mercoledì 9 novembre 2022

 La mia Recensione:


The Cramps - Off The Bone


Lo scriba non ama molto scrivere recensioni su delle compilation, con rare eccezioni.

Ma quella di cui mi sto concentrando a scrivere lo merita perché rappresenta perfettamente il percorso dei primi anni della band americana. Vi sono tutte le loro schegge terrifiche, le pulsioni di un duo che ha saputo sintetizzare ed evolvere lo spirito rock and roll della patria che lo ha generato. Con l’abilità di forzare, di estremizzare, di stravolgere il percorso musicale di generi che stavano prendendo la muffa. Irruenza, passione e l’ascolto massiccio di sconosciute produzioni hanno creato loro dinamiche di sviluppo, riuscendo a cambiare il concetto che precedentemente connotava il tutto. L’incursione nel loro mondo definisce, fa scaturire e illumina bisogni che portano ad assumere consapevolezze stralunate e torbide, all’interno di un divertimento che si trova spiazzato ma che è inevitabile.

I Cramps sono una lastra piena di proiettili, un omicidio che salva, nel mare rosso e nero di perversioni multiple ma che si fanno ben volere.


Saper riconoscere la validità delle proposte di un passato che profumava di perfezione, metterci le mani e portare il tutto in una dimensione in cui gli incubi e i colpi di frusta diventano in modo ineccepibile elementi basici nei quali perdersi è il loro principale punto di forza, che avvolge e conferma l’unicità che pilota la consapevolezza verso il beneficio: immenso.

Le canzoni per i Cramps sono identità nelle quali entrare per non uscirne, un legame che va oltre lo stile e la piacevolezza. Un tutt’uno che rende la vita una forma espansa, nutriente, ribelle e dove ogni cosa ha un senso di continuità che oltrepassa la registrazione e i concerti. Non una routine, bensì un modo di essere.

La loro vita è garage, psychobilly, voodoobilly, rock and roll, epilessia orgasmica di fragori spesso sfuggenti e irraggiungibili. I mezzi a disposizione sono pochi ma non fragili, in un cortocircuito continuo che abbatte la fragilità del palco per poter creare, liberamente, uno spettacolo teatrale dove la scrittura e la recitazione sono respiri continui. È un’apnea che fortifica i polmoni.

Ritrovandoci dunque in un funerale anomalo, in cui poter continuare a morire e a festeggiare insieme a personaggi terrificanti e agonizzanti nel tripudio di scenari dove i loro viaggi e i messaggi sono facilmente intuibili. Ed è l’unicità che assume lo scherno e ci fa anche ridere con l’amarezza e la complicità a benedire il tripudio che giunge a esaltare. Non ci sono frizioni, cedimenti, tentennamenti. La loro musica, viscerale e cruda, non ha bisogno di sistemi complessi, di strutture polivalenti, di strategie: è un missile notturno, con la sua polvere omicida, che schizza via per colpire con precisione il nostro sistema nervoso centrale.

Ma si balla, ci si sballa, perché i cromosomi, i pioli del loro dna conducono sempre a fare del nostro corpo una marionetta in movimento.

Sono i dettami della cultura junk a prendere il potere per unirsi al campionario di horror movies di serie B e oltre, al fine di compattare il proscenio dove tutti possono assistere alla recita e applaudire.

Il tutto comprendendo il divertimento con consequenziali critiche che non mancano, finendo per incantare, perché la loro profondità di riflessione è sempre lucida ed estremamente valida. 

Capaci di immagini connesse alla trasfigurazione, come sacerdoti di un culto religioso da scoprire e nel quale gettarsi a capofitto, Poison e Lux creano una gittata instancabile, con l’intento di purificare ciò che loro stessi hanno sporcato per primi. Musica che uccide il presente, da cui si tengono ben lontani, non per nostalgia del passato, ma in quanto la decadenza attuale è spoglia di contenuto e interesse per questi artisti. E anche perché la decadenza dei tempi antichi continua a emozionare, a generare attrazione, e la loro meticolosa ricerca di quello che ha prodotto consente loro un innamoramento continuo.

Celebrano la cultura pop utilizzando il rock’n’roll e la possibilità di divagare, di assumere il ruolo, indiscutibile, di anime pregne del perfetto mix tra descrizione di storie allucinanti e la volontà di gettarle nella contemporaneità, eliminando così il ruolo sociologico del parlarne. Uno stratagemma funzionale e potentissimo: sono le donne e gli uomini del passato che visitano il presente.

L’avanguardia americana, che passa da scrittori sconosciuti ma capaci di linguaggi colti e coscienti, a registi completamente avulsi dalla realtà, a un esercito di pornografiche manifestazioni continue, conduce la coppia più bella del mondo a respirare connessioni multiple che veicolano sempre la volontà di immersione. Finendo per creare uno sguardo che non ha bisogno di aprire gli occhi, bensì di farli danzare su strati densi di atteggiamenti e costumi in cui spogliare è l’unica forma di opposizione a maschere e cliché che svuotano la veridicità dell’esistenza.

