Christabel Dreams - Pigs
Nel tempio della solitudine, brandelli sconvolti di anime agitate, compiono il passo decisivo verso la dichiarazione dei propri debiti. C’è un obbligo: occorre vivere la precisione della falsità, della maschera che tutela gli sgarbi. Inoltre sarebbe bene anche indossare il cappotto che lascia cadere le incomprensioni, seminando quella forza necessaria per accettare il cielo scuro di pensieri corrotti.
Il Vecchio Scriba vi aveva parlato di un trio romano, addetto a dipingere il volto celeste della capitale con spruzzi di malinconia, ordinata e precisa, per farci compiere un balzo verso le catacombe celesti degli atteggiamenti umani. Esce proprio da lì l’ultima canzone, che farà parte dell’atteso album nuovo: speriamo esca il più tardi possibile affinché si possa digerire questa bellezza cupa, con il suo incedere figlio di una notte sbagliata degli anni Ottanta, quella che nessuno aveva osato registrare…
Il brano in questione è capace di mettere in contatto un testo fatto di molecole di tristezza unte di ragionevolezza e la propensione a separare il silenzio dalla follia del delirio umano, mentre la musica precipita nel vuoto, leggera mentre toglie il battito. Sarà per via di connessioni di generi musicali delicati, nel tempio di una Synthwave che disturba il Post-Punk per imporre una melodia incantevole, con la sua dinamite colorata di grigio. Perché tutto ha a che fare con la volgarità di comportamenti che assaggiano l’inganno: quella maschera, di cui parlava il vecchio scriba prima, è solo il diadema infetto di un lugubre sospetto. Niente salva le anime, tantomeno nello spazio gelato di un bisogno contenuto e mantenuto tale da un basso che corrompe per la sua volontà a legarsi al drumming tribale, selvaggiamente osceno, per fare della sezione ritmica un sequestro mentale. Sembra di sentire New Year’s Day degli U2 in quel piano che non si stacca dal synth, il maglione musicale, quello che scalda il petto. Francesco ed Emmanuele alzano lo sguardo, girano le spalle al futuro e perlustrano territori sensuali, dove tutto è risorsa per una melodia che meriterebbe di essere appiccicata alle stelle. Christian aggiunge al dono naturale di una voce dalla timbrica potente e sensuale anche la capacità di un registro alto, quasi urlato nel finale, per incollare i brividi di questo magnete che ruota nella mente. Ma, non dimenticatevi il tema, il percorso del testo, la denuncia, la presa della bastiglia dell’unica verità di questa vita moderna: essere destinati a essere come tutti gli altri, con la stessa maschera, lo stesso fardello, lo stesso precipizio. Che tutto questo sia generato nella città eterna aumenta lo sconforto, le unghie graffiano i sogni e ci si affida al basso per incontrare il battito finito sotto le scarpe. Certamente la tastiera sembrerebbe mettere in castigo le chitarre (e la band pare aver compiuto la scelta corretta): i tre hanno sufficienti risorse per non disperdere ciò che deve essere essenziale. Echi di Psychedelic Furs ci riportano alle lacrime, quelle che sgorgavano fluenti dal loro primo album, quando al sax (oggi usato malissimo dalle band Post-Punk e Darkwave) viene offerto il compito di spiazzare i pensieri aprendo la corsia del sogno. Tutto ciò diventa una perfetta contraddizione che rende la canzone funzionale nel confondere le certezze. Pigs è una latrina, una strada in cui si sciupano le luci e i colori vengono messi a bollire nella decadente formalità di una denuncia. La maturità fa male quanto la verità, e il messaggio, da una bottiglia, passa attraverso i rapporti fatti di luminescenza senza petali di vergogna. Il mondo si sta raggelando, come un fallimento silenzioso che cade in lamenti affidati proprio a quel sax. Cosa rimane? Parole non dette, capaci di trasformarsi in trame musicali con il solvente sulla pelle, per sparire nella magnifica usanza di un ascolto continuo, per fare divenire la canzone un loop, come un amante perfetto, per piangere, per sciogliere la paura data dai confini del mondo senza più lealtà. Brividi che sospendono ogni sogno, e il cantato è un pugno triste senza peso: la voce da sola affonda il respiro dell’ascolto…
Si rimane esterrefatti dalla potenza, mai un attimo di sosta, particolare non da poco, l’ottima scelta di usare il metodo di due voci nelle strofe, come un riverbero e un eco a confermare la validità del testo. Nel ritornello (il pezzo forte della band romana senza alcun dubbio sin dall’esordio) la voce pare non necessitare di un sostegno in quanto il basso, la tastiera e la batteria sono angeli dalle mani potenti, seppur dipinte di nero…
La dichiarazione che sconcerta ma diviene salutare è data da “We are used to falling in silence”: mi spiace contraddire l’affermazione ma con uno brano così immenso, intenso, vero e crudo, nulla di noi potrà fallire perché se esiste una gioia, anche sbilenca, è proprio data da Pigs, definitivamente Singolo dell’anno Italiano per il Vecchio Scriba.
E ora? Non ci resta che silenziare le emozioni e disperderci tra le mine vaganti e pulsanti di questo gioiello romano…
Grazie Ale ❤
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