domenica 7 agosto 2022

La mia Recensione: Binzantina - Anestesia

 La mia Recensione:


Binzatina - Anestesia


È il tempo del miracolo non più atteso perché non c’è verso che i desideri diventino materia condivisibile.

Forse no, un attimo: la musica sa ancora esplorare apparizioni, presenze, sogni dentro un involucro chiamato album. Occorre sgomberare il superfluo, denigrare convinzioni sbagliate che sono solo frutto del gusto. Chi è ancora in grado di capire ciò che è davvero valido? Altro miracolo sempre più raro.

Ma io sono qui, scriba dissociato dalla arrendevolezza, rabdomante musicale integerrimo, per parlarvi di un miracolo vero, per raccontarvi il personale gaudio e stupore, l’allegria, la leggerezza compensativa che dopo 5 anni ancora vegeta di brillii e guizzi.

Due anime, provenienti dal Cile che si distanzia dalle fascinazioni totalmente funeree del gothic, lanciano sprizzi di soluzioni sofisticate, non prive (quasi un obbligo, visto il luogo) di grigie nuvole, ma accatastate su livelli sonori che contemplano ricchezza di luce nutriente, tra vapori elettronici con contorni post-punk selezionati, ridotti ai minimi termini ma altamente volenterosi di irrorare tutte le ipotesi provenienti da menti davvero capaci di fare della musica uno spazio in cui i colori non sono arcobaleni, bensì finestre emotive.

Lya Godoy è il frammento di vetro con la voce come cascata di zucchero filato insieme a gocce di sale nella sua ugola capace di ospitare la bellezza di lacrime sorridenti, una fata anomala, un’anima votata al tormento senza la pesantezza: è tutto perfettamente situato nelle corde vocali che sono sicuramente figlie  della Dèa Euterpe, che l’avrà indubbiamente abbracciata sin dalla nascita.

Dal canto suo José Ramorino è un detonatore di alchimie verticali, manovratore di voli che scavalcano il cielo con i suoi trattati elettronici che baciano le chitarre per trasportare le percezioni nel circo della bocca spalancata, dove trip-hop, Darkwave, Post-punk e compulsioni moderne liberano il galoppo di un cavallo di razza purissima. Capace di dare ai suoi istinti la volontà di ipnotizzare le stesse note verso un bagno di luce facendo l’occhiolino alle tenebre, ma senza calcare troppo la mano, José stabilisce come sensata l’affermazione che ci troviamo davanti a un polo strumentista con le stigmate del fuoriclasse.

Insieme, i due spostano il baricentro emozionale per elevare quello mentale/attitudinale verso incroci di spazi famelici di vibrazioni cupe senza per questo esplorare la sacra grotta gotica. Ma ne hanno il polso, potrebbero facilmente diventare inquilini di miglia e miglia di tristezza senza briglie.

Il cantato dona a tutti i brani brividi e capitomboli: ci fa sprofondare nel fango, umile e leggera arteria del vento.

Tutto è omogeneo, frutto di una produzione eccelsa dello stesso José, per canzoni che si tengono per mano, uniti come diamanti in una scatola dove tutto brilla e a nessun brano è concesso il lusso di primeggiare, come una goccia d’acqua che non può essere migliore di altre. Le composizioni rivelano premure nelle strutture, nei suoni, nella capacità di assoli brevi e minimalisti, come una piccola missione esplorativa per sondare le nostre reazioni, che sono votate all’applauso più pieno e caloroso possibile.

Perfettamente equilibrato di suggestioni e vettore di sorprese strette e brevi come i respiri, il tracciato sonoro corrisponde alle intenzioni per poter farci viaggiare tra morbidezza e sperimentazione continua, tra abbracci e baci di meravigliose ombre umide, perché ci si commuove all’ascolto, si esplorano le emozioni e non ci si ferma se non con l’ultimo brano. Si traversano i corridoi del primo trip-pop senza aver copiato nulla se non l’umore, capace di essere una altalena vibrante e non intenzionato a dare spazio alla lentezza perché tutto deve continuare ad essere in movimento.

Se fossimo al cinema avremmo mondi da scoprire su immagini esplosive ma lente, come un rallenty che vuole farci vedere minuscoli particolari, con un megafono sonoro che diventa un imbuto in cui stringere le nostre percezioni. Tutto suona come una giornata da venerare senza gioia superficiale, per precisare la serietà che non vuole ingannare i nostri sogni. 

I testi viaggiano sui binari dove ironia e dolore condividono la stessa sorte, con una mano davvero matura nell’essere bilanciata, per dare anche alle parole quella pelle equilibrata senza righe come avviene con la musica. E allora le nostre orecchie possono sentire tutta la fantasia obbligata che abita in quella difficile parte del mondo dove solo il coraggio di certi pensieri possono tramutarsi in azioni concrete, come può essere ad esempio questa collezione di venti senza prigioni che preferiamo definire canzoni.