Determinati a essere in una formazione a quattro sin dall’inizio e dove lo strumento del basso poteva essere escluso, iniziarono con due chitarre, quella splendida e oscena di Bryan Gregory e quella di Poison. Il ruolo di batterista è sempre stato complicato, una ossessione legata alla insoddisfazione. Però i Cramps sono decisi a conquistare gli annoiati Newyorkesi portandoli nel loro emisfero, che aveva al suo interno molti elementi che avevano generato lo stesso punk che nella città americana aveva un largo seguito. Ma ne erano rimaste le ceneri e loro sono riusciti a mangiarle con la loro follia.

Sovvertendo il cliché che l’ideatore del tutto fosse di impronta maschile, Lux viene “ridotto” a voce e performer, mentre la sensuale e potente Ivy diventa la mente dell’intero progetto: le donne si ritagliano un ruolo fondamentale, determinando un notevole cambiamento. 

Le canzoni nascono, prolificano, numerose e in grado di essere libere nell’assomigliarsi come di manifestare, saltuariamente, anche la possibilità di nuove forme che fanno del loro campionario musicale un blocco perfetto.

Non voglio però inoltrarmi troppo in una analisi del mondo Cramps, visto che per farlo dovrei scrivere perlomeno un libro. Ho accennato, ho preparato, introdotto un minimo questa band perché credo che spesso esistano gruppi entrati nella mitologia, ma dei quali da parte del pubblico spesso non esiste una precisa conoscenza. Tanto è il valore di questa band come enorme è ciò che ha generato, portando artisti che nemmeno immaginiamo a usare in grandi dosi il suo percorso artistico e umano.

Modelli, Maestri, spiriti dalle dita lunghe, prensili in maniera spaventosa, sono riusciti a contaminare, a seminare nell’arte gli estremi con incoscienza e consapevolezza, facendo divenire eterna la loro strada, che era incominciata da un semplice autostop.


La selezione proposta dalla band è soddisfacente perché riesce a rendere chiare le rotte del loro percorso, nutrendo l’ascoltatore che non lo conosce di autentiche prelibatezze, gemme pronte a sparare i loro proiettili di clamorosa potenza, in corpi e menti che conosceranno il visibilio.

Non poteva mancare Human Fly, figlia, madre e nonna di una caverna vodoobilly nella quale sospirare dentro la chitarra che è il cuore pulsante di una traversata celeste, resa spettrale dal cantato.

The Way I Walk circonda il capo, in una sfilata anni cinquanta dagli occhi pieni di trucco, mentre gli stop and go, le urla e le oscillazioni della chitarra ci rendono il corpo dinoccolato.

Con Domino siamo nel circo equestre, una tenda dove danzare Psychobilly senza attrito ma sapendo alzare la polvere del nostro cuore.

Arriva Surfin’ Bird ed è pogo, la leggerezza e il bisogno di calpestare le onde, velocemente.

Lonesome Town è una frustata lenta, sensuale, una processione suggestiva, per giungere nella città dal cuore rotto, dove si impara a dimenticare, tra singhiozzi e lacrime.

Garbageman è seduzione, un invito a scrollarsi di dosso ogni esitazione, con chitarre graffianti e scivolose e il lavoro di Lux a incendiare il microfono con sospiri e risucchi atti a svegliare le anime intorpidite.

Dio Elvis vive in Fever, che i Cramps rendono avvelenata, cadaverica, spettrale.

Drug Train è un battimano che accompagna la propensione alla trasgressione mai negata da parte di una band che qui si diverte in un viaggio dove la droga mostra la sua genialità.

Love Me è sesso, puro, lucido, che smuove i muscoli e conduce il desiderio a compiersi.

I Can’t Hardly Stand It è la raccolta di guai che generano attrazione compiendo il miracolo, nella sua semplicità, di fotografare una innegabile attitudine. 

Goo Goo Much è il lato psichedelico degli anni 60 che bacia i raggi solari degli anni 50 in un perfetto matrimonio stilistico.

She Said è il guaito di Lux a denti stretti, un crooning malato sino all’accelerazione tribale che conquista.

The Crusher è la follia di un giro di chitarra rock ‘n roll, in una storia cruenta che viene un po’ anestetizzata da questo fare epilettico che sconquassa.

Save It, demoniaca e oscura, con il suo tremore che viene usato per portare nuovi corpi nella danza della condivisione.

New Kind of Kick chiude la compilation con la sua semplicità, poche note, la voce che spinge come fosse assatanata, in un elenco di voglie che arrivano a compiere un percorso determinato a realizzarsi.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Novembre 2022











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