Blood Moon Wedding - American Nightmare
C’è un abbraccio doveroso fissato in onde color pervinca, che contiene traversie che debbono essere raccontate, valutate e infine spinte verso una coscienza che non può sfuggire a tutto questo.
Se accade attraverso l’arte musicale, il fragore può divenire insopportabile, specialmente se a farlo sono due anime con le mani ben inserite dentro la realtà, mentre la scuotono, insultano, ne rivelano i torbidi segreti e le conseguenze che spesso non si vogliono vedere.
Mia e Steve se ne assumono l’onere, scavano in questo cataclisma quotidiano e, come una coppia di falegnami, levigano ciò che vorrebbe rimanere grezzo e gli danno una forma morale eretta, precisa, con le ferite che escono da rughe spesse e ciondolanti. Non giocano al risparmio, usano parole come ruspe senza scrupoli, come bisturi senza cuore, perché sanno che ciò che va fatto non può avere tentazioni, balbettamenti e imprecisioni.
Il vecchio scriba ascolta, studia, trovandosi sul ponte creato da questi artisti strateghi e cammina all’interno di musiche che per tutto l’album sono continue lapidi senza vento, procede incontra il loro coraggio, la determinazione adulta che non cerca favoritismi, probabilmente decidendo in anticipo che l’ultima cosa che conta è il successo, ciò che è fondamentale è una coscienza in grado di smettere di fare la gnorri.
Lavorano con l’elmetto, il fucile, sparano alla polvere dei pensieri inebetiti, scuotono e strattonano chi si è assopito in questi anni, e avanzano, canzone dopo canzone, freccia dopo freccia, pallottola dopo pallottola, con il tatuaggio delle loro composizioni sulla pelle che si incendia ogni volta che non trova un’opposizione.
Il loro passato artistico non concede dubbi: da sempre attivi, riflessivi, con le mani come pugni perpetui, si gettano in questo matrimonio di note e parole, arroventando lo spazio aereo che partendo da Oakland arriva a Bath, creando così l’unica coalizione Anglo Americana che porta i frutti del pensiero all’interno di un campo di azione dove il risultato è una consapevolezza che ormai non può più mancare.
La tristezza qui diventa un’arma, una risorsa, l’inizio che butta il cielo nella gioia: due esseri umani hanno allargato le loro spalle e si sono imbarcati in un'impresa folle ma perfettamente riuscita. Come psicologi senza reticenze, hanno esaminato il cadavere delle menti umane, arrivando persino ai loro incubi, e hanno stuzzicato, stimolato una reazione, minacciando con quintali di rock e gothic folk per non permettere nessuna fuga. Un punk anarchico rallentato e non anacronistico ma perfettamente attuale si palesa impavido e strafottente, come deve essere, per sbriciolare esistenze inutili.
Il cantato è recitativo, imbevuto di drammi e olio bollente, gratta e spezza il cuore e la mente, come insidia senza paura, esce dai tombini e sale sul volo diretto verso un punto preciso dove tutto deve essere ascoltato. Mia e Steve si dividono le strofe, a volte condividendole, e i brividi nascono come incendi inevitabili. Le musiche sono continuamente appese a un filo, sembrano poter cadere nel vuoto, e lo fanno senza esagerare, con la maturità che è consentita solo all’esperienza piena di talento. Gli incastri sono frutto di studi, di notti insonni, di giorni usati per non perdere nulla: tutti gli strumenti escono dalla sapienza e dalla responsabilità, nulla si può sprecare e le suggestioni sono carri armati impietosi.
Mia Dean ferisce: la bellezza dei suoi vibrati, dei suoi acuti, i saliscendi dei suoi registri vocali sono capolavori che fanno nascere lacrime e paure inarrestabili, sciogliendo i nostri cattivi ascolti, ridicolizzando, perché la sua classe è infinita ma soprattutto necessaria. Nella sua gola abita la ricchezza di chi cantando semina certezze, ha spilli e vasi di fiori che convivono mentre la sua scrittura entra nelle note ed esplode in cielo.