Si può avvertire fortemente il desiderio di stabilire un contatto tra le pillole sonore mostrate ed una base spirituale che attraversa il cantato e le peripezie tecniche che, pur sembrando devote ad un recente passato musicale, sa costruire uno slancio verso un futuro che saprà dimostrare quanta freschezza questo lavoro suggerisce. Il disco è di una bellezza fragorosa, disarmante, capace di esplorare, immettere zucchero e veleno nelle note che paiono sempre girovagare tra la pazzia e la timidezza, in un movimento che conosce spigoli e ricami di luce. Purtroppo è passato inosservato: la colpevolezza mostra sempre la sua faccia sporca e dovremmo imparare tutti a pentirci e a dare a questa coppia il giusto tributo. La sensualità di queste composizioni rasenta lo sconcerto, non sembra vero poter essere dentro queste rapine dei sensi che non smettono mai di presentarsi. In questo vortice di sequestri rimane la certezza che la musica sia ancora un oceano da esplorare, un’isola nella quale perdere i vizi per cibarsi solo di questo beneficio, tutto. 

Se si trovasse il coraggio di riscoprirlo e di proiettare su queste canzoni la nostra devozione, ciò porterebbe raggi di luce multipla sui nostri chiaroscuri irrazionali.

E ora la parte migliore: poter mettere ognuna di queste perle sotto il microscopio, perché non c’è nulla di più rilevante di uno smarrimento davanti alla comprensione di così tanta bellezza…



Song by Song 


REM


Come dentro una bottiglia di vetro, tutto si muove tra atomi di suoni vibranti e tetri, alleggeriti dal vocalizzo sensuale/singhiozzante di Lya, mentre José, partendo da una elettronica sospesa, dà spazio a gocce di note di chitarra che allargano la capacità del recipiente che vivrà di bellezza.



Midnight


I Morcheeba con i calici notturni: è una danza che ci riporta dentro le lame smussate della band di Londra, con spiragli elettronici che sospendono la tensione teatrale della voce di Lya, che, come se volesse vivere su un palco pieno di luce pop del ritornello, non desidera altro  che giocare con il synth per dare a se stessa un momento di serenità. 



Bloody Clay


Lo splendore che attraversa la notte si chiama Bloody Clay, pietra sulfurea dalla coda di ghiaccio che, con una drum machine di derivazione dub e la chitarra Darkwave, dà modo alla voce di ricordarci Alison Shaw dei Cranes nei giorni di sole cupo, con la capacità di evocare sogni pieni di grumi sanguigni. Spettacolare e avvolgente.



Anesthesia 


Chitarre dense aprono questa danza ipnotica su cui Lya trova una filastrocca moderna e i cori minimalisti, come una spugna piena di petrolio, anneriscono l’atmosfera musicale che pare propensa alla luce. Melodia pop incastrata dentro  un trip-pop che cerca collaborazioni per non rimanere puro: altro gioiello, un lampo a illuminare il dolore.



Between


Il momento più spettacolare dell’intero lavoro: si entra nella tristezza, tra echi di dolore e gocce di rugiada per tenere compattati i brividi. La tastiera scende sotto la pelle, compatta i sensi sino a quando la chitarra immalinconisce il tutto e la voce getta fascine di nero vestite per far convogliare il tutto in un respiro che pare soffocare dentro queste note costruite per un pianto a dirotto.



Fear


La psichedelia che suggerisce al trip-pop una camminata insieme. Tutto sembra lontano, come se la canzone volesse rimanere sola, senza dover scambiare i suoi liquidi magnetici. La fantasia porta braccia pitturate di giallo e nero dentro il cantato che, quando segue la drum machine, sembra correre dentro la bava della pioggia di cui è composta questa musica in bilico tra il paradiso e il purgatorio.


Fury


La parte iniziale della canzone sembra il respiro morbido dei Prodigy a cena con i Massive Attack. Poi Josè rende tetro l’ascolto e ci porta nella sua giungla mentale piena di ossido di carbonio, mentre Lya decide di dare alla sua voce trame piene di giochi ambigui e mistero.



Moth


Spettacolare connubio di tre generi musicali ad aprire il tutto: come connettere i sentieri delle possibilità  per far fluire nell’arcobaleno nuovi colori. Anche la chitarra acustica entra nel quadro ipnotico, per non parlare del loop di un synth incandescente  che con il cantato porta il tutto alla perfezione. Il vibrato di Lya è una carezza singhiozzante e tutto ruota intorno a una musica angelica nel giorno dell’inquietudine.



Bird


Volare dentro la paura, perdere i freni e vibrare per l’eternità: questo fa l’ultimo pezzo di quest’album, ennesima dimostrazione di contagi musicai per cui non vogliamo l’antidoto. José è un mago dai molti cilindri: riesce sempre ad assembrare suggestioni e accorparle dentro atmosfere che sintetizzano il suono e i suoi bisogni. E l’ultima dimostrazione di classe di Lya è  quella di consegnarci la voce di una bambina che gioca a fare l’adulta dentro l’orchestra di un circo che celebra la vibrazione dei trapezisti e dei loro voli. E la sorpresa del controcanto di José è meraviglia liturgica. E il crooning finale della cantante cilena è pura poesia oscura. 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

7 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/3YY5MSFRfoWiNw8fMQjGJA?si=IVy_I85tRXO0nOvA-QQHdw


https://binzatina.bandcamp.com/album/anestesia






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