La mia Recensione
Radiohead - Street Spirit (Fade Out)
“Nessuno accetta il caso come causa del proprio successo, ma del proprio fallimento”
(Nassim Nicholas Taleb)
Non assumere un approccio casuale alla vita. La casualità porta alla fatalità.
(Jim Rohn)
C’è una forma di controllo sulla volontà che spesso cede sotto le ali del caso e del fato: non si riesce a capire come certe cose siano nate, forse nemmeno il perché.
E ti ritrovi con in mano sensazioni che accarezzi perché malgrado ti procurino dolore senti essere preziose.
Persa la radice, l’antica provenienza, continui a vivere di misteri che solo apparentemente svelano l’accaduto, come se una matrioska fosse stata chiusa con un lucchetto: niente potrà rivelarne il contenuto.
Questo è successo ad una canzone, quella dei Radiohead che chiudeva il loro tormentato secondo album The Bends.
È arrivata come una compattezza impersonale e impetuosa, come esaltazione ciclica in stato di trans, come il rumore del sangue che parla una lingua ignota.
Street Spirit è la bellezza che trafigge perché come canto sudato e macchiato di dolore ci mette alla gogna: non puoi opporti alla tristezza nella sua totale espansione e come birillo cadi nel vuoto sacro di duecentocinquantaquattro secondi infiniti.
Costretto a rimanere nella complessità di un giro armonico ripetuto e catalizzatore di ogni pensiero. Non puoi fuggire da quei crescendo, dalle chitarre che aumentando ti ammanettano il respiro, allo stesso modo di quella voce che, come un angelo dal pensiero pesante, ti sfibra e ti toglie le forze.
È il mistero che persevera e obbliga il pensiero a nutrirsi di dispersioni e di un arrancare instancabile con la capacità di nutrire un bisogno irrazionale di masochismo.
Come un mantra che seduce per perfezione diventa una frazione senza limiti, ti ritrovi a comunicare al tuo inconscio che non capire fa più male che capire, in questa rigida struttura sonora che ci fa addolorare e assaporare la morte in anticipo, con la sua malinconia come un guanto in lattice che si è appiccicato al respiro.
E allora si diventa allucinazione zigzagante: ogni nota è un pilastro contro il quale si sbatte la testa, un labirinto di bellezza che morde il fiato e lo cementa per l’eternità.
I Radiohead creano un tubo, stretto, dove cadere, e la direzione non può che essere la zona arida della gioia, che sconfitta, lascia sulla terra la bandiera con la scritta “Street Spirit”: da lì non ci si può spostare e niente potrà sfumare, nulla potrà trovare la sua disintegrazione.
È un brano che regala spine agli occhi, alle orecchie, agli arti superiori e inferiori, un coma vigile, conscio, ma senza la possibilità di proferire una sola parola.
La si ascolta per morirci.
Quando una canzone è un non luogo, non profuma e ha la pelle grigia, diventa, per definizione, insostenibile ma essenziale, come una droga che non hai scelto di iniettarti ma di cui in qualche modo godi degli effetti.
Non è però un viaggio quello che si fa ascoltandola, non esistono begli abiti, ed esperimenti l’assenza totale di privilegi e benefici.
È una tortura pop che invade, assorbe e secca i battiti mentali come quelli del cuore, per diventare l’incubatrice eterna che ti preserverà dall’invecchiamento fisico ma lascerà le tue cellule già consumate, eroiche, stremate.
Ho letto il romanzo “The Famished Road" di Ben Okri, da cui Thom Yorke disse di aver tratto ispirazione. Una lettura poderosa, piena di artigli e spine, dove una decadente forza originale trova il nascondiglio per riposarsi. Ed è quello che accade in questa canzone che alla fine diventa un riposo, non sereno, un ristoro mancante che al risveglio misura tutta la nostra stanchezza.
Perché non si può affermare diversamente: certi ascolti stancano così tanto che non hai nemmeno la forza per sgridarli.
Suonata in La minore, l’arpeggio iniziale trova dei seguaci che la rendono inattaccabile, indiscutibile e le parole di Thom, confuse e allucinate, completano il mistero che non solo aleggia ma addirittura urla la propria esistenza.
E quando il violino mostra il suo abito elegante e la batteria entra come un pugno dolce e bisbetico, ecco che tutto si compatta per l’eternità e anche oltre: sai che il tuo ascolto non morirà mai.
Le melodie vocali diventano abissi con la freccia che indica il cielo, come un’unica direzione possibile.
Dopo l’album di esordio i Radiohead fuggono dai cliché del tempo e creano la loro caverna dove Street Spirit è il punto più profondo e inaccessibile: non vi è motivo di capirne il senso, dobbiamo solo farci assoggettare senza commento alcuno.
C’è una forma nichilista, greve, piena di polvere e ruggine in questa canzone ed è forse in tutto questo che rimane il punto più insostenibile del loro percorso artistico, quello che non solo chiuse il loro secondo lavoro ma le loro vene, per sempre.
Ed è stato obbligatorio per loro, come per noi, morirne per resuscitare con altre identità, l’unico modo possibile per sfuggire al suo diabolico incanto.
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
10 Marzo 2022
https://music.apple.com/gb/album/street-spirit-fade-out/1097862703?i=1097863295
https://open.spotify.com/track/2QwObYJWyJTiozvs0RI7CF?si=fxcCzCnrTRay-HK7mQ6b4w
Alex è stupenda. Sei riuscito a rendere tangibile quella sensazione che pervade tutta la canzone,non posso aggiungere altro. Ogni altra parola è superflua. Entrare in perfetta simbiosi con il loro street spirit.
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