Riesce a dare alla voce un vestito, nel quale una strega e una fata conversano, convergendo in una strategia nella quale tutto deve emergere, un patto di sangue che in ogni canzone emerge senza sosta.
E allora ecco che sentiamo l’urgenza, la rabbia che bacia la calma, e l’intelligenza delle parole che sconfigge la realtà.
Steve, rombo di tuono dalle modalità espressive uniche e perciò riconoscibili, è tornato per questo progetto, e si è calato nel ruolo di narratore con l’ugola arrossata, piena di tristezza ma con i pugni incorporati in ogni sua sillaba, uno sciamano con la scimitarra e l’incenso, attore di riti e agitatore incallito, un viandante che scaraventa a terra la tua illusione e con il suo canto la uccide.
Spavaldo esagerato, incontenibile, sa diventare l’ombra che terrifica, avanza con quella sua placca vibrante che dagli anni Settanta ai giorni nostri è rimasta gravida di batteri omicidi e di sporche dolcezze che inebriano.
Dinamitardo, decadente, spavaldo, aggressivo, tutto ciò che arriva da lui è una riflessione dai nervi tesi, che sicuramente sapranno creare giusti disagi.
Stiamo per entrare dentro queste dieci onde oceaniche che hanno voluto i due artisti, sentiremo l’odore di queste composizioni e i colori di fulmini che faranno delle stagioni un unico lungo tuono dalla voce spesso sferzante, che però, quando si addolcisce, riesce a far uscire fuori una possibilità di respiro e a fare in modo che ciò che si doveva intendere trovi un sorriso.
Un album clamoroso che nuoterà regalandovi incubi, tra l’America e l’Inghilterra, senza possibilità di manovra. Arrendetevi e soffrite, con quell’unico sorriso che vi guarderà ridendo…
Song by Song
1 Spell
Ci sono miracoli del cielo che mostrano il loro volto conficcandosi all’interno di una canzone, come gesto di assoluto valore, perché la musica può ancora essere un messaggio degli Dei. E loro hanno scelto due anime che vivono fisicamente lontane, ma assolutamente intime artisticamente, spingendole a scrivere un brano intenso, verace, gravido di particelle coscienti per farci sapere che c’è molto da fare per chi vuole abitare la vita e i suoi luoghi. La consapevolezza di Mia Dean e di Steve Lake nuota con un testo amaro e un’onda sonora greve tenuta a galla da una melodia del canto dell’artista americana davvero sublime e leggero, quasi vicino alle nuvole, ma poi il leader degli Zounds, con la sua parte vocale, riporta il tutto dentro il nostro stomaco.
Qualcosa di magico e torbido rimane appiccicato alle orecchie: sono oscillazioni sensoriali che seducono e penetrano la mente. Questo duo sferra un deciso attacco alle nostre debolezze, ma forse una canzone può davvero risultare utile per capire il circostante e condurci alla crescita.
Interessante notare che definire ciò che si sente può risultare sicuramente poco utile, ma un tentativo occorre farlo.
Il rock si veste delle chitarre dei The Blue Aeroplanes di Jacket Hangs insieme al fragore dei New Model Army, con in aggiunta un solo di chitarra che apporta una modalità Post-punk in grado di regalare brividi caldi.
Un botta e risposta tra i due protagonisti, e la storia si sviluppa con questa atmosfera tesa che avvinghia e ristora: abbiamo l’occasione per poter ascoltare ciò che ci formerà il pensiero ed è uno dei più bei regali di inizio anno!
2 Some Things Are Worth Believing
La magia di una ninnananna oscura, un synth che uccide il respiro, le due voci che gravitano presso il deserto di una felicità ormai scomparsa, la chitarra che malignamente toglie i sogni dal cassetto, e un noise elettronico che tiene il brano dentro una cappa dove i colori cercano un abbraccio. Quando poi cantano all’unisono, a un registro alto, anche il cielo trema…
3 Wanted
Una foresta di desideri si compatta in una discarica di tensioni, magicamente benedetta da voci quasi diaboliche, nei pressi dell’arrabbiatura che ha ragion d’essere, in uno stato dove tutto sembra catatonico, con i sospetti dentro i sospiri di Mia, angelo-strega dal fare paludoso, e Steve, diavolo obeso con il suo crooning tiepidamente acido. Brano colmo di luci in caduta libera, il mondo viene scosso, e questa canzone sembra la sospensione della vita, mentre cerca di non planare rovinosamente su inutili velleità… Clamoroso!
