La mia Recensione:
The Fall - Copped it
Il dovere di avere una spina dorsale mentale sempre presente rappresenta un appuntamento giornaliero per ogni mente evoluta.
Nella trafficata, altamente qualificata carriera dei The Fall, la meteora selvaggia, seducente e affascinante, ancora inesplorata vista la sua incredibile abbondanza di misteri, arrivò un album esaustivo come The Wonderful and Frightening World of…, nuova atomica cinese a renderci ammaliati, storditi, necessariamente votati alla riflessione.
Questa volta vi parlo di una canzone inclusa in questo capolavoro di coscienza sociale che si intitola Copped It, la frusta sonica che gratta e sconvolge, avvolge e ci butta nel fango.
The Fall in strepitosa forma cacofonica, un alveare sonoro che tritura e soffoca, veicolando dolore che risulta essere anche piacevole. Qui ascoltiamo la classe che divide il tempo dallo spazio dove la rappresentazione musicale riesce a sconquassare, tra bagliori 60’s con i coretti verso la fine, un basso mangiafuoco e la chitarra gravida di rock americano ammaestrato, con il regalo della voce di Gavin Friday a rendere ancora più tesa e nevrotica la delirante esibizione di polvere da sparo.
Un furto, da specificarsi nell’abilità del testo (una scheggia impazzita tra realtà e fantasie accese al massimo dei watt disponibili), e la tensione di fili elettrici scoperti che rubano a loro volta onde magnetiche lasciate parcheggiate nel post-punk americano e la follia evoluta dei Devo come attitudine. La voce di Gavin si trova perfettamente a proprio agio con quella di Mark E. Smith, qui davvero rappresentante e benefattore come se fosse un Robin Hood sceso nei giorni nostri.
Il suono diventa una profezia, tra futurismo e caos generazionale di sobborghi impolverati ma intenti a riportare alla consapevolezza qualsiasi strato sociale, con un fare da impenitente bullo strafottente e quindi artisticamente perfetto. Tutto l’estremismo dei The Fall qui trova un catino di accoglienza dove la melodia è un osso raspato che fa irritare gli occhi: una cantilena in mezzo a schizzi di parole e note musicali anarchiche che gravitano nella follia senza sosta.
Il mondo, nel titolo dell’album, è rappresentato in modo perfetto in questa canzone: povero, imbroglione, sempre di corsa, una lista che presenta il conto della precarietà umana. La voce di Mark diventa una mannaia ma gentile, acuta e stridente, perfetta su parole vomitate per rimpicciolire la nostra condizione e per darci uno scossone. Come al solito non viene concesso spazio all’easy listening e il marchio di fabbrica della band Mancuniana ancora una volta ci dà sollievo: le inutilità e la superficialità non entrano nel circolo di una classe sempre più unica e straordinaria.
Copped It è una grossa lama che taglia le orecchie e le fa sanguinare: nessuna concessione alla pietà per un insieme di isteriche presenze verso suoni atti a demolire i demoni della superficialità. Una danza ipnotica che elimina il virus della imbecillità. E ancora una volta i The Fall anticipano tendenze, modalità e ingrossano le possibilità di fare della musica un cielo tremante e stordente. La malcelata delusione di Mark torna a presentare il suo volto scavato con un brano che conosce l’abilità di essere diretto, senza giri di parole, senza orpelli, pieno di crudezza che schiaffeggia e ci rende più consapevoli, l’ennesimo atto d’amore obliquo che rischia come sempre di non essere compreso. La band se ne frega e, in modo compatto, scrive un altro memorabile atto di guerra proveniente da una razionalità più viva che mai. Se il cuore può avere lacune gli vengono perdonate, Mark, il cavaliere con la mano che lancia sassi continuamente, non concede sconti alla mente e getta il suo sale velenoso con un’altra grandiosa canzone. L’inimitabile mondo dei The Fall non concede spazio a cadute di stile: lo dimostra anche questo brano che con l’ascolto ci afferra i polsi e ci conduce ad una danza spastica, scomposta, assurda ma che scuote le nostre divagazioni. È tutto un privilegio continuo che aumenta secondo dopo secondo e averlo dentro di sé è come portarsi a casa una Gioconda: impossibile non immaginare il poeta dalla lingua acuta MES sorridere sornione, lanciare parole come birre in faccia a chi crede di ascoltare una semplice pop song.
Si parla di plagio e i riferimenti sono molteplici, e Mark ancora una volta stabilisce che una corrente confusa possa essere il giusto percorso per fare del senso di colpa non un affare bensì un danno: punta il dito senza assolversi, incoraggia a rendersi conto davanti all’inevitabile viale di parole e musiche che possono già essere state presenti, ma conferisce al suo inimitabile stile la possibilità di considerare tutto autentico e non accostabile ad altri. È anche in questo che risiede il suo talento e che gronda di dolore e grandezze appicciate insieme, nel matrimonio artistico che concede un continuo prendere, saccheggiare con il motivo di rendere edotti, un Robin Hood (appunto) che agisce coscientemente non avendo paura di sporcarsi le mani: c’è da vedere il mondo come un posto diverso e migliore, dove la ricchezza e la povertà siano spartite senza differenze di livello. Il rock proposto dal lato di un servizio sociale, mostrando lineamenti comuni, dove nessuno spicca per bellezza bensì il contrario, per rendere ancora più chiaro che nella zona grigia dell’uomo di Salford (poi Prestwich), vivono progressioni diaboliche che lo rendono un Samaritano che chiude le mani per sferrare pugni: non è sempre la pietà il modo giusto per sistemare le cose e lui lo sa benissimo. E allora che l’ascolto di questo missile dalle rughe profonde sia un furto legalizzato e che dia ai vostri pensieri spazi per scrollarsi di dosso il puzzo di chi si crede salvo…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
22 Luglio 2022
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