PGR - D’anime e d’animali
“La notte stanca il fiato del giorno” - dalla poesia DUELLO - Alessandro Dematteis
Pessimo modo di iniziare una recensione autocitandosi però…
Nulla è più vicino alla tensione quando sommi talenti si ritrovano in un progetto artistico, tutto conduce alla bellezza e alla ricchezza, ma ha anche un prezzo. E qualcosa si stanca, qualcosa domina, prevale, spinge per poter farsi spazio.
I CSI che diventano tre, pian pianino, e che prendono possesso della notte per mostrare il buio e la sua forza vincente. Perché la notte appare nella sua crudeltà e capacità di dividere in queste undici fiamme punk che arruolano le anime a cui non piace questo mondo. I tre non sono sopravvissuti ad una diaspora, anzi, sono la concentrazione di un succo intenso e purtroppo gustoso.
Sì, purtroppo, perché Gianni Maroccolo Giorgio Canali e Giolindo riescono con la loro cifra stilistica enorme a farci addirittura piacere il fango, l’inferno, le ferite della montagna che frana su di noi.
Un album che è il più punk tra quelli da loro scritti: dove non c’è un ritmo incalzante c’è una rabbia, una attitudine nichilista nascosta dalla scrittura dell’uomo di Cerreto d’Alpi che fa della poesia l’unico modo possibile per farci cadere la montagna definitivamente addosso. Lo fa dando ai suoi versi tutta la potenza possibile vestendola di una luce obliqua ma incantevole. La seduzione è una gran donna, piena di inganni perché mentre ti abbraccia ti stritola.
Questa è la definizione perfetta anche per la musica di queste composizioni: una serie di fascinazioni seducenti che però ti conducono nella loro morsa stritolante. È una scorribanda sonora e poetica, drammatica, ben gestita da Peter Walsh alla produzione, che toglie il fiato perché questo fa la verità, la realtà, la sconnessione totale dalla speranza. Qui non vi è traccia di movimenti positivi verso il futuro. C’è sì una resistenza ma più che altro atta ad essere un lampo di notte: ne indica la posizione nel cielo ma scompare in fretta.
Però le canzoni rimarranno, con tutta la loro ostinata resistenza, non si inginocchiano a nulla, compatte e aggressive, tra i boschi e la foschia notturna.
Giolindo graffia, spiazza, provoca, se ne fotte e ci fotte, si espone, rotola in deliziosi deliri spiazzanti. Gianni è un cannone del cielo che protegge la notte e attacca il giorno con quei giri di basso che sono stalattiti che gravitano in basso da grotte sempre più pericolanti. Lui è un terremoto, cavalca la melodia e sferra pugni, dita che affondano su corde sempre più robuste.
E Giorgino? Questo è l’album in cui è più manifesta la sua libertà, la capacità di miscelare le furie del suo fuoco con tenere melodie spiazzanti. Non lo fermi, lui cavalca la musica con tutta la tensione di cui è composto con annessa la capacità di non essere prevedibile, dove c’è lui c’è tempesta. Che sia antica o moderna.
E Gianni e Giorgio, insieme, sono una orchestra di scoppiettanti scorribande, dove vincono la semplicità e l’immediatezza.
E un album che profuma di concerto: sembra che debba essere ascoltato una volta sola, occorre stare attenti…che tutto passa, non sono richiesti i documenti, ma è necessario essere svelti ad afferrare la bellezza, che è unica e non è eterna.
Non sono canzoni che timbrano il presente di nostalgia del passato ma del passato ne mostrano la forza e la confusione, dove la lava si è fatta sempre più oppressiva e lancinante. Alcune composizioni ti danno l’impressione di avere un codice per non essere capite, non si possono spiegare, è cosa loro, una appartenenza che però non impedisce di toccarne la bellezza e l’importanza.
Giolindo, ormai orfano di legami che l’avevano cresciuto, definito, affermato nel suo mondo, diventa un severo osservatore degli orizzonti, dove muore tutto, anche lui, e la sua penna grattugia le cupezze di un presente in cui tutti sono Cesare, andando a morire senza saperlo.
Tutti i testi sono scariche elettriche, batteria incalzante, chitarra urlante e psichedelica, basso schiaccia tutto. Dove ciò che è mistico e filosofico diventa nutriente per le anime storte che giudicano sempre il primo prurito. E con questo album il Montanaro Giolindo spacca il cielo come il buon fulmine sa fare.
La sua provocazione non viene colta, le sue distanze sono la necessità di un respiro che si possa gonfiare di un ossigeno nuovo e più resistente.
Le canzoni sono passi ostinati tra gioia e abbandono, tracce di sabbia tra la rabbia e la consapevolezza di anime adulte miscelate alla sfera animale, insita in ognuno di noi…
Non si contesta un album: lo si ascolta e si prende ciò che serve. È un distributore di possibilità e non una piattaforma dove depositare critiche e forme indisciplinate. Questo è un lavoro artigianale, fatto di cura del dettaglio senza sminuire l’irruenza di un contesto che vede i tre non feriti da un album che era praticamente finito e poi, come ogni muro che crolla, ha visto una luce nuova. E direi: gran luce! Anche da una rottura si può trarre beneficio. Lo trovate qui, undici fiamme che illuminano e scaldano. Sta a noi cogliere.
La melodia è leggera, quando ne necessita presenza. Quando la merda invece ci avvolge le caviglie, allora le melodie si impastano di irruenza e fragori, la caverna rimbomba e Gianni spacca e crea crepe. Non si può resistere a ciò che è compatto, si piange tra versi e oscillazioni sonore. E Giorgino non ha età, non è vecchio, anzi, la sua chitarra diventa una giostra che scaraventa l’inutile nel fiume. Come fanno i bambini: non perde tempo, compatto ci lascia tramortiti e ride di gusto.
Ascoltare questo album attentamente, cioè essere anima in piedi e non solo orecchio che ascolta suoni e codifica, ci offre la fiumana di elementi che, ordinati e confusi, sono pronti a sparpagliarsi dentro di noi, e ci vuole un filtro pulito per calare le dosi dei loro talenti nella nostra carcassa non sempre accogliente. Il problema non è la musica, non è PGR che non va…
D’anime e D’animali è l’ingresso, solo ipotetico, da parte nostra, dentro ciò che sembra necessario può essere messo in discussione. Parole e musica che sono punti di domanda, non solo dichiarazioni. Una parte del mondo, il loro mondo, trova corpo in un album, gran cosa, poca cosa, quello purtroppo lo decide chi ascolta, che spesso manco sa farlo bene…
Intanto io mi sono arruolato: mi metto in fila, tra i mei casi difficili, e marcio verso ascolti sempre più profondi, dove essere assorbito mi rende libero, senza più lamentele e stenti, perché dove c’è la capacità di stare bene anche quando ciò che ascolti è una ferita allora significa che sei avvolto nella benefica attitudine di ascolti che aprono i recinti mentali.
Ciò che è stato è stato…e qui, tra queste 11 canzoni, c’è stato un oceano montanaro che è stato contestato. E chi lo ha fatto non sempre ha davvero avuto ragione di farlo.
Perché un album come questo è una donna dai fianchi scoperti: li si può toccare per soddisfare un piacere morboso, ma, occhio bimbi, che i tre hanno la pelle ad alto voltaggio, potreste farvi male…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
4 Agosto 2021
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