4 Looking For Us
Il tempo si ferma qui, in questa frustrata di malinconia, nel roboante richiamo di decenni ormai lontani, che i due, sapientemente, celebrano, utilizzando un modus operandi teatrale, quasi tribale, per consegnarci un sentiero di grovigli metallici rallentati, in parole che scaldano come una lava tenuta nella mano…
5 Murder Ballad
L’oceano, il deserto, la notte, il tempo, i pensieri compressi: viaggio all’interno di un allarme, la decadente marcia funebre attiva il suo splendore in una canzone mantra, pulsante di echi nella palude dell’esistenza, con un coltello in mano. Onirica, in un modo diverso da quello che si potrebbe immaginare, è beffarda per i chili di vomito lento che i due riversano nella nostra mente, e la morte sbatte il naso contro i nostri desideri…
6 Hey Mia Do You Remember
Il Gothic Folk accende la sua fiaccola, la processione entra robusta ma lenta nelle vie della notte, la chitarra e la batteria sono complici di un delirio, come se i Virgin Prunes stessero squamando la loro pelle e fuggissero dentro l’aurea mistica della coppia, che qui decide di vestire la musica di luci in attesa…
7 Wild
Commovente, aggressiva con le rose che scendono per terra sanguinanti, Wild è la nube della coralità che dimostra come una canzone possa essere perfetta senza essere un ammasso di accordi e di suoni. Qui vince l'arrangiamento, un pianoforte e la chitarra sbilenca e piangente. Con un atteggiamento quasi pop, l’incanto risiede nella sua abilità di suggerire le immagini, di essere una musa bendata, con il drumming dal suono caldo che conferisce a tutto il resto l’approccio a una serie di parole come vangelo indiscutibile…
8 Blood Moon Wedding Part 1
Se esiste la danza dell’atmosfera invernale pungente, quella che seda i ricordi estivi, eccola qui, una frustata lenta di spine sulla pelle. Greve, straziante, decadente, le voci prendono definitivamente lo scettro e incantano: si riflette su un pensiero nero, metalizzato, con chitarre come sciabole nel vento, in un calvario noise che regala una pace imbastardita…
9 Blood Moon Wedding Part 2
Tutti noi dovremmo imparare da questo morso, da questa slavina di un basso allucinato mentre scava nel sottosuolo terrestre, e dal drumming che prepara l’entrata dei due maestri dal vocio disperato, un urlo ammaestrato dentro incandescenze Post-Punk domate dal mood così pieno di Horror al rallentatore.
Se cercate un genere musicale vincente, farete fallire l’intelligenza: questo è il rito di un matrimonio gotico nello stile perverso e perfetto nel contenuto di liriche diamantate e corrosive.
10 PN M2-9
L’ultimo dardo, tra vapori di un’esistenza in congedo, è l’idillio di voci che celebrano la fine, in abiti neri e strappati, in una sospensione continua, tra la chitarra in stato di grazia folk ma elettrica, il pianoforte che recita il rosario e la tastiera che avvolge la scena. Semi di dolcezza scendono nel cuore, ma con l’immancabile compagno di sventure che sta nei pressi di questo brano che cementa la perfezione, concludendo il lavoro di due artisti in stato di grazia, due anime gemelle che sembrano essere state partorite dal desiderio di sconosciute divinità per donarci la certezza che il sangue è il luogo dove la vita raccoglie la sua miseria… L’album è la più dolce delle coltellate che si possano ricevere, ed è un dolore piacevole, fino all’orgasmo…
Alex Dematteis
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