La mia Recensione
Esses - Bloodletting for the Lonely
Non sai se fa più male il coltello infilato nella schiena, o il vuoto che lascia quando lo togli.
(Anonimo)
C’è una comunità di anime affaticate da una serie di frustrazioni, di offese, di identità personali non riconosciute, di lotte che feriscono i battiti, che vive nonostante tutta questa dilagante tossicità.
E a Oakland esistono persone che gravitano dentro dei progetti in cui credono, senza preoccuparsi (giustamente) se sia sbagliato far parte di diverse realtà contemporaneamente: uno scambio che invece produce linfa e genera forze per poter dimostrare dei diritti e la bellezza di questi incroci.
E se parliamo di musica allora un esempio perfetto è il progetto Esses, meravigliosa libellula incantevole, che vola per la calda e coinvolgente città Americana per procurarsi cibo. E lo fa tempestando l’aria di spilli plumbei, pesanti, passionali.
Questa libellula ha cinque anime che vivono nel corpo effervescente, allucinato e che si espande di meravigliosa sostanza liquida.
Gli Esses arrivano al secondo atto del loro spettacolo pirotecnico, un laboratorio di analisi e di pause, fatto di ricerca e di contemplazione avendo un calice pieno di sangue al centro del palco.
Sono scocciato nel vedere nei loro confronti termini di paragone che si specificano in somiglianze con Siouxsie and the Banshees e i Bauhaus: io non spreco tempo con la superficialità, preferisco cogliere la bellezza che ha una propria identità e va difesa. Basterebbe ascoltare bene per accorgersi che la modalità del canto di Miss Kel nulla ha a che vedere con la “Principessa del Goth” e nemmeno la musica.
Sono passati 41 anni da Juju, ultimo grande album dei Banshees, ma non vedo presenze di quelle composizioni che possano essere comparate agli Esses. Lo stesso discorso vale per i Bauhaus.
Siamo seri: andiamo avanti.
Un secondo atto che presenta nuovi petali, una decadenza che si sposta tra la genesi Deathrock per completare il proprio bisogno di arricchimento portando a sé chili di Darkwave, coriandoli di Postpunk, come una distesa di cibo di cui poter lasciare la propria bocca vogliosa.
Ci si muove ancora soprattutto di notte, sono però cambiati gli spazi di questo volo, con traiettorie sonore più complesse e dove i ritmi conoscono maggiormente la lentezza, regalando il beneficio di cogliere la tensione che sanno esprimere anche quando non pestano il piede sull’acceleratore.
Perché le chitarre che si lamentano in lentezza forse fanno ancora più male.
È una gravidanza questo album: si trascorre il tempo in attesa di un bimbo in arrivo mentre il ventre si gonfia di liquidi, crea spostamenti, e la schiena arretra, perché è innegabile che esistano pesi che aumentano.
Non è che ci sia solo la gioia nel concepimento.
Allora gli Esses regalano sincerità, svelando la fatica ed il dolore, usando il microscopio per individuare le zone buie, per mettere in dubbio la luce.
Esiste l’impressione che la band sia diventata una famiglia, una libellula compatta per pulire la terra da insetti pericolosi.
E si rimane estasiati dall’ondata magnetica, dallo sguardo ipnotico che le canzoni sanno provocare. Ci si inebetisce. Ed è una sensazione che dilata la sicurezza sino ad ucciderla.
Un ascolto che ci porta in giro per Oakland, ciò comporta il non vederla come una meta turistica ma come un luogo dove le ferite si presentano e i dettagli, così precisi, ci possono far preoccupare, creando un avamposto di tensione.
Un album che offre traumi, fascine di menti spappolate e che corrono senza cibo.
Le melodie non creano fantasie bensì prigioni in cantine e garage disabitati, dove la desolazione non è un problema ma un generoso conforto, un ristoro sicuro, non discutibile.
Il senso claustrofobico di cui è composto è gioia pura: nella autentica espressione di ciò che sentono noi veniamo a conoscere la verità e la realtà. Che sia un atto artistico non toglie valore, anzi.
La loro pazzia ci coinvolge come atto di fede, crea una dipendenza che ci fa appartare per poter fruire di questi frammenti di cervello che ritroviamo dentro il nostro petto.
La voce di Miss Kel è cruda, tremante e schizzata, come un raggio di luna senza paura. Lei ha il dono di non esagerare con la voce piena di scintillii, ma sa usarla con precisione sino a renderla un incubo che ammalia.
Le due chitarre, quelle di Skot Brown e di Dawn Hillis, sono tempeste di fuoco al polo nord: non lasciano possibilità a noi di poter resistere ai loro intrecci complessi e perfetti. E sembrano missili pieni di gas nero asfissiante e letale.
Scout Leight vive il basso come terremoto mentale, franando sui respiri con i suoi poderosi giri, picchiando con classe sulle corde insanguinate.
Dal canto suo, Kevin Brown suona la sua batteria avendo tutto l’impeto e il tumulto di un esercito Deathrock che per vincere la guerra ha rubato le armi al nemico portando nel suo arsenale materiale Postpunk e Gothic Rock.
Il suono è un miscuglio velenoso e accattivante, una seduzione che si mostra con immediatezza e abbondanza.
Credo sia bene ora indossare il mantello, spegnere la luce delle distrazioni e andare a toccare le novi stalagmiti, per capire meglio la sensazione che può dare il ghiaccio che si fonde nelle mani…
Song by song
The Source
Sono chitarre come ali malate che sbattono, sostenute da un drumming secco e dalla voce che vola per rubare il fiato: l’ingresso al Polo Nord è lento con le fiammate del cantato di Miss Kel a rischiarare la notte.
Pierce the Feeling
La prima mitragliata ha lo stampo Deathrock, basso e chitarra e batteria sono crateri con le gambe che scivolano sul ghiaccio ferendolo. Tutto diventa isteria magmatica e solida. È una graticola che ferisce e le bende arrivano, colanti.
Four Corners
L’atmosfera ci porta alla Dea DIAMANDA GALAS: è il richiamo del ventre gravido che preme sul drumming ossessivo e malato, il basso spazza via il vento e la voce sibila il tutto. La chitarra iniziale ci riporta alla Batcave di Londra come se il tempo fosse un inganno possibile.
Infinite Void
La bufera agguanta le creature notturne, si ride come progressione dolorosa, tutto vibra nella chitarra che squarta il ghiaccio e tutto corre dentro il vuoto che reclama attenzione.
Before the Blight
Tutta la scena musicale recente di Oakland applaude questo brano che sintetizza la propensione di quegli artisti a non concedere spazi ai dubbi: è un turbinio metallico e melmoso che invade le corsie emotive. E ciò che è stata la storia di un’attitudine musicale che ormai ha quarant’anni in questi minuti trova ossigeno miracoloso per poter ancora generare commozione.
Little Mouse
Ferraglia, oggetti che preoccupano, tensione elettrica, tutto trova nel ritornello l’estasi nevrotica che stabilisce il punto di contatto tra il suono più duro, quasi heavy, per generare estasi di stupore in ebollizione.
Faceless Past
La tregua, il ritmo che si fa più guardingo, mentre le due chitarre creano polvere drammatica, il Postpunk che si affaccia e dove l’atmosfera si prende il tempo per far entrare questa voce piangente ma che vede le brecce del cielo. Ipnotica.
Caged Beast
Ovattata e tremante, quasi come se il 1981 concedesse la grazia di potersi risvegliare, la canzone è un ponte ipotetico tra il dramma, l’insoddisfazione e la sfiducia che hanno l’intenzione di fuggire. Cupa, emblema della crescita artistica della band, offre nuove modalità per incantare.
Schism
Siamo allo scioglimento del Polo Nord: il suo funerale è il congedo della band che si veste di lutto e volti pieni di fragilità, con la canzone che chiude l’album.
È emblematico che il ritmo sia lento, quasi ovattata è l’atmosfera che alza la polvere del ghiaccio. Visioni, supposizioni, con la Darkwave che ruba la scena sorridendo atrocemente, ma le chitarre riescono a vibrare senza corruzioni, dando al canto l’ultima possibilità di mettere a tacere anche il silenzio. E questa libellula finisce il suo pasto in gloria.
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
14 Marzo 2022
https://open.spotify.com/track/5WL1a33nA8Iz0KHt0DyHBq?si=6VTsVEPyS2Kv3nLhS2JHaA
https://music.apple.com/gb/album/bloodletting-for-the-lonely/1580692357
Qui si sfiora veramente la perfezione. Complimenti sinceri
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