St. Jimi Sebastian Cricket Club - Into Your Heartbeat
Una tempesta, quando sa essere gentile, accomodante, pacifica, pare non credibile e viene definita in altri modi. Capita lo stesso nella musica, più raramente, per il fatto di essere considerato un evento che perlomeno attira attenzioni.
La band svedese, di cui il Vecchio Scriba in aprile vi aveva parlato di un singolo, ritorna per specificare le incredibili scie, morali, fisiche, attitudinali di un lavoro che conduce all’intima propensione a un raccoglimento, uno svago culturale, per una serie di ritrovi archeologici che vivono tra questi solchi, in una oscillazione tra dolcezza, malinconia, ricerche, gusto nella sottile critica sociale, nelle storie che mostrano il range di una scrittura in grado di visitare realtà.
La dimensione dello stile e dei generi musicali presenti è chiara, ma quanta capacità di far sembrare il tutto una serata tra amici tra lacrime, bottiglie, risate, pianti e tante domande forse lo è meno, per chi non scende nelle zolle profumate della loro classe.
Il battito del cuore presente nel titolo di questo gioiello non è nient’altro che la vita che si presenta, con la sua limpida volontà di presenziare a una possibilità irrinunciabile.
Abbiamo così composizioni che costruiscono un emisfero, con l’eleganza di una partitura abile nell’incrociare un senso e uno spirito antico con la modernità, in costante pellegrinaggio nella moderazione dei toni e delle parole. Nessun grido, insulto e tantomeno accuse: la band è educata, paziente, lavora duramente per arrivare a presenziare al l’acuta volontà di fare un disco che insegni a documentarsi, ad assentarsi dal giudizio.
I richiami e le vicinanze a una lunga fila di gruppi attivi specialmente negli anni Novanta sono numerosi, ma si ha sempre la piacevole sensazione che St. Jimi Sebastian Cricket Club venga proprio da quel periodo, avendo avuto l’accortezza di nascondersi.
Ci sono unicità, aperture che le formazioni di quegli anni non avevano, una sacralità che arriva anche al cabaret, al teatro, al cinema, con una incredibile voracità sulla minuziosità del fraseggio, sulla successione degli arrangiamenti, sulle pulsioni come propulsori di una energia che va inglobata in un progetto.
Dieci brani come una passeggiata nel parco naturale dell’esistenza, con i volti e le vicissitudini che trovano l’olio della saggezza a rendere tutto morbido e funzionale.
Notevole il fatto che, seppur l’ascolto permetta di portare queste passeggiate facilmente dentro di sé, si abbia l’impressione di piccoli tormenti, qualche fatica, la ricerca di una perfezione che è stato possibile raggiungere proprio per mezzo di tutto questo. Ogni cosa funziona, si muove e arriva nei confini di una tensione che sa come trovare alberi poetici tra i viali di una scrittura che, attraverso l’indie rock, il lato elegante del pop rock, gli stantuffi del cabaret che inghiotte in una risata il folk, svincola la band di Stoccolma dall’ansia di dover cercare la musica perfetta.
A loro appartiene l’abilità di una espressività artistica che sia gradevole da portare sui palchi, nelle camere di quelle persone che decidono di tenere sotto braccio, come una pergamena sconosciuta, questi cinque menestrelli nordici, imbevuti di tratti quasi medievali nei momenti in cui rendono tutti edotti (attraverso testi profondi e le musiche come compassi per portarle adeguatamente a raggiungere i cuori) di ciò che accade.
Praterie, palazzi, fabbriche, strade, voli, uccelli, ombre, suoni, diamanti, spari, treni, incursioni alcoliche nella gioia come nella tristezza, fanno di questo lavoro un meraviglioso portafoglio pieno di monete emozionali…
Una partenza continua, dalla inconsapevolezza sul treno melodico sino all’arrivo a una forza enorme, che consente a questi agglomerati di note di divenire esperienze condivisibili, generando petali di curiosità ed ebbrezza. Nell’alternare andamenti lenti a quelli veloci si capisce come l’impatto, l’irruenza e la ponderazione siano decisamente presenti nelle loro menti brillanti e capaci, per spingere la musica in campi immaginari, vicino ai nostri pianeti, alle nostre stelle, ai nostri giorni pieni di confusione. Con la stessa azione diretta dei Pogues nel fare di questa scelta di vita un’autostrada, l’alcol che si beve è un liquido pieno di fermenti stagionati, con il tempo che consolida la validità delle scelte, dei suoni, di queste strofe così coscienti che permettono ai ritornelli di essere una doverosa conseguenza, dove la scrittura in minore talvolta sembra in maggiore. Volteggi cari agli Housemartins come ai Belle & Sebastien, intuizioni melodiche vicine ai Blueboy di Reading come ai The Sea Urchins di Birmingham, e strascichi malinconici molto simili ai norvegesi Saybia, denotano una complessità notevole, itinerante, lucida e ben attrezzata. Ma su tutto vince un ponte che collega la Svezia all’Inghilterra, composta di studi, perlustrazioni e la volontà di fare della scorrevolezza emotiva e mentale il pretesto per canzoni che sappiano unire le fantasie, i racconti e le effervescenti ambasciate come uno shangai (Mikado) al contrario, in cui vince chi cade e non chi rimane in piedi: un’altra mastodontica magia di questo combo….
E un fatto incredibilmente piacevole e straziante è sentirsi avvolti da lacrime che paiono renderci consapevoli del tutto che ci circonda.
Sì, senza dubbio, questo disco va conosciuto, adoperato e trasportato in ogni dove, senza esitazioni…
Song by Song
1 - Stockholm Central Station
“She’s always been a rover, a panda scarred by the tides
hooked on a glistening dream, with one foot in the truth
if you do not like the silence, you know nothing at all”
La libertà è una trave che cade, quando all’interno di una relazione si cercano spazi personali. Ecco che ciò che apre l’ascolto di questo album rivela un ottimo equilibrio tra il riconoscere il valore dell’altro e le proprie esigenze. Il tutto dentro un'atmosfera scanzonata, leggera, solare, un frutto caduto dalla California degli anni Sessanta con deliziosi cori e controcanti che si connettono perfettamente tra chitarre docili e più robuste.
2 - Soothing Nights
“And our days, pass by like streams and waterfalls tranquil madness, and soothing nights
but some hours, they last forever, carved in stone, with your smile”
Dalla mia recensione pubblicata in Aprile:
“C’è una poesia che vola nell’aria, non ha tracce di inchiostro sulla pelle ma note vibranti sulla schiena, in una contorsione che aspira il cielo abbellendo, in modo sorprendente, la scia luminosa di una notte insonne. Un brano che nella sua struggente monotonia rivela ruscelli di splendidi comitati di tristezza, con l’intenzione di esplorare lo spazio celeste contemplante una stella morente. Non ha bisogno di variare, se non nel ritmo che aumenta, con l’ingresso della batteria e un'atmosfera sempre più avvolgente, per coniugare il testo a un insieme di grappoli sonori che, come una voragine liquida, compattano l’universo dei sentimenti.”
3 - Until We Meet Again
“So hold me, forever I can still hear the sound
the sound of laughter on a quiet night, I’ll never
until we meet on your side, let it go”
Dal Messico agli States, per poi tornare in Svezia, una puntura indie rock con l’idea di abbracciare dei mariachi per poi lasciare il tutto in una corsa piena di energie nella quale il testo affronta temi importanti, dolenti, fastidiosi, con grande maturità, dove alla fine una caduta viene fermata da un abbraccio, per un inizio ripetuto, again and again…
4 - When you Tremble
“You might be scared, you might lose control
when you tremble, but from tonight you’re not alone”
Il tempo visto da una finestra porta all’incrocio tra i raggi del sole e la notte, così come fanno queste note che affrontano la paura con un nerbo melodico efficace, permettendo alla dolcezza di fare la sua parte, con il cantato che adopera giustamente una rabbia con il guinzaglio, e le distorsioni di accordi che, passando a setaccio l’indie alternative degli anni Novanta, gioca con le luci e le ombre, per un brano davvero intenso…
5 - Lemonhead Cabaret
“I’m standing in a hole, and have the longest road to walk”
Come gli Smiths, la band si trova a proprio agio tra note leggere e divertenti e parole piene di dinamite. Ne viene fuori una canzone che sembra arrivare da Galway, in discesa libera verso le ballads inglesi, per tornare in Svezia con una teatralità che fa aprire il cielo…
6 - Golden Parachuter
“Can still hear the sound of my heartbeat and a drum
in the smell of mint where my promises are dead”
Con l’inizio che ci porta a casa degli Arcade Fire, tutto sfuma e si allontana dal Canada per arrivare nel cielo svedese, con melodie e canti effervescenti, per poter salvare un’anima e giocare con il basso dinamitardo e sensuale e le chitarre che sanno utilizzare i trucchi del glam rock in un contesto però scevro da esagerazioni…
7 - Westbourne Terrace
“There’s a million regrets and something holding up the door for me
there’s a fly drifting away towards the crown of a maple tree”
Le lacrime possono volare come camminare e riescono a farlo perfettamente in questa ballad che include pillole psichedeliche, facendoci trasportare negli anni Settanta, e in cui il cantato gioca con la fierezza del suono delle parole, in una forma che paralizza: una nuvola che copre la luce serve a tutti…
8 - Penguins of the Ghetto
“I have something on my mind not yet a corpse, I’ll come round it’s a fine day, for a speech”
Nel momento in cui l’alcol recapita verità nelle menti opacizzate tutto può accadere: ecco una incursione rock con petali irlandesi degli scoppiettanti Sultans of Ping F.C. del periodo di Veronica.
Al cantato è conferito il ruolo centrale nella strofa.
Troviamo poi chitarre aperte come canyon, stop and go della batteria, con una donna e i suoi figli attori nella storia di questo uomo che scava nella sua debolezza…
9 - The 9.15 Train Departs at 9.15
“There’s not much space on postcards so I better keep it brief
and make sure to leave it clear”
L’ironia gioiosa della band svedese è impressionante: basta questa canzone per vedere la prodezza di un connubio molteplice con epoche e modalità diverse, mentre tutto scorre con scioltezza…
10 - Sailor Girl
“12 months and a prayer, I fought all the shadows and doubt
never strayed from our doorstep, but we hold for another day”
Continuano le sorprese anche all'ultima stazione: una malinconica fontana folk con vitaminiche sferzate da parte di parole che catturano la forza di un cattivo sogno portano il tutto a un ritornello epico, come uno stadio che dà coraggio al singolo. Ed è una gioia abbinata alla tristezza che si infila in un fischiettio nostalgico e davvero incisivo a descrivere un’armonica propensione a uno storytelling molto europeo, per poi chiudere il tutto in un separé che ci fa intendere come lo spazio temporale di questo album sia una favola senza la parola fine…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15 Settembre 2024
https://open.spotify.com/album/2gfcDx5zj89C21EhC4EMa9?si=TwQCXficRXeJ3T4_6rsqTg
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