi, trovano in questo suo ultimo lavoro di inediti il coraggio di divenire uno sciame spaventoso, un lampo continuo che sa produrre noiosi ma necessari cerchi alla testa. Nuota all’interno del Mar Mediterraneo, mostrando il profumo dello sbalzo di temperatura che i ricordi, se privi di comprensione della successiva esperienza, sanno generare. Però, come un atleta astuto della consapevolezza, Battiato sbatte le ali e ci lascia, per l'ennesima volta, indietro e colpevoli di non avere il baricentro perfettamente allineato all’intenzione della crescita. Indiscutibile è il fatto che in questo album il bisogno di lasciare i semi si sia fatto impellente, come se il suo misurare il tempo gli abbia consegnato non una data di addio bensì il bisogno di usare ciò che aveva vissuto e non il desiderare di sperimentare altro. Maestro è colui che impara.
Il Vecchio Scriba si è iscritto da tempo al dubbio e alla verità, trovando in Franco Battiato uno sparo notturno presso l’angelico volo di un raggio di luce. Non sono episodi quelli che udite all’interno di questo lavoro che, sin dalla copertina, riflette il mantra dei due coautori, ma un affascinante nonsense che, sciogliendosi davanti al cuore dell’intelletto, stabilisce il contatto con il senso, come un richiamo celestiale, in preghiere melodiche, come sismi su sismi dentro sismi senza confine. Non è un album difficile da ascoltare, tantomeno complesso: non c’è una carriera raccolta al suo interno, non vi sono segnali di cedimento quanto piuttosto di una consegna, perfetta, di una richiesta doverosa. Quale? Suvvia: da quando dobbiamo sperare che le cose che lui ci dice debbano avere i comodi sottotitoli? Apriti Sesamo è un calvario in un giorno lavorativo, lontano dalle luci de La Voce del Padrone, dall’elettronica moderna di una Gommalacca in attesa di prendere ruggine. Franco, colui che aveva osato essere diverso dalla maggior parte degli italiani senza l’identità del nostro paese, non ha mancato l'appuntamento più difficile: anticipare la morte fisica e mentale vibrando attraverso le strette vie (senza scorciatoia) della direzione che conduce ad altre dimensioni. Ascoltatevi, in modo particolare, un brano dalla forza oltraggiosa, la spada che ferisce senza toccare, perché la sua sola ombra già contorce le budella del nostro pensiero minimo…
La Polvere Del Branco è radioattività postdatata, una impronta di cui si sente l’odore sebbene non sia più visibile: occorre ascoltarla mille volte per portare beneficio al branco malvagio della nostra schiavitù inconsapevole. L’invettiva (quella vera) contro le conseguenze del Mercato in questa canzone apre le porte del suo maledetto teatrino che Battiato qui gela. Gli toglie le ali e il potere. Poteva fare diversamente? Eccola la genesi del dolore, la sua realtà, custodita dentro il bisogno di un egoismo crescente.
Le musiche sono protesi di un passato remoto, un piccolo flash verso la sua amata musica classica, con gocce di Barocco sparse, per poi dare alla orecchiabilità degli anni Ottanta la possibilità di ricordarci quel Franco che in troppi hanno creduto di amare e di considerare il migliore: chi studia, chi cerca, non si ferma davanti a nulla, nemmeno ai benefici ricevuti. Ascolti ogni brano, le sue permanenti fasi di ruberie legalizzate, le sue formule magiche (dalla favola più famosa di sempre), le sue pergamene scelte e sciolte dal ladro più scaltro in assoluto, per consegnare l'architettura di un benessere che non abbia una corda al collo. Battiato amava così tanto la vita da non preoccuparsi della sua fine: si è concesso e ci ha concesso di andare oltre la paura. L’avrà nascosta? Ci avrà ingannato? Non importa: ci ha insegnato tramite queste composizioni che vi è un oltre da visitare. La violenza sta nel sogno senza costrutto, nella rapidità di un ego smisurato. Passacaglia è una nube tossica, una saggezza insostenibile che riporta in vita chi aveva, centinaia di anni fa, già compreso il limite, massimo, umano. Inutile scendere nell’oscurità di quel brano: chi lo conosce a memoria non avrà probabilmente capito nulla, preso e invaghito del suo incedere moderno, quando invece ha tutto per essere l’antichità che piega il moderno…
Come un angelo senza ali, prende da parte la politica, la società, il malessere primitivo dell'umanità, tutta, e la fa sedere dentro frasi che sembrano solo il club privato di una eccellenza che cerca un seguito. Ma anche troppo: Franco non aveva paura della solitudine e le canzoni sono un’isola deserta nell’oasi di ogni imbecillità che cerca la scusa, il pretesto per legittimare se stessa. L’ha combinata grossa: ci ha fatto sedere, ci ha sfiancato, tolto l’equilibrio mostrando la sua distanza da noi. Il suo bene non è il nostro, guardate cosa è riuscito a scrivere con Caliti Junku: passa ogni confine arabo-siciliano, solo per poter fare di noi viaggiatori dell’ignoto, di lingue legate alla magia, a storie che ungono ogni sospetto e riempie questa gemma di chitarre come mai nel resto del disco, con un pianoforte che saluta la storia della musica classica prima, poi con degli archi che, come una processione del primo Settecento, sollecitano la fantasia e ci riportano il periodo della sua unione con Giusto Pio. Che la liturgia melodica sia uno dei suoi interessi primari l’avevamo sempre intuito, capito forse, tuttavia mai pensavamo che un giorno, in un solo album, avremmo potuto vedere espresse tutte le sue manie e necessità come sapevano fare le figurine della Panini. Citazioni, oscillazioni, fatti veri, ricorsi, leggende, utopie e gocce di vento per espletare il suo bisogno fisico, autentico, di pisciare amando anche l’odore degli asparagi. Folle? No, direi invece leale con la verità, con una realtà che ha sempre indossato come fosse un pigiama.
Prendiamo un altro attimo (Il Serpente), uno di quelli che permette all’ignorante di staccare la spina da ogni diversità che lo possa disturbare: l’occidente, dolente e inconcludente, non si è mai messo in pausa, ha sempre accelerato. Cosa fa Franco, il direttore di orchestra mentale? Va e scova un solo uomo, di quella parte del mondo e di quel periodo, per mostrarci il coraggio di chi riesce a illuminare un albero di ciliegio in fiore, e pure qui la metafora si fa robusta e devastante. Battiato cerca un umanesimo nuovo, come desiderava Giorgio Gaber, e indica, oltre al bisogno, l’impellenza, il bidone dell’umido da svuotare per fare posto a una creatività mentale che supplica lo sguardo. Proprio in questo pezzo si trovano segnali evidenti di un gemellaggio con l’artista milanese, la prima anima che gli ha concesso credibilità.
Nell’ultimo brano si ha l’impressione di una nave inesistente che arriva, come un sogno dalle mille facce, per ricordarci l’assurda corsa della libertà.
Non ci si può concedere il lusso di far finta di niente: colpisce la gioventù, la depotenzia, la rende solo per quello che è, un poco di un tutto che cerca una logica algebrica e non solo una somma matematica. Chi aveva osato prima di lui tutto questo?
Ci vuole coraggio e abilità per prevedere (non sia mai che il Vecchio Scriba sminuisca le innegabili doti degli Intellettuali), però è netto il percorso di Franco, che non si limita a tutto questo. Va oltre, nel luogo che non può essere ancora raggiunto e come vedete il suo non è il destino di un solitario, bensì il gioco volto ad anticipare l’ingresso nell’allegria di uno spazio sconfinato.
Pensate a quando è uscito, ai sentimenti che hanno diviso fans e critica del settore, le delusioni che hanno fatto rumore, hanno lasciato tracce di malvagità solo in chi è favorevole al disprezzo. Sgalambro morì poco dopo (Franco no, lui lo era già da tempo e pochi se ne erano accorti) però ha continuato a rinascere, con stili diversi, una penna nuova, senza che nessuno abbia cavalcato il suo esercizio spirituale: tutti presi, come sempre, dall’opinione, con cui Battiato si è pulito il culo migliaia di volte…
Anche per lui era venuto il tempo di srotolare i sensi, di appiccicare il percorso dentro ciò che gli aveva dato la fama, la ricchezza, ma che non aveva (sempre Grazie Franco…) dato la misura di una mente non avvezza alla diplomazia del riverbero senza una docilità nel timbro della nota. Anche lì risiedeva la sua macchina del tempo: andare avanti e indietro solo per mostrare ciò che non si riesce a essere perché è questo il compito di uno studente…
E con Apriti Sesamo Franco Battiato è stato il migliore di tutti, un brivido che resiste al consumismo che cancella la memoria, ciononostante se proprio non volete dimenticarlo è sufficiente un disco solo ed è proprio questo…
“I linguaggi urbani si intrecciano
E si confondono nel quotidiano”
Vi basta? Una sola citazione farebbe di un popolo un qualcosa di migliore… Maledetta ignoranza, chiusa nella stanza sterile di un bisogno egoista.
Grazie Franco: arrivederci alla prossima battuta di caccia, in cui la selvaggina sarà ancora una volta la mediocrità…